Soulseller Records Tag Archive

Devil – Gather The Sinners

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Pian piano i Devil si fanno strada, crescono progressivamente perfezionando il loro stile e superandosi. Gather the Sinners ne è la prova e parliamo di un altro centro fatto dalla magistrale Soulseller Records. Stoner, Psichedelia, Southern, ci trovate tutto in maniera compatta e amalgamata, aggiungeteci  le sinistre melodie che sfornano Eric Old e Murdock con le loro chitarre e avrete un prodotto di altissimo livello. Ancora una volta i Black Sabbath e i Witchfinder General lasciano la loro pesante influenza, evidente soprattutto e chiaramente per quanto riguarda i primi. Ciò non toglie comunque che i Devil siano riusciti ad  indirizzare questa influenza sulla retta via facendola propria in modo originale. Riff taglienti e baritonali, questa la principale caratteristica di Gather the Sinners, un lavoro che mostra le capacità di Jimmy e soci. Il disco in questione acquista  charme soprattutto in una stanza buia, diventa il Caronte di un viaggio mentale, queste almeno le modeste considerazioni del sottoscritto. Insomma i Devil hanno fatto centro, hanno sfornato un disco di qualità in cui i cavalli di battaglia sono l’opener ovvero “Southern Sun”, “They Pale” e “Darkest Day”. Questo disco vanta di un’ottima registrazione e di un eccellente mixaggio, insomma è stato lavorato ad hoc senza tralasciare nulla; da un po’ l’effetto del Rock anni 70 ma con  attrezzature moderne. Gather The Sinners è un disco che va ascoltato assolutamente, non deluderà affatto, anzi.

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Heretic – Angelcunts & Devilcocks

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Ci hanno fatto divertire e ci hanno fatto danzare con un genere che loro stessi hanno catalogato come Black’n’Roll, con alle spalle tre dischi e svariate raccolte; ora gli Olandesi Heretic tornano con un quarto album intitolato Angelcunts & Devilcocks e il loro stile sempre pacchiano. Certo, per chi non lo sapesse, premetto che non si tratta di un gruppo che che ricordi Burzum, Taake, Celtic Frost o Immortal; qui parliamo di cinque loschi individui che sanno lavorare con la melodia ed hanno ritmiche dannate e piuttosto meticolose. Piuttosto potremmo accostarli agli ultimi Satyricon, anche se più sdolcinati, oppure ai polacchi Black River. Anche l’artwork del disco ha il suo simpatico colorito da un lato (forse potevano risparmiarsi il cartone animato), ma se è trattasi di scelta provocatoria, probabilmente è azzeccata. Ma veniamo ad Angelcunts & Devilcocks: il disco contiene dieci tracce, tutte molto catchy, e con un ritornello evidentissimo e canticchiabile; un lavoro che si rifà al Black, al Punk e al Rockabilly in stile Misfits. Le tracce da dover tenere in considerazione principalmente sono l’opener “Hail the Best”, la title track, “Sweet Little Sacrifice”, la successiva “Morbid Maniac” e “Let me Be your Altar”.

Tutto il disco segue un solo filo logico dato da un preciso sound e strutture delle canzoni che regalano un ascolto stabile e lineare che chiaramente sarà un arma a doppio taglio perché suscettibile di diverse e antitetiche valutazioni, questo soprattutto per quanto riguarda la proposta attuale degli Heretic. In quest’ottica, per il web ho notato diversi critici che hanno totalmente annientato la band e il loro Angelcunts & Devilcocks eppure io sono sempre del parere che la musica è come ciò che mangiamo e di deve tenere conto delle emozioni che ci fa provare. Questo lavoro non è affatto malvagio e vi invito a provare ad ascoltarlo; probabilmente qualcuno coglierà qualcosa di buono a lungo andare perché in fondo è un disco che non stanca nonostante la volgarità.

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Bloody Hammers – Spiritual Relics

