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“Diamonds Vintage” Deep Purple – Made in Japan

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Credo fermamente che in ogni casa che “musicalmente” si rispetti,  ci sia una copia  – oltre all’album III° degli Zeppelin e il The dark side of the moon dei Floyd –  di questa pietra miliare dell’hard-rock universale, il Made in Japan originale dei Deep Purple, quello racchiuso dentro la copertina color oro e del quale ci si fregiava come di possedere una Bibbia miniata da Amanuensi doc.
Un giornalista del Kerrang Music Magazine un giorno disse…”..Ci sono momenti in quest’album che non ho mai sentito nella storia della musica rock..”, e aveva la ragione tutta dalla sua parte.

I Deep Purple già avevano tre fenomenali album in attivo, In Rock, Fireball e Machine Head, ed usarono alcuni dei pezzi contenuti per presentarli in tour in Giappone nel 1972, e ne venne fuori questo mastodontico doppio Lp che registrarono in tre serate e precisamente due a Tokio e una ad Osaka; il Made in Japan rivoluzionò e aprì la strada ad un nuovo modo di registrare la musica live, non più cellophane tapes ma strumentazioni d’avanguardia che potessero captare i suoni come in presa diretta e remixarli immediatamente all’esecuzione.
Paice, Lord, Glover, Blackmore e Gillan fecero sobbalzare il popolo rock d’oriente con invenzioni, cataclismi, riarrangiamenti ed evoluzioni sinfoniche che combattevano ferocemente tra il chitarrismo carismatico di Blackmore e l’ugola divina di Gillan, le due primedonne assolute di tutta la band; questo live è rimasto scolpito nel granito sovrumano di un’interpretazione che non ha mai riconosciuto eredi o pretendenti al trono dell’hard rock, nessuno ha mai potuto inserirsi nella velocità di Hammond e sviso di Highway star come nelle ottave di grazia ipersonica di Child in time.

La storia aveva già messo lo zampino e l’alloro sulle armonizzazioni infuocate della band che con un semplice ingranaggio di power chord inventò il riff di chitarra che tuttora rimane esempio da manuale, Smoke in the water, immortale pezzo mai superato, ma pure l’assolo di batteria dalle mille battute sincopate The Mule, la voce di Gillan che imitava di gola quello che Blackmore tirava fuori dalle corde elettriche tormentate di Strange kind of woman e le allucinazioni psichedeliche di tasti Hammond, spaziali elucubrazioni psicotrope di Lord e Glover Space Truckin e Lazy, sono lì ad iridarsi della gloria eterna, pura manna di vinile che ha sfamato milioni d’accreditate moltitudini.
Correva l’anno di grazia 1972, il popolo rock nipponico visse la potenza suonata di una nuova esplosione atomica, il resto del mondo ne subì le divinazioni radioattive dalle quali non volle schermarsi. Mai.

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