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Magnum – Escape From the Shadow Garden

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I Magnum sono leggenda, questo è risaputo, tutto ciò che toccano diventa oro senza (quasi) mai commettere un passo falso. Il loro Hard Rock risulta sempre sublime ed unico, riconosci il loro stile tra milioni di altri, hanno dato insegnamenti senza dare troppo nell’occhio come già fatto da qualcun altro più conosciuto; che poi, se dobbiamo dirla tutta, molti di questi non hanno nulla in più di Bob Catley e soci. La band inglese si ripropone con un nuovo disco intitolato Escape From the Shadow Garden. Parliamo di un lavoro che sicuramente si mantiene saldo sui canoni dei Magnum ma fa parte, molto probabilmente, di quella schiera poco ispirata della loro discografia. Sembra quasi che abbiano ripescato dal loro repertorio tutte le Hit traendone per ognuna l’elemento principale per poi miscelare il tutto in un unico calderone, da qui Escape From the Shadow Garden. Queste non è certo un capolavoro come Vigilante, Sleepwalking o On A Storyteller’s Night ma racchiude in se alcuni dei pregi dei gloriosi titoli citati. C’è da notare un particolare: pare che tutti questi elementi abbiano portato i Magnum su di una tendenza Power e non a caso l’accoppiata chitarra/tastiera molto più marcata rispetto al solito, la dice lunga. L’apertura del disco spetta a “Live Till You Die” una traccia dagli ottimi riff di chitarra, un pezzo che nel bene o nel male si fa notare. Passiamo direttamente a “Cryining in the Rain”, brano composto da chitarre rocciose ed anche qui, ancora una volta, si sente la sensualità della voce di Bob Catley. Con la successiva “Too Many Clowns” ci si comincia scuotere trasportati dalle graffianti chitarre; “Midnight Angel” mette in risalto le tastiere, non a caso queste ultime creano interessanti melodie, di quelle che ti rimangono nella mente, tirando il pezzo per una durata di circa sette minuti. “Don’t Fall Asleep” invece è la più sensuale del disco: lieve, melodica e con un ritornello molto orecchiabile, probabilmente uno dei cavalli di battaglia di Escape From the Shadow Garden. I ritmi tornano ancora una volta molto veloci in “Burning River” dove le chitarre prendono ancora una volta il completo controllo della scena. Arriviamo direttamente a “The Valley of Tears”, la canzone di chiusura, caratterizzata da ottimi riff e dalle tastiere marcate, aggiungeteci la solita voce di Bob ed otterrete un altro pezzo che non passa assolutamente in secondo piano. La carriera dei Magnum è intensissima, come ben sapete sono in circolazione dalla fine degli anni settanta ed i passi falsi che hanno commesso sono pochissimi, se si parla di loro si parla di un’ altra pietra miliare dell’Hard Rock, arrivare ai giorni nostri con un onesto disco è roba da pochi.

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Crematory – Antiserum

Written by Recensioni

Potrei dire che i Crematory li conosco più per i loro anni di attività, la loro gavetta e i loro tredici dischi piuttosto che per un lavoro in particolare che si sia fatto notare rispetto agli altri.  Il difetto di questa band sta nel non voler azzardare; il gruppo teutonico è sempre stato sulle sue, a cavallo di una proposta Gothic Metal fatta di chitarroni e tastiere, standardizzato e prevedibile. Potremmo dire che il loro fu un andazzo rischioso se teniamo conto  che in terra dovevano fare i conti prima con pilastri come i Lacrimosa e i Lacrimas Profundere e successivamente con Eisheilig, ASP, Leichnweter e L’ Ame Immortelle.

Questo per dire che la proposta dei Crematory non è mai cambiata più di tanto nel corso degli anni anche se c’è stata qualche variazione in cui, il più delle volte, si riscontrava sulla melodia dell’ album e sulla lingua madre ma per il  resto non sono andati mai oltre; forse una speranza la diedero con Revolution nel 2004 ma non fu più di una illusione, si trattava di fumo negli occhi. Il problema reale è che non hanno mai spiccato per originalità, non dico che dovevano essere innovativi ma almeno un pizzico di personalità dovevano averla. Ora a distanza di quattro anni dal sufficiente Infinity, la band si rimette sul mercato con Antiserum un lavoro che ancora una volta non smentisce l’immobilità della band, anzi, addirittura sembra siano regrediti.

In questo disco sembra che i Crematory si siano addirittura adattati alla moda del Gothic Metal attuale: potenti riff che sono tutti dello stesso andazzo, un cantato in growl  che si posa su delle banali melodie create per la maggiore dalle tastiere ed un sound rimbombante degno delle più alte tecnologie del momento. Insomma anche in questo nuovo capitolo dei ragazzi teutonici non c’è nulla di nuovo, tutto è rimasto come era: nessuna nuova idea, nessun cambiamento solo musica trita e ritrita. Detto con sincerità, durante l’ ascolto non sono riuscito neppure ad individuare una traccia di spicco che facesse la differenza rispetto ad un altra. Sono all’ incirca venti anni che i Crematory sono in circolazione; saltando una piccola pausa che si sono presi verso il 2000, la band è comunque restata ferma senza cambiamenti o per esser più cattivi miglioramenti. La cosa dispiace perché in sede live i Crematory sono degli assi: sanno tenere un palco, sono bravi ad interagire con il pubblico e soprattutto sono degli ottimi musicisti. Speriamo di non ritrovarci in un “eterna illusione”, io personalmente continuo a  sperare, certo la fiducia e pochissima  ma non è mai detta l’ ultima parola.

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