A differenza dei compagni di etichetta Underground Youth, gli olandesi Radar Men from the Moon hanno compiuto un viaggio diametralmente opposto, almeno fino all’uscita datata 2015 di entrambi. Se quelli di Manchester avevano esordito con poche promesse per il futuro salvo poi evolvere e crescere fino a buoni livelli, la band di Glenn Peeters aveva debuttato due anni dopo con tante ottime prospettive che, col passare degli anni, si sono rivelate illusorie. Un percorso antitetico, dunque, che però ha portato le due band a un risultato (l’ultima release per intenderci) molto simile, in quanto a giudizio critico. Non si faccia l’errore di immaginare le due formazioni parificabili in quanto a stile, non è questo che le accomuna. Messa da parte l’etichetta e la quasi contemporaneità dell’ultimo album, la vicinanza tra Radar Men from the Moon e Underground Youth può ritrovarsi solo in una non troppo marcata predisposizione a suoni di stampo Psych Rock. Tornando ai nostri olandesi, parliamo, infatti, di quattro brani per circa trentacinque minuti di musica, completamente strumentali. L’avvio di “Deconstruction” è una bomba per quando diretto e potente. Col passare dei minuti però, quella stessa veemenza si riduce in una banalità sonica e una monotonia ritmica, che talvolta sembra voler prendere pieghe Math Rock ma che alla fine è solo volgarità creativa. La situazione non migliora con i brani seguenti, anche se il lungo intro Minimal Noise di “Neon” inserisce qualche elemento di varietà apprezzabilissimo, ponendo le basi del brano più intrigante di tutto questo Subversive I. “Hacienda” chiude il disco provando a fornire nuovi ingredienti ma anche in questo caso è la noia a farla da padrone oltre che un’insipidezza retorica quasi avvilente. L’unica cosa che salva il disco la troviamo nella traccia numero tre e in qualche fugace tentativo di uscire dallo schema precostituito dai Radar Men from the Moon come nella parte finale della closing track; per il resto, se proprio volete cimentarvi con lo Space Rock, andate a ripescare qualche vecchio disco di Spacemen 3, Gong o Hawkwind o se cercate qualcosa di più attuale, magari proprio di questo 2015, provate con i veterani britannici Ozric Tentacles o, se desiderate una band freschissima, coi cileni Föllakzoid perché l’ultimo dei Radar Men from the Moon sarà duro da digerire.
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Luigi Porto, esce Scimmie.
Nuova uscita per Snowdonia Dischi, una coproduzione, questa volta con l’etichetta viennese Cineploit. Il nuovo disco è Scimmie di Luigi Porto: si tratta della colonna sonora di un film ancora inedito, L’apocalisse delle Scimmie del regista cult Romano Scavolini (A Mosca Cieca, Nightmare).
Luigi Porto, già membro di Maisie e songwriter sperimentale solista con Appleyard College, è un compositore (e sound designer) italiano che vive a New York. Il disco, uscito in vinile e CD, è una sorta di viaggio senza ritorno negli abissi più oscuri dell’animo umano attraverso mille diverse suggestioni, una sorta di “world music dell’Apocalisse” che non sta mancando di entusiasmare gli amanti dell’avanguardia e dell’elettronica più “oscura”. Per ascoltarlo bisogna essere pronti a tutto: si passa da un astrattismo orchestrale alla Berio/Macchi all’Hip-Hop east coast (con l’ospitata di Mr.Dead) fino all’Avant-Jazz e allo Space Rock.