Smashing Pumpkins Tag Archive
Scottish Winds – Intervista a Vic Galloway (BBC Radio) [ITA/ENG]
Una cavalcata dentro la scena musicale scozzese dagli anni ’80 fino ai giorni nostri. E tante curiosità e racconti di un broadcaster di BBC Radio…
Continue ReadingLo Stato delle Cose – s/t (EP)
Un film di Wim Wenders suonato dagli Smashing Pumpkins.
Continue ReadingGli Occhi degli Altri – Di Fronte al Lago
Provenienti da Lecco, Gli Occhi Degli Altri sono una formazione fresca che ci presenta Di Fronte Al Lago, loro disco di debutto, edito da La Clinica Dischi.
“Naif”, traccia di esordio, parte a mille e in due minuti esaurisce il suo effetto. Rapida e dolorosamente accattivante. Ritmi incalzanti, voglia di far casino e un mix di Shoegaze e Grunge di matrice Smashing Pumpkins. Tre elementi ben condensati in “Andare Avanti”, una canzone orecchiabile giocata su tematiche post adolescenziali. “Nebbia” abbraccia buona parte della scena Indie italiana, con la voce parlata a rinvangare Death Of Anna Karina o ZiDima, ma nel ritornello ci riserva un effetto sorpresa che distrugge il senso di già sentito, grazie a un crescendo maestoso e indimenticabile. La successiva “La Vertigine” è un attimo più sbiadita, si salva in corner per merito del giro di chitarra azzeccatissimo e il refrain corale posto nel finale. “Passo Falso” si tradisce già dal titolo: è un’improbabile scambio di fluidi tra i Nirvana e Le Vibrazioni, a cui mette una pezza un assolo che pare partorito dalla mente geniale di Tom Morello. La batteria esce fuori nelle composizioni conclusive, dettando tempi in levare (“Guarda Me”) e accelerazioni Punk Rock (“Contro Vento”), molestando l’imperturbabilità dei brani.
Il disco nel complesso è interessante, ben suonato, con qualche momento frammentario che ne rovina a tratti l’ascolto. Piccole pecche che, sono convinto, non guasteranno l’ascesa della band lombarda.
Colapesce regala “L’Altra Guancia”, in free download dal 1 Gennaio
Fin dai tempi degli Albanopower, Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, ha sempre onorato il Natale con qualche sorpresa per i suoi fan. Come non ricordare, per esempio, l’incredibile operazione legata ad Albanopumpkins: un disco che riproduceva in versione integrale il capolavoro Mellon Collie & The Infinite Sadness degli Smashing Pumpkins, coinvolgendo più di cinquanta musicisti della scena italiana e finendo per essere apprezzato e condiviso proprio da Billy Corgan in persona (si può scaricare ancora da qui: http://www.42records.it/albanopumpkins/).Quest’anno per la prima volta la scadenza non sarà rispettata, i lavori per il nuovo album (in uscita nei primi mesi del 2014) hanno tenuto Lorenzo occupato al punto da dover rinunciare. Approfittiamo però del clima natalizio per annunciare che il primo gennaio del 2015 sarà pubblicata in free download una nuova anteprima tratta proprio dall’attesissimo secondo disco. “L’altra Guancia” è la prima canzone a essere stata composta per un ipotetico secondo disco, e al tempo stesso è quella che più è cambiata nel tempo.
Marlene Kuntz – Pansonica
Non vorrei essere azzardato, ma sbaglio o i Marlene stanno tentando un back to origins? Era il 2010 quando gli artisti cuneesi mi colpirono in basso e mi lasciarono tanto di quell’amaro in bocca da farmi girare la faccia e concedermi il dono dello skip tanto per Ricoveri Virtuali e Sexy Solitudini, quanto per Nella tua Luce, facendo scattare nella mia mente un meccanismo stante il quale la loro discografia era bella che terminata nel 2007, con Uno, un lavoro a metà strada fra il bello e lo spiro. Tuttavia è d’uopo ammettere che, anno corrente, la loro performance al Premio Maggio (30/04/2014) mi aveva lasciato a dir poco senza parole, concedendomi il beneficio del dubbio circa il limbo in cui si trovava la loro arte. Ed è una sera di ottobre quando i fantasmi bussano alla porta: sono i Marlene e non hanno alcuna intenzione di liberarsi di me! Mi propongono una nuova opera, uno smartbook da sette capitoli: Pansonica. Un amore altalenante, ma tanto intenso da sortire sempre un certo effetto su di me. Ed eccomi qui, a concedere un’altra possibilità ad una band che, si dica quel che si dica, sa più di immortale che di Rock.