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Uno dei dischi che più attendevo era proprio questo: Spiritual Relics, il secondo platter partorito dai mastodontici Bloody Hammers. La curiosità di ascoltare il seguito di quell’omonimo album che aveva decisamente infatuato il sottoscritto era davvero tanta. A distanza di un anno dall’uscita del disco d’esordio questa piccola voglia viene colmata, la band statunitense torna a far parlare di se con Spiritual Relics. All’ascolto del disco la prima impressione scaturita riguardava la tempistica: per una band emergente fare uscire un secondo album a distanza di un anno dal precedente disco d’esordio è prematuro e poco costruttivo ed effettivamente il lavoro in questione ne fa da prova. Sia chiaro che la qualità del prodotto è buona ma non si sono scostati di molto dalla precedente proposta, anzi, addirittura troviamo qualcosa in meno. Se facciamo un confronto tra i due dischi notiamo da subito che  la band ha evitato quell’atmosfera cupa e sinistra che in un modo o nell’altro è stata caratteristica dell’omonimo; i riff Sabbatiani e quei particolari giri di chitarra sono rimasti (anche se questi ultimi nel disco precedente erano molto più elaborati) ma mancano di quella melodia oscura creata dagli effetti delle tastiere che sembrava rapirti. Insomma vi chiederete perché questo confronto cosi approfondito? Semplice: Spiritual Relics è come l’ omonimo del gruppo ma con qualcosa in meno, il che va a discapito dei Bloody Hammers e ammetto che mi dispiace dirlo perché è una band che a me personalmente piace davvero molto e ritengo che abbia grandi doti. Spiritual Relics non è affatto un cattivo album ma va al di sotto delle possibilità del gruppo, Anders Manga e soci potevano fare di più ed in questo disco invece di aggiungere hanno tolto. All’ interno del platter le uniche tracce che si fanno notare sono: “What’s Haunting You” ovvero l’ opener chee vanta un ritmo e dei giri di chitarra lodevoli; “The Transit Begins” che molto probabilmente è l’unica traccia che conserva quel fascino oscuro del quartetto e la rocciosa “Flesh of The Lotus” dallo sgargiante ritornello. Infine troviamo una canzone di chiusura che ti spiazza; trattasi di “Scienze Fiction”, una melodica canzone molto lieve e pacchiana in cui in risalto c’è la chitarra acustica. Come ho sottolineato spesso i Bloody Hammers hanno ottime potenzialità; purtroppo però credo siano stati troppo precipitosi e la creazione di questo lavoro è stata presa troppo sottogamba. Potevano fare molto di più.

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Bloody Hammers | Bloody Hammers

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Eccolo il disco che mi ha fatto rabbrividire, l’ omonimo dei Bloody Hammers, un eccezionale gruppo del Nord Caroline scoperto dall’ attenta Soulseller Records, dedito allo Sludge e allo Stoner con sfumature Doom. Esce spontaneo dirlo:  chi poteva tenere con se una band del genere se non la label citata prima? I Bloody Hammers esordiscono con questo cupo e psichedelico disco che già dall’ artwork fa il suo fottuto effetto. Le tematiche sono sinistre, inquietanti,  si fa riferimento all’ occultismo dunque a streghe, magia nera e oscurità, un classico del genere insomma, ma lasciatevelo dire, il disco musicalmente ha i suoi perché. Al sottoscritto è piaciuto al primo ascolto già dalla prima traccia, “Witch Of Endor”, i riff e i giri di chitarra sono strepitosi e comunque si tratta di un lavoro dinamico in cui ogni traccia ha qualcosa d’ interessante da mostrare come la successiva “Fear No Evil”, che intona una melodia capace di farti scuotere. Oppure c’è  “Say Goodbye To The Sun”, dai tetri  ma nel frattempo graffianti giri di chitarra; invece gli amanti del Doom apprezzeranno con disinvoltura la successiva “The Witching Hour”, questa song  farà eccitare pilastri come i Candlemass e i Doomraiser. “Bloody Hammers” è un lavoro eccezionale, la Soulseller Records ancora una volta ci ha visto giusto e sono convinto che i Bloody Hammers sono un grandissimo investimento. Ascoltateli e mi darete ragione.

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Tombstones – Year Of The Burial

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In queste ultime notti, fredde e cupe, sto accompagnando i miei lunghi momenti di riflessione, disteso sul letto e con il nuovissimo disco dei norvegesi Tombstones, ovvero “Year Of The Burial”. Sarò sincerò, il grintoso trio mi ha sempre incuriosito, apprezzai molto i loro dischi precedenti ma “Year Of The Burial” è la loro consacrazione. In questo disco Bjorn e soci sono arrivati ad affinare una tecnica strabiliante, il loro Doom certe volte svincola nello Stoner ed altre volte addirittura, talmente che rendono il suono grezzo, vibrante e massiccio nel Drone Metal. Gli Uncertainty Principle, i Black Sabbath, gli Electric Wizard e i Sunn O))) ascolterebbero questo disco con gli occhi a cuoricini; “Year Of The Burial” presenta eccezionali riff che uniti al baritonale suono del basso creano atmosfere che in pochi sanno fare. I Tombstones già dalla prima traccia, “Unveiling”, fanno capire le intenzioni che hanno ed il sound che vogliono proporre; bene o male il disco si muove su questi canoni, da un momento all’ altro il suono diventa più forte e assordante e in un altro momento più cupo  e decadente.  Personalmente questa nuova fatica del trio di Oslo è stata più che piacevole, mi rendo sempre più conto della grandezza della Soulsellr Records, che ogni poco sforna e ingaggia nel suo team straordinarie band e per concludere non posso fare altro che invitarvi ad ascoltare e procurarvi questo disco dei Tombstones, che credetemi è davvero interessante.

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