Quella dei Rebeldevil è una formazione da “Mondiali” per cosi dire, un supergruppo: Dario Cappanera, chitarrista dei leggendari Strana Officina, GL Perrotti, vocalist della Thrash Metal band Extrema, Ale Demonoid, batterista degli Exilia ed Ale Paolucci bassista dei Raw Power. Insomma si tratta di un formidabile quartetto che ha scritto parte della storia del Metal tricolore; parliamo di artisti che hanno sventolato la bandiera italiana in tutto il mondo e di esperti musicisti che sanno come comporre un disco da sogno. Ebbene l’unione dei quattro fuoriclasse non poteva che essere creativa. I Rebeldevil a distanza di sette anni dal discreto Against You si rifanno vivi con un disco, The Older the Bull, the Harder the Horn, che in linea generale assembla tutte le peculiarità delle quattro icone. Il platter in questione è un concentrato di adrenalina e contiene tracce che sono ideali per un viaggio in sella ad una fiammante Harley Davidson. Questo lavoro di Cappanera e soci potrebbe, senza alcuna difficoltà, essere uno dei dischi migliori made in Italy di questo anno. Inspirato, suonato bene ma soprattutto con un’anima. The Older the Bull, the Harder the Horn è un album di sano Rock’n’Roll e Southern Rock con qualche sfumatura Stoner. Potremmo considerare i Rebeldevil come l’anello mancate tra i Down e i Black Label Society. Si parte sparati con la massiccia “Rebel Youth”: voce aggressiva con riff taglienti e pomposi; un ottimo inizio non c’è che dire. Toccando direttamente i punti salienti citiamo: “Freak Police” dai giri di chitarra davvero mastodontici dove si concepisce che il tocco di Cappanera è un marchio e la successiva “Remember” di stampo più Rock’n’Roll. La title track è una canzone che probabilmente con i suoi riff e i suoi assoli farebbe impazzire Zack Wilde; parliamo di una traccia definita nei minimi dettagli. La successiva “Angel Crossed My Way” è una canzone che fa un pò rigenerare gli animi, una sorta di ballata che esprime al meglio le qualità di Perrotti. Con “Crucifyin’ You” si ritorna alla ribalta con i massicci riff di Cappanera e la voce cavernosa di Perrotti. Adesso è il momento della mia canzone preferita: “Alone in the Dark”; questa citata rompe gli schemi del disco, troviamo un GL Perrotti diverso in cui viaggia su canoni più puliti ed anche la chitarra di Kappa cambia aspetto spostandosi su versanti molto più melodici senza però abbandonare la rocciosa e pomposa base che caratterizza il disco. Con “Power Rock’n’Roll” giungiamo all’ ultima frenetica cavalcata dei Rebeldevil, una chiusura col botto che rende onore all’ operato del gruppo. The Older the Bull, the Harder the Horn è una piccola perla di questo anno sfornato da un gruppo italiano; con questo episodio di Dario e soci si manifesta un momento di fierezza per il Rock nostrano.
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Devil – Gather The Sinners
Pian piano i Devil si fanno strada, crescono progressivamente perfezionando il loro stile e superandosi. Gather the Sinners ne è la prova e parliamo di un altro centro fatto dalla magistrale Soulseller Records. Stoner, Psichedelia, Southern, ci trovate tutto in maniera compatta e amalgamata, aggiungeteci le sinistre melodie che sfornano Eric Old e Murdock con le loro chitarre e avrete un prodotto di altissimo livello. Ancora una volta i Black Sabbath e i Witchfinder General lasciano la loro pesante influenza, evidente soprattutto e chiaramente per quanto riguarda i primi. Ciò non toglie comunque che i Devil siano riusciti ad indirizzare questa influenza sulla retta via facendola propria in modo originale. Riff taglienti e baritonali, questa la principale caratteristica di Gather the Sinners, un lavoro che mostra le capacità di Jimmy e soci. Il disco in questione acquista charme soprattutto in una stanza buia, diventa il Caronte di un viaggio mentale, queste almeno le modeste considerazioni del sottoscritto. Insomma i Devil hanno fatto centro, hanno sfornato un disco di qualità in cui i cavalli di battaglia sono l’opener ovvero “Southern Sun”, “They Pale” e “Darkest Day”. Questo disco vanta di un’ottima registrazione e di un eccellente mixaggio, insomma è stato lavorato ad hoc senza tralasciare nulla; da un po’ l’effetto del Rock anni 70 ma con attrezzature moderne. Gather The Sinners è un disco che va ascoltato assolutamente, non deluderà affatto, anzi.