A conferma di quanto proposto in via diretta, i Marlene sembrano voler perseguire una sana gestione di ritorno ai tempi andati e lo fanno già attraverso il titolo del loro nuovo EP: Pansonica è senza dubbio uno di quei termini in pieno stile Marlene, calza perfettamente con vecchi titoli e trova una sua dignità nell’oceano di nomi intriganti (vedi Ho Ucciso Paranoia, Catartica, “Trasudamerica”, “Sonica”) tipici del repertorio dei cari amici piemontesi. L’eccessiva evidenza del ritorno proposto, tuttavia, trova fondamento nella storia del disco, che presenta una tracklist composta da soggetti abbastanza datati. Tutte le tracce sono infatti frutto di un lavoro eseguito nei primi anni di attività della band, ma che non hanno mai trovato la giusta collocazione. Il disco è dunque null’altro se non un omaggio ai fan più affezionati, che da tempo aspettavano di ascoltare un po’ di old school. Ma non ho alcuna intenzione di soffermarmi su simili minuzie da nerd nostalgico.
Il disco apre in gran stile, con un aggressivo “Sig. Niente”, caratterizzato da un giro di basso notevole su cui si stagliano le chitarre del buon vecchio Tesio. Il testo è parlato e la combinazione lineare di aggressività, poetica ed ars oratoria mi riporta alla consapevolezza di “Ape Regina”, confermandomi che Godano è ancora in grado di stupire persino gli scettici come me. Le tracce successive mantengono l’aggressività della open track, tuttavia ne guadagnano certamente in melodia. Basta fare uno skip verso “Parti”, per abbracciare una melodica poesia. Incazzata si, ma melodica. In questo capitolo si lascia notevole spazio a chitarre non distorte, lievi e ben cullate. Poco Marlene mi si dirà, ma incredibilmente funzionale, senza dubbio alcuno. Nelle scene successive il coinvolgimento diviene totale. Il volume sale a stecca, chiedo scusa al mondo, ma mi spengo per un po’. Si viaggia attraverso titoli che se le suonano di santa ragione, senza esclusione di colpi, che gettano d’istante nel dimenticatoio tutte le buche in cui sono inciampati i ragazzi negli ultimi anni. Un nirvana artistico lungo 3 minuti e 20 secondi che va sotto il nome di “Oblio”, in pieno stile “Nuotando nell’aria” sopprime la mia voglia di nicotina e mi costringe al replay continuo e non mi dà tregua. Chiuso per ferie. Ci scusiamo per i disagi. La mia mente inizia a viaggiare a ritroso nel tempo, torno bimbo e mi emoziono. Il mio sistema nervoso assume una configurazione nuova e mi dà una nuova certezza: i Marlene sono immortali. Faccio un passo indietro e torno su “Ruggine”, quarto episodio della serie. La combinazione perfetta dei singoli sound ci dona un Sole di mezzanotte, capace di illuminare a giorno il più buio dei baratri. La track è incredibilmente aggressiva, il testo semplicemente perfetto. Non ho altro da aggiungere, 30 e lode.
Tirando le somme, mi sovvengono le considerazioni di cui a breve. Qualche mese fa abbiamo avuto modo di ascoltare un remake di Hai Paura del Buio, un’idea Afterhours assolutamente geniale, che ha coinvolto un gran numero di artisti, molti dei quali giovani e talentuosi. Meno di un mese fa, lo sguardo indietro l’hanno lanciato gli Interpol, sotto il titolo di El Pintor. E che dire degli Smashing Pumpkins, che hanno saputo sintetizzare evoluzione e radici in una mistura intitolata Oceania, risalente a ben due anni fa. Se lanciamo uno sguardo agli ultimi anni, ci accorgiamo di quanti passi indietro siano stati fatti dalle più grosse band di sempre. Sarà marketing, o forse semplice nostalgia, ma quelli come me si limitano a dire “Grazie”. La stessa scia è stata intrapresa di recente dai Marlene Kuntz, ma degni del nome che portano, hanno saputo tenere in grembo l’idea per un considerevole numero di anni. Il risultato è strabiliante! A 25 anni dalla loro nascita e 20 dal disco di esordio (Catartica) riescono a donarci un salto diretto nel 1990 che non può che suscitare applausi e lacrime di commozione. Un modo geniale per dire “Noi ci siamo ancora e, per chi l’avesse dimenticato, siamo questi qui!”. L’esito è inevitabile, il giudizio è pienamente conforme al dono. Il dieci tondo lo tengo in tasca e lo dispenserò soltanto a patto che Pansonica sia l’equivalente di “è stato un piacere essere stati amati da voi”. Perché il vero attore è colui il quale sa esattamente quando è il momento di uscire di scena.
