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Preti Pedofili – L’Age D’Or

Written by Recensioni

Cosa pensereste se entrando nel website di una band vi trovereste di fronte questa frase? “L’uomo è il sacerdote del caos, la pedofilia è la sua volontà di potenza sulla natura infante, la vita è la celebrazione di tale miseria. I preti pedofili danno messa ogni giorno.” Spero che la risposta sia: “E questi pazzi da dove escono? Mo me li vado ad ascoltare per vedere quanto sono blasfemi!” e blasfemi lo sono, a partire dal nome che hanno scelto per presentarsi: loro sono i Preti Pedofili e suonano con tanto di tunica sacerdotale e colletto bianco. Insomma promettono bene anche senza ascoltarli direi. Ora, dopo Golem, Faust e lo Split con i Nastenka Aspetta un Altro, ci presentano L’Age D’Or, il primo vero full-lenght composto da dieci tracce liberamente ispirate al cortometraggio surrealista Un Chien Andalou (1929) di Luis Buñuel e Salvador Dalì. Il punto centrale di tutto l’album non è quindi quello di spiegare o trovare una logica nel degrado e nella solitudine che caratterizza l’odierna società occiedentale, ma di fotografare e creare suggestione attraverso “Il Male” intrinseco della società stessa: ingiusta ed atroce.

Quindi iniziamo subito con un tocco di Country sintetizzato in “Iride”, un brano che si conclude con un lungo sermone sulla sensibilità della vita e sull’importanza della libertà individuale, poi c’é “Mavis” con il suo materialismo alienante e chitarre ripetitive a farla da padrone, a seguire c’è “Self Made Man”, una traccia gridata, parlata, effettata ed accompagnata da un beat complesso e mai ripetitivo, poi è la volta di “Cancro”, brano che si sviluppa da un intro di batteria per poi sfociare in grida, distorsioni ed un racconto malvagio, concludendosi infine con un rumore industriale. Dalla quarta traccia in poi si cambia registro: si entra in un mondo più melodico e Rock (che mantiene comunque la sua particolarità blasfema attraverso un cantato simile ai cori cristiani) in “Dies Irae”, si aggiunge invece una voce diabolica che si esprime in mezzo a una batteria sincopata, stralci di calma melodica, synth disturbanti e chitarre distorte o con delay in “C’est Femme l’Autre Nom de Dieu” e “Vio-lento”, mentre segue un suono più elettronico in “Begotten” ed una drum-machine in “Primo Sangue”. L’ultima traccia, “Hate”, si serve di sonorità più lente rispetto a tutti gli altri brani, concludendo dunque con un’ottima scelta sonora che descrive quell’odio profondo che pian piano si sviluppa dentro un essere umano prendendone infine il completo possesso.

Il suono dei Preti Pedofili è come un palazzo a quattro piani: il pianterreno sono i testi (importanti ed essenziali per la struttura), il primo piano è la batteria (strutturata, piena di variazioni, e complessa come la vita che si sviluppa dentro ogni appartamento), il secondo piano è il basso (dritto come un corridoio), ed infine l’ultimo piano è la chitarra (effettata e spesso eterea come il vento, la pioggia, la luce e l’ombra che penetrano da una finestra).

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