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Jerry Moovers – A Cresta Alta
Questa non me l’aspettavo. Forse non ci pensavo neanche più. Come se tutto quello che ho vissuto (oserei dire quasi “subito”) nei concerti di fine anno del liceo fosse scomparso insieme ai miei brufoli, ai pantaloni larghi coi tasconi e allo zaino scarabocchiato dell’Invicta. E’ un dato di fatto: uno dei “desaparecido” della musica underground anni 10 pare proprio essere il verace e diretto Punk. Certo, vive ancora di rendita grazie ai grandiosi fasti di fine anni 90. Vive nelle sue forme più spinte e più smussate, vive nelle puzzolenti cantine Hardcore e nelle altalenanti classifiche, in cui a volte fa stile scomodarlo. Sopravvive come un virus difficile da estirpare, ancorato nelle venature della musica americana e britannica, ma la sua forma più grezza, più pura, pare essere un vecchio ricordo sbiadito.
Non tutti però la pensano così, o forse sarebbe meglio dire che se ne fottono. E i Jerry Moovers da Bergamo, già a vederli in faccia, pare proprio che se ne fottano alla grande. Seppure giovanissimi vantano numerosi concerti (a dire il vero però quasi tutti nei paraggi di casa) e un secondo disco in uscita, dal titolo inequivocabile: “A Cresta Alta”. Sulla musica poco da dire, se non che il disco è suonato strabene, prodotto con la giusta dose di marciume che non snatura l’essenza del genere. Rullate velocissime, basso plettrato ipermedioso e assoli di chitarra scrausi sono le scelte sicure ma anche le carte vincenti. Il riffone alla Sum 41 nell’intro “Punto di Domanda” ci indica subito la direzione da seguire. Se cercate ciuffi fashion, facce da pomeriggio su MTV o singoli per le vostre comode playlist, questo non è il disco per voi. Questo disco è sigarette fumate di nascosto, pomiciate a caso e pogo davanti a piccoli palchi sudici. Questo disco è più Rock’n Roll di quanto possa sembrarvi. Sparato ai mille all’ora già dal secondo pezzo, “Solo” dimostra che i ragazzi non sono poi così immaturi e sfoggiano pezzi mai banali, nonostante la musica e il cantato di Jako non lascino grande spazio alla fantasia e il rimando ