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Highway Dream – Wonderful Race

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La fiera del clichè. Purtroppo questo e poco di più ci lascia questo disco dei cremonesi Highway Dream. Una grande esplosione di tecnica, di suoni pomposi, di brani troppo fini a se stessi. L’impressione di una band molto determinata, ma poco coesa e poco permeabile. Il gruppo, nato nel 2008, piazza un macchinone in copertina e sfodera un titolo a dir poco prevedibile. Wonderful Race è un mix tra Hard Rock di matrice anni 80 (Europe, Scorpions su tutti) con parecchie influenze che strizzano l’occhio al Metal più classico (il confine poi è davvero sottile). Insomma nessun rischio, nessuna aria nuova, ma anche nessuna frizzantezza nel puro revival. Il disco rimane incastonato in un non preciso periodo e si perde in fretta in architetture complicate e poco efficaci. La voce di Isabella Gorni è potente e precisa, ma non ha la cattiveria e l’arroganza dell’Hard Rock. I chitarroni pesanti fanno da padroni già in “Unbelivable”, riff con basso bello pompato che ricorda vagamente i fasti dei primi Van Halen. La melodia però è povera nel ritornello per nulla memorabile e con un raddoppio di batteria alquanto discutibile (ad onor del vero la mia allergia al doppio pedale non mi aiuta per niente!). La stessa formula si ripete pressochè immutata in “Don’t Let You Die”, il tutto si disperde di nuovo in parti strumentali ipercomplicate: assoli velocissimi, incastri basso e batteria poco direzionati al nudo e crudo groove. In “Highway Dream” c’è almeno un’aria 80’s che dona un po’ di senso al suono tamarro della sei corde e ai suoi incessanti assolazzi (spesso anche ben studiati e melodici in mezzo al mare di note). Lasciamo stare poi “Many Reason” dove oltre al mio “amico” doppio pedale intervengono anche sbrodolature di basso. La sensazione è che la grintosa Isabella arranchi, in un disco ricco di brani non propriamente adatti alle sue corde vocali poco rudi.

Anche le scelte sonore sono poco convincenti, poco graffianti e penalizzate dalla scarsa amalgama, la cura nel mix non sembra essere stata minuziosa. In ogni caso gli Highway Dream suonano obiettivamente bene e in alcuni frangenti sembrano avere i numeri per fare molto di più. Lo si sente nella tanto aspettata ballata “Let Me Be Your Breath”, dove ci attende un bell’arpeggio che ricorda “Californication” dei Red Hot Chili Peppers. E finalmente almeno sentiamo qualche atmosfera diversa, più aperta, ma comunque ancora troppo disgiunta e vaga, la tecnica e l’intenzione di volare ci sono ma sono frenate dal songwriting sempre troppo ancorato a terra e da idee che paiono rinchiuse in schemi scolastici. L’ultimo pezzo la dice lunga già dal titolo: “Born to Be a Rockstar” presenta solo un bello stacco alla Black Sabbath, sotterrato dal contorno piatto e insipido. La “fantastica gara” finisce qui e, ad essere onesto, mi sembra solo un gran luccicare di una bella auto con il motore pompato. Per dare spettacolo servirebbero forse qualche ammaccatura in più e dei guidatori ben più spericolati. Il motore c’è, speriamo che al prossimo giro venga fatto fumare come si deve.

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Television 60’s – Celebr-Hate

Written by Recensioni

Quante probabilità ho di rinvigorire oggi che ho un mal di testa da record? Sicuramente con una buona dose di Moment, una tisana rilassante e Jackson Browne che partorisce miele dalle casse sarei sulla buona strada. Purtroppo il disco che mi tocca recensire oggi è ben lontano da onde lente e rilassate. L’attacco di “Celebr-Hate” è micidiale, mi stende: velocità, frenesia, rullante-martello, chitarroni trapananti sciolgono le tensioni del mio cervello, riportandomi in un paradossale stato di relax nevrotico. Il sorriso storto mi si stampa in viso, come una stupida posa, e mi sale su tanta, ma proprio tanta, voglia di rock’n’roll.

Ma capiamo meglio questi Television 60’s. Sono giovani e vengono da Bergamo ma si formano quasi per scherzo a Glasgow in una notte etilica. Sono sfrontati, con un look un pò campato in aria, con un nome che non vuol dire nulla ma suona bene. E poi soprattutto non hanno un pezzo che sia memorabile, suonano ritriti come 2000 band tra punk e hard rock, sempre in quell’isola sicura tra Stoccolma e Los Angeles. Ma hanno un’attitudine che io semplicemente adoro. Quella delle chitarre tenute alle ginocchia, degli assoli veloci e delle rullate assassine. E il coraggio di fare tutto questo senza capelli lunghi, occhiaie spropositate e tatuaggi di donne nude o dadi infuocati.
Già l’attitudine, questa formula così irregolare e futile. C’è chi la cerca per una vita, passando ore davanti allo specchio ad ingellarsi i capelli e a cercare giubbotti di pelle attillati ai mercatini delle pulci. E poi c’è chi piazza una maglietta bianca, un taglio di capelli da bravo ragazzo e spazza via qualsiasi legge aurea con un sound furioso. Television 60’s sono degli outsider e lo sono con una spaventosa naturalezza. Spaventosamente credibili nel loro buffo habitat. Sono anti-star, proprio come Cheap Trick o sua maestà Angus Young.

Ma lasciamo perdere queste fesserie e parliamo della loro musica. “Celebr-Hate” è una fottutissima fucilata. Una raffica di proiettili che mi si scaglia in testa e mi pialla l’emicrania. I ragazzi  sfoderano pezzi come “Generation (Again & Again)” o “Sick Circus”. A scuola il rock’n’roll l’hanno studiato benone ma senza risultare dei secchionazzi, mantenendo quella buona dose di ignoranza da ultima fila e da porno letti sotto banco. E allora The Hellacopters (quelli con Dregen eh!), The Stooges, Motorhead siedono in cattedra pronti a deviare verso le pennate più heavy di “Seek Salvation, Find Damnation” (non ricorda un po’ troppo “Before I Forget” degli Slipknot?) o più punkettone di “Get Wasted”. Non si può’ certo dire che il risultato sia noioso. E in ogni caso gran coerenza e compattezza tra gli 8 brani del disco, che non si piegano mai neanche di un grado verso virate più soffici (e io che speravo in un Jackson Browne…mah). La produzione è magistrale: chitarroni arrogantissimi, con assoli frenetici, nervosissimi e velocissimi (un po’ troppo? naaa!), rullante picchiaduro, basso bello spinto e la voce di Mikki non di certo matura e graffiante ma genuina, intonata, mai esagerata e ben consapevole dei suoi limiti, doti non troppo scontate per il genere.
L’omonima “Celebr-Hate” chiude il cerchio con una cavalcata decadente, riffone grosso, voce al limite e che profetizza: “girls are cool but drugs are better”. Nulla di trascendentale, nessuna grande pretesa, nulla da riascoltare tra dieci anni. Television 60’s sono da consumare velocemente e subito, come una medicina con una marea di controindicazioni.

Ragazzi, poco da dire, questo pare proprio essere rock’n’roll! Che ogni tanto si diverte ancora a sollevare una mano dal sottosuolo per riemergere dalle tenebre.

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