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Sergiolimbo – Spinning Jenny

Written by Recensioni

Questo album mi è arrivato nella buca delle lettere in un’anonimo sabato di fine primavera. Di quei giorni in cui ti sei ben abituato a vedere a lungo la luce del sole e a respirare aria calorosa, giorni in cui la tua pelle non ci fa nemmeno caso e si inizia a scoprire. Ho piazzato questo cd in macchina, ho messo su le prime due tracce (la prima è un intro), ho ascoltato un frammento di questo canzoniere esageratamente italiano, ho girato l’emblematica cover e ho visto che di tracce ne conteneva altre 16. Ho stoppato il cd, l’ho riposto nel cruscotto e ho messo su un greatest hits dei Thin Lizzy. Decisamente più da finestrino giù in un “saturday night alright for fighting”.

Passano quasi 6 mesi e pescando a caso nel cruscotto me lo ritrovo tra le mani. No, non  mi metto a ricercare i Thin Lizzy, me lo ascolto. Lo ammetto: lo faccio un po’ per senso di colpa verso la professionalità che devo mantenere in questo mestiere, ma anche un po’ per curiosità verso un album che pare effettivamente contenere un mondo strambo, irregolare e indisciplinato, seppure mantenuto nei binari della musica popolare più standard.
Sergiolimbo da Faenza è in effetti un personaggio curioso, a partire dal titolo dell’album: improponibile nome dell’antica macchina filatrice delle fabbriche tessili (in italiano Spinning Jenny è la Giannetta!). Ma appena rimetto nell’autoradio il disco, si scatena un turbinio nella mia mente che incredibilmente mi fa ritornare al primo distratto ascolto de “Il treno per Marte” (secondo brano del disco). Ricordo il semplicissimo ritornello, le immagini di fuga mai troppo lontane, le rime strampalate e magnificamente scontate. Il filo della Giannetta, dopo mesi di disuso, riparte.
Sergio sfodera un’onestà unica e ci parla di se stesso e del mondo che lo circonda come se fosse un bambino cresciuto a metà tra le nuvole e la terra brulla, tra i sogni e la fatica, tra Lucio Battisti e Povia passando (perché no?) per Franco Battiato. Un Peter Pan che paga le tasse, guarda la TV ma sogna di viaggi lontani e musiche vicine, mischia il sacro e il profano.

Certo non si può dire che la scelta dei 18 brani sia azzeccata. Dico un’incredibile banalità, ma le canzoni fossero state 10 il disco si farebbe ascoltare molto più agilmente e probabilmente sarebbero stati curati anche meglio alcuni arrangiamenti e sonorità (ogni volta che appare una chitarra elettrica mi corre un brivido di ribrezzo). Ma forse non sarebbe stato “tutto”, e qui Sergio c’è proprio “tutto”. Prendiamoci allora la completezza del personaggio e tutta la catena di montaggio, che fa correre un filo coerente nella sua imperfezione e infantilità. Proprio Sergio nel finale del disco ci chiede se la sua è una “Missione compiuta?”, beh in qualche modo lo è.
Gli episodi felici comunque non sono poi così rari, spulciando un po’ tra le migliaia di visioni e pensieri del cantautore troviamo favole di squisita intensità: la voce lontana e dispersa di “Astronave base”, la mitologia che diventa una “banalissima” storia d’amore in “Orfeo”, gli istanti felici e le rabbie feroci che riassumono il duro percorso della vita in “Solo”, la dichiarazione di unicità in chiave danzereccia di “Non mi riconosco”.
Un grande mondo rinchiuso in un disco ben coeso e legato da un forte sentimento di umanità che ha il suo picco in un brano magnifico come “L’uomo caduto”, forse senza un vero senso logico ma che descrive con una carrellata di immagini questo sentimento necessario che abbraccia onnipotenza e debolezza dentro la figura dell’essere umano.
Sergiolimbo non è un grande autore, non è neanche un grande musicista e lo riconosce pure. Ma il suo mondo è un parco giochi aperto a tutti, e un giretto dentro io ve lo consiglio. Ne uscirete con un sorriso e mille punti di domanda.

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