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Staggerman – Don’t Be Afraid And Trust Me

Written by Recensioni

L’uomo che barcolla è tornato. Non abbiate paura e fidatevi di lui. Non è più il tempo di essere piccoli, “Tiny, Tiny, Tiny” (album d’esordio datato 2010), non è il tempo dei campi verdi ma Staggerman è comunque lo stesso vecchio diavolo di sempre. Il lombardo Matteo Crema germoglia col mito della musica e dei Nirvana e scopre i sui superpoteri da Staggerman nel 2009. Nello stesso anno esce autoprodotto l’album “Tiny, Tiny, Tiny” e critica e pubblico, anche grazie a diversi passaggi radiofonici (Radio Rai su tutti) e tv (trailer Mediaset) dimostrano di apprezzare oltre ogni auspicato desiderio. Due anni dopo, un’altra congiuntura decisiva nella carriera del giovane cantautore lombardo, si ha con la compartecipazione alla compilation “OndaDrops Vol. 4”, realizzata in collaborazione con una nota webzine del settore. La raccolta, realizzata da diversi songwriter e folkster contemporanei, si propone di rimaneggiare il sound outlaw country statunitense dei padri del sogno, come Hank Williams, Kinky Friedman, Johnny Cash o Guy Clark. Di fianco al nostro, troviamo nomi importantissimi della scena, quali i grandi Great Lake Swimmers di Tony Dekker, Pwolf And Avi, Caleb Coy, West Of The Shore, Buster Blue e tanti altri delinquenti e cowboy in viaggio tra la polvere del Texas nella strada per Los Angeles. Insieme con Laura “Lalla” Domeneghini, Staggerman presenta il duetto Lee Hazlewwod e Nancy Sinatra di “Summer Wine”, proposta in versione Wilco. Da qui l’avventura inizia a divenire cosa seria. Altri brani sono inseriti in note compilation Indie Rock e nel 2012 arriva finalmente il secondo, difficile lavoro, Don’t Be Afraid And Trust Me. E il bello è che è tutto ancora più bello di quello che è stato. Più spirituale. A partire dai disegni minimali di Matteo, del bellissimo artwork.

Il disco si apre con “Maybe I Won’t”, e la chitarra e la voce di Staggerman ci regalano momenti di solitudine e malinconia in perfetto stile The Black Heart Procession (il brano sembra assolutamente uscito dalla penna di Pall Jenkins e soci). Pare di ascoltare le ultime parole di Staggerman che seduto a una sedia davanti ad una bottiglia di vino attende l’ingresso della Morte che ogni minuto, scalcia ballando alla porta, pronta a fare il suo nero ingresso trionfale. Un brano bellissimo che ha la pecca di essere davvero troppo somigliante al sound dei suddetti americani di San Diego. Poco importa alle nostre orecchie, tuttavia.

Con “(Not) The Man I Used To Be” la musica prende tutta un’altra piega. Una via di mezzo tra il solito genio di Wilco e il Neil Young più spensierato. Un pezzo dall’armonia fenomenale e arrangiamenti eccelsi, tanto che sembra di spiare il nostro Neil (esclusa la voce non molto affine) accompagnato, invece che da un’armonica, da fiati, corni (Marco Romele, Emanuele Guizzetti e Diego Filippi) che esaltano la potenza melodica del pezzo. In “Morning Walk” si vola nella più classiche e segrete atmosfere Folk d’oltreoceano, tra parole d’amore guidate con delicatezza dal piano di Guglielmo Scarsi (che con Lorenzo Colosio alla batteria e Salvatore Lentini al basso formano la struttura portante della band di Staggerman nelle esibizioni live).  “Can’t Stand Up” è il primo momento Indie Rock del disco. La batteria pulsa come un cuore impazzito mentre il basso scandisce un ritmo ossessivo in contrapposizione alla melodia Pop. Una miscela di Arcade Fire e Okkerville River con una spruzzata di sano santo Folk e motivo quasi jangle alla Belle & Sebastien. È la volta del Blues. “The Night I Saw You Stripping” è la manifestazione acida di Staggerman che abbraccia I moderni idoli della musica del diavolo, The Black Keys, con una mano, mentre con l’altra stringe i favolosi e psichedelici anni sessanta di The Doors e Jimi Hendrix. “Skinny Pretty Freak” vi rapirà già dall’intro che sembra lo spiraglio di una porta socchiusa di una dance hall anni ottanta. Poi il basso diventa il protagonista esclusivo prima che la voce di Staggerman si riveli in quella che era una delle sue manie dei lavori precedenti (Sour Times è l’esempio perfetto) ovvero l’omaggio, l’imitazione, il sacrificio a, l’atto di riverenza a. Insomma, chiamatelo come volete, ma quello che ascoltate è quanto di più analogo possa fare un ragazzo dal nord dell’Italia al mitico Mister E, in altre parole Mark Oliver Everett e alla sua creatura Eels.

La parte terminale del disco inizia con la bellissima ballata “Everything Is Nothing”. Poi torna la carica di “Too Hot To Die” prima di “Turtles”, tutta dedicata al solo piano di Scarsi. Il finale è invece assegnato alla nenia “If I Could Only Live My Life Twice” che si scioglie come neve al sole, come sangue tra le mani bagnate di lacrime. Parole che si disgregano in un tripudio di distorsioni che chiudono il brano e l’album, ricordandoci che “Days and years are passing by sooner than we would expect /i giorni e gli anni passano prima di quanto ci si aspetterebbe”. Oltre alle canzoni, il disco contiene una traccia video, che si apre con le parole Diesel 24062. È lo studio di registrazione di (in parte) Don’t Be Afraid And Trust Me. Il video, presenta le immagini dei musicisti e dei luoghi che hanno reso possibile questo lavoro (il disco è stato registrato oltre che con tre diversi batteristi, anche in tre diverse sessioni di registrazione, in tre punti diversi), con sottofondo la loro musica e alcune parole che compaiono di tanto in tanto a dare indizi su come sia nato l’album. Da un punto di vista prettamente musicale non ha assolutamente rilievo ma ne ha tantissimo per aiutarci ad apprezzare le persone che si nascondono dietro le note e le parole, per apprezzarne lo spirito e i sacrifici, la passione. Un bellissimo regalo per chi ha amato le canzoni di Matteo Crema e per chi ancora non l’ha fatto.

Un disco seducente ,nato dal cuore di chi ama la musica oltre ogni cosa e fatto per chi ama la musica, specie quando è capace di portarci a sognare in luoghi troppo spesso divorati dall’avanzata del progresso. This is Folk, this is Country, this is Staggerman.

 

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