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Aa. Vv. – Happy Birthday Grace!
Ci sono album e musicisti che la bravura e il destino hanno reso immortali, imprimendoli nella memoria e nell’immaginario di molti. Jeff Buckley è sicuramente uno di loro, una vera meteora che ha illuminato per troppo poco la scena musicale mondiale, ma che ha saputo in così breve tempo lasciare un’impronta indelebile nella storia del Rock. Nell’agosto del 1994 usciva il suo capolavoro, Grace; vent’anni dopo, lo studio di registrazione QB Music di Milano, pubblica in free download una compilation che ne celebra il ricordo. Parlare di semplice tributo non è corretto perché il lavoro di reinterpretazione e omaggio alle dieci tracce che compongono Grace va aldilà della semplice “coverizzazione” dei brani. Gli artisti presenti hanno saputo, grazie alle sapienti mani dello studio, creare qualcosa di veramente nuovo e non scontato, basando il lavoro su una forte ricerca dei suoni e degli arrangiamenti, portando le melodie di Grace negli anni 2000 attraverso la New Wave, il Funk, l’Elettro Pop e le sperimentazioni musicali. Capita spesso che le reinterpretazioni e i tributi, nella ricerca dell’omaggio perfetto a tutti i costi, inciampino nella miope rete dell’emulazione e finiscano per essere solo delle brutte versioni dell’originale. QB Music e gli artisti coinvolti sono riusciti invece a trovare il giusto equilibrio e mix tra la versione originale e le diverse personalità degli interpreti che si susseguono, offrendo un punto di vista differente e tratti irriverente e un po’ impudente. Così ci si ritrova ad ascoltare “Mojo Pin” in versione New Spleen Wave, dove la carica interpretativa di Buckley viene resa materiale dai synth effettati degli Starcontrol; una veloce e ritmata “Grace” “groovizzata” grazie alla sorprendente voce ed energia di Naima Faraò dei The Black Beat Movement.
Tra le dieci tracce ce ne sono due che si contraddistinguono per intensità e sperimentazione, anche se lo fanno muovendosi su territori ben distinti e sono la scura “So Real” in cui i Two Fates, attraverso un tappeto di suoni sintetici, attualizzano il senso claustrofobico e di angoscia affidati a basso e batteria nell’originale, e “Corpus Christi Carol“ solenne e celestiale che si trasforma in terrena e quasi tribale grazie alla ritmica dei piatti e dei tamburi dello Zenergy Trio. Due interpretazioni altrettanto interessanti e ricche di emozioni sono quella di “Lilac Wine” che diviene un blues scarno e graffiante con la sensibilità di Sergio Arturo Calonero, e dell’immortale “Hallelujah”, uno dei compiti più ardui, che gli Io?Drama superano brillantemente grazie alle grandi capacità vocali di Fabrizio Pollio e al violino di Vito Gatto. Happy Birthday Grace! È un lavoro curato, bello da ascoltare, cha valorizza gli artisti che vi hanno partecipato e rende omaggio alla grande musica e alle capacità interpretative di Jeff Buckley con altrettanta qualità, sempre con la giusta consapevolezza del confine tra imitazione e tributo.
Ecco i vincitori di Happy Birthday Grace!
Il concorso HAPPY BIRTHDAY GRACE!, realizzato dallo studio di registrazione milanese QB Music in collaborazione con Rockambula, è giunto quasi alla fine.
Ecco quindi i nomi dei tre vincitori che, lo ricordiamo, sono stati scelti, rispettivamente, da una votazione online sulla pagina di QB Music, dalla redazione di Rockambula e dallo staff di QB Music.
PREMIO DEL PUBBLICO: STARCONTROL
PREMIO ROCKAMBULA: IL SENTIERO DI FLAVIA
PREMIO QB MUSIC: ANTONELLO BRUNETTI
I tre vincitori, oltre ai premi (che prevedono sconti, ore di registrazione gratuite, intervista e recensione su Rockambula, ecc.), guadagnano la possibilità di partecipare alla compilation-tributo a Jeff Buckley che QB Music produrrà durante il 2014 e che distribuirà gratuitamente online nel mese di agosto, a vent’anni dall’uscita del grande capolavoro del musicista scomparso prematuramente, Grace.
Ricordiamo che un quarto artista sarà scelto domani sera attraverso un live contest che si terrà a Pratola Peligna (AQ) e organizzato da Streetambula, il braccio di Rockambula che come sapete si propone di organizzare eventi e dare alle band tutte le possibilità concrete per realizzare i propri sogni. I 4 candidati sono Dr. Quentin, Droning Maud, Two Fates e Caligo i quali proporranno brani originali e una cover di Grace.
Per maggiori informazioni: www.facebook.com/QBMusicStudio
Pagina Facebook Evento Streetambula
Starcontrol – The ages of dreams
La musica alternative italiana è depressa. Punto. Non mi riferisco alla pochezza di contenuti, alla scarsità della scena, al basso valore. Anzi. Di cose se ne dicono a bizzeffe nelle canzoni dei nostri connazionali che si affacciano sulla scena musicale (bisogna vedere come, ma è un altro discorso), gruppi ce n’è a iosa, la qualità tecnica e la ricerca squisitamente musicale sono alte.
Eppure non c’è scampo, mi sembra evidente: o ti piangi addosso in stile Radiohead o fai l’incazzato –ma deluso, desolato e prossimo alla sconfitta- sulla scia del Teatro degli Orrori e soci.
A nostra discolpa posso ammettere che un po’ tutto il panorama indie abbia questa tendenza al crepuscolare, con qualche eccezione forse per certe nuovissime leve americane.
Ultimamente, però, c’è un altro faro di allegrezza che sembra illuminare le strade della musica indipendente: il revival della new wave. Fàmose del male, insomma.
Gli Starcontrol sono un terzetto milanese (Laura Casiraghi, Moreno Zorzetto e Davide Di Sciascio) al secondo Ep autoprodotto, The ages of dreams, che ammicca proprio alla new wave.
Sonorità scure, cupe e malinconiche attraversano tutte e cinque le tracce, concepite e realizzate con grande competenza tecnica (pulitissimo il basso della Casiraghi, semplici, lineari anche se già sentite le linee delle tastiere, una vocalità piuttosto personale).
Persian Carpet è onirica e ipnotica (soprattutto il giro di basso e la linea melodica principale), il testo, lode alla band che per una volta dimostra che l’inglese non è solo la maschera per chi non ha nulla da dire, non è affatto banale (Throwing our feelings on a satellite / throwing our feelings on a satellite /thinking about you on my broken side /you will think about me for the very last time) ed è intonato da una voce piena, calda, che ricorda quella di Tom Smith degli Editors, fin troppo pesante per i miei personalissimi gusti, ma adeguata al genere. Il rimando ai Cure è inequivocabile per il trattamento delle melodie strumentali e l’apertura quasi ironicamente allegra. La band di Robert Smith guida idealmente il terzetto anche in A dream, dal suono particolarmente dark, e Forever unknown, in cui la voce pecca di accenti interpretativi quasi epici, inadeguati forse a intonare un testo tanto meditativo (I don’t really know what “love” means/I don’t really know what pain is/I’m just feeling like I’m drowning /I don’t really know what life is).
Heart becomes a cage (un richiamo agli Strokes forse?) sembra un tentativo di inscurire i Depeche Mode, con qualche tocchettino alla Ian Curtis.
Il grande difetto di questo revival più o meno conscio verso cui tende praticamente un terzo del panorama underground, è che ricalca in modo quasi perfetto le glorie Eighties. E con i Cure e i Depeche Mode ancora in circolazione, scusate, gli originali non possono che continuare a imperare. Senza contare che sarebbe necessario una contestualizzazione, una personalizzazione, qualcosa che motivi lo sguardo a un passato che ha più di trent’anni e che lo attualizzi, facendolo diventare espressione dei nostri giorni.
Finché l’approccio sarà quello attuale, si avrà l’impressione che la scelta sia ricaduta su certe sonorità solo per artificio tecnico e sperimentazione.