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Matteo Toni – Santa Pace

Written by Recensioni

Ancora una volta, la parte “specializzata nella creatività” dell’alternative che pulsa in casa nostra, fa il punto della situazione sul proprio stato di salute e per questo giro mette in mostra – come risultato certificato della eccellente salubrità –   un disco di cui se ne parlerà molto, non per chissà che cosa, solamente perché è stramaledettamente impostato sulla bellezza al quadrato.

Il musicista modenese, chitarrista e poeta nudo e crudo a modo suo,  Matteo Toni,  porta il suo disco ufficiale “Santa pace” – dopo il buon esordio di Qualcosa nel mio piccolo del 2010 – all’attenzione alta delle belle pagine sonore che da sotto il pandemonium underground covano brace e delizia senza ritegno alcuno; non sono parole dettate da una fugace emozione, ma parole che sono inchiodate da una audizione controllata dopo che le tracce – queste passate sotto il lettore –  hanno “imbambolato” letteralmente stomaco e testa in un delirio amniotico senza precedenti. Una chitarra slide, tutte le sbavature di un progetto condiviso con Giulio Martinelli alla batteria e prodotto da Antonio “Cooper” Cupertino e i cantos elettrici, pervasi ed impossessati da una carica visionaria di cantautorato e acidità blues che dialogano con le sabbiosità del Mali “Alle quattro del pomeriggio”, interagiscono con un pop meticcio “Isola nera”, soffiano nell’intimità desertica “Fidati” come con i dondolii carribean “Santa pace”, Piu, Samuel Katarro e Ben HarperMelodià” che si incrociano e salutano con fare affettato attorno ad una atmosferica mai occasionale.

Difficile scegliere qualcosa prima dell’altra dalla scaletta, tutto rappresenta la parte più originale dell’album, è un continuo sprigionare di arie rarefatte e tremolanti che fanno ping pong tra una poesia chiave e stimolazioni loner “Acqua del fiume”, pura psichedelica splendidamente orientata verso fascinazioni nere, elementi di comunione aspra, dolce e cantautorale off; Matteo Toni è un ectoplasma in carne ed ossa, vive e si muove ai borders del buio più luminescente che ci possa essere in giro tra i giri “non ufficiali” della musica “altra”.

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