Warpaint – Warpaint
Ho visto le Warpaint dal vivo nel loro primo concerto in Italia, al Magnolia di Segrate, non mi ricordo l’anno (ricordo però che chiudevano la serata i Dinosaur Jr). Già all’epoca le quattro fanciulle California-based mi avevano saputo conquistare (dopo aver già conquistato gente tipo John Frusciante, che aveva mixato e masterizzato il loro EP d’esordio, Exquisite Corpse) con la loro miscela di Indie rarefatto e ossessività psichedelica vellutata, sospesa, da persiane chiuse su cappa di fumo da bong, con la luce a filtrare, gialla e pallida, tra le volute lente. Ecco, le Warpaint mi fanno salire l’espressionismo.
In quest’ultimo album self titled, che segue il già fortunato ma alquanto sfilacciato The Fool del 2010, la strada della nebbia Psico Indie è stata presa con ancora più forza e convinzione, trasformandola quasi in un labirinto purpureo di involuzioni fosfeniche, un palazzo escheriano in cui perdersi in saliscendi e false porte. Gli ingredienti del preparato psicotropo sono semplici e neanche troppo imprevedibili (vedere ultimi dischi dei Wild Beasts, per esempio): ritmiche quadrate e ossessionanti, con largo uso di drum machine e percussioni varie; un mare di synth, arpeggi di chitarra in delay, insomma, tutto quanto di più atmosferico ed etereo si possa innestare intorno a pattern ridondanti e riff dai tempi spezzati e rotolanti; e per finire, voci lontane, morbide, d’una femminilità impersonale, una sull’altra, come un coro di occhi lucidi a brillare nel buio.
Il disco (prodotto da Flood, già al lavoro con, tra gli altri, Smashing Pumpkins, Sigur Rós, Nick Cave And The Bad Seeds e mixato da Nigel Godrich di radioheadiana memoria) non ci rimane impresso per qualche canzone in particolare (anche se quelle riuscite per se ci sono: “Love Is to Die”, un instant classic, o “Disco//very”, col suo andamento danzereccio e strafottente, che farebbe la sua porca figura come colonna sonora in qualche episodio di Girls) ma è nel complesso che gira come deve, nella somma delle sue parti: una cavalcata mentale da strafatti californiani che può diventare il ballo ipnotico e lento di qualche sballata nei piccoli locali di LA (d’altronde, “love is to die, love is to not die, love is to dance […] why did you not die, why don’t you, why don’t you dance, and dance…”). Insomma, un buon prodotto in cui perdersi in occasioni rilassate da riempire di fumo e atmosfera. Astenersi cercatori di graffi ed oppositori delle droghe leggere.
Dawn to The Clouds – Far
Carpi è un comune italiano di 67.408 abitanti della provincia di Modena in Emilia-Romagna.Il comune, il più popoloso della provincia dopo il capoluogo, fa parte dell’Unione Terre d’Argine. Non ci troviamo in una puntata di Super Quark ma sulla pagina di Wikipedia dedicata a Carpi, che dimentica di citarla come città che ha dato i natali ai Dawn To The Clouds. Il terzetto si presenta con Far, il loro secondo EP, composto da quattro tracce per un totale di diciotto minuti scarsi, che suscitano quel languorino musicale che si vorrebbe sempre poter ascoltare schiacciando il tasto play. Dicevamo, quattro tracce che a primo impatto mostrano i denti e il carattere. Forti sono le influenze provenienti dal Rock made in USA e anche qualche strizzata d’occhio a certi riff provenienti da Grunge anni 90 come nel primo brano “On Your Lips”.
Difficile non lasciarsi coinvolgere dalle chitarre distorte e dalle sporcature disseminate per le tracce. Se poi a questo ci aggiungiamo il ritmo sostenuto da una sezione ritmica trainante ascoltiamo “Loneliness”, inserita in chiusura, piacevolmente colpiti di trovarsi di fronte a un ottimo esempio di potenza ed energia tradotta in musica. Considerando che stiamo parlando di un trio, la ricchezza non manca e anche dal punto di vista dell’accuratezza non possiamo che dargli un “bravi” in pagella. Abbiamo parlato di un inizio e una fine col botto, senza considerare che nel mezzo i Dawn to The Clouds hanno piazzato un’altra doppietta niente male con la cover “Florence” dei Be Forest, che si innesta nella stessa direzione fatta di energia, ritmo e distorsioni, e una ballad dal titolo proverbiale “Sunday”che tira un po’ il fiato prima della corsa finale. Se volessimo trovare delle corrispondenze con gruppi famosi probabilmente citeremmo gli Smashing Pumpkins, i Pearl Jam o i Dinosaur Jr ma preferisco pensare che i Dawn To The Clouds abbiamo trovato, in questo secondo EP, uno stile più personale e definito. Far dimostra di avere gambe forti ed energia da vendere, che spreriamo di ritrovare nella lunga distanza nei loro live e nei prossimi lavori.