Gypsy Chief Goliath – New Machines of the Night
Gira e rigira stai sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo e vedi che alla fine il tuo intento lo raggiungi. È sempre stato cosi, non ci sono santi, il mondo è pieno di bella musica, basta solo avere un po’ di pazienza nel cercarla. Questa volta mi è toccato scovare i Gypsy Chief Goliath, un gruppo i cui membri non sono affatto nuovi sulla scena Rock mondiale. Il gruppo è giunto al suo secondo platter, New Machines of the Night, un lavoro carico di bei riff, arpeggi e giri di chitarra, insomma un’esplosiva miscela di Blues e Southern Rock. Girando per il web notavo che qualcuno li considera come una versione moderna dei Black Sabbath e, molto probabilmente, detto con molta onestà, chi ha diffuso queste voci non ha tutti i torti. Ad ogni modo, non appena ho ascoltato questa band e questo disco, la prima cosa che mi è saltata in mente è: questi tizi sono fra quei pochi che possono fronteggiare i Down, se parliamo di Southern.
Già dalla prima traccia, “Uneasy Kings”, è noto l’ andamento e il tipo di proposta dei G.C.G.; questa traccia fa parte delle più belle del disco insieme a “Dirt Meets Rust”, “St. Covens Tavern”, la successiva “Got No Soul” e l’ eccezionale “This White Owl”. Andando per ordine: “Dirt Meets Rust” è la traccia più rocciosa, la song con il sound più graffiante; “St Covens Taverns” invece è probabilmente il cavallo di battaglia di New Machines of the Night, una sorta di ballata che vede una ritmata melodia che ricorda un po’ certe musiche folkloristiche. “Got No Soul” vanta di una serie di riff di chitarra da brividi insieme alla buona fisarmonica; vi basterà ascoltare come comincia; l’ultima traccia da tenere in considerazione è “This White Owl”, dalla struttura piano-forte, anche qui sono presenti incantevoli trascinanti giri di chitarra; in questa song soprattutto i G.C.G. hanno dato dimostrazione di grande dote artistica. New Machine of the Night è un gran disco.
È piacevole ascoltarlo nel pomeriggio steso sul letto in un momento di riflessione ma lo è ancor di più durante un viaggio in macchina mentre si percorrono le lunghe autostrade. Date una possibilità a questi ragazzi Canadesi non ve ne pentirete affatto.
Bloody Hammers – Spiritual Relics
Uno dei dischi che più attendevo era proprio questo: Spiritual Relics, il secondo platter partorito dai mastodontici Bloody Hammers. La curiosità di ascoltare il seguito di quell’omonimo album che aveva decisamente infatuato il sottoscritto era davvero tanta. A distanza di un anno dall’uscita del disco d’esordio questa piccola voglia viene colmata, la band statunitense torna a far parlare di se con Spiritual Relics. All’ascolto del disco la prima impressione scaturita riguardava la tempistica: per una band emergente fare uscire un secondo album a distanza di un anno dal precedente disco d’esordio è prematuro e poco costruttivo ed effettivamente il lavoro in questione ne fa da prova. Sia chiaro che la qualità del prodotto è buona ma non si sono scostati di molto dalla precedente proposta, anzi, addirittura troviamo qualcosa in meno. Se facciamo un confronto tra i due dischi notiamo da subito che la band ha evitato quell’atmosfera cupa e sinistra che in un modo o nell’altro è stata caratteristica dell’omonimo; i riff Sabbatiani e quei particolari giri di chitarra sono rimasti (anche se questi ultimi nel disco precedente erano molto più elaborati) ma mancano di quella melodia oscura creata dagli effetti delle tastiere che sembrava rapirti. Insomma vi chiederete perché questo confronto cosi approfondito? Semplice: Spiritual Relics è come l’ omonimo del gruppo ma con qualcosa in meno, il che va a discapito dei Bloody Hammers e ammetto che mi dispiace dirlo perché è una band che a me personalmente piace davvero molto e ritengo che abbia grandi doti. Spiritual Relics non è affatto un cattivo album ma va al di sotto delle possibilità del gruppo, Anders Manga e soci potevano fare di più ed in questo disco invece di aggiungere hanno tolto. All’ interno del platter le uniche tracce che si fanno notare sono: “What’s Haunting You” ovvero l’ opener chee vanta un ritmo e dei giri di chitarra lodevoli; “The Transit Begins” che molto probabilmente è l’unica traccia che conserva quel fascino oscuro del quartetto e la rocciosa “Flesh of The Lotus” dallo sgargiante ritornello. Infine troviamo una canzone di chiusura che ti spiazza; trattasi di “Scienze Fiction”, una melodica canzone molto lieve e pacchiana in cui in risalto c’è la chitarra acustica. Come ho sottolineato spesso i Bloody Hammers hanno ottime potenzialità; purtroppo però credo siano stati troppo precipitosi e la creazione di questo lavoro è stata presa troppo sottogamba. Potevano fare molto di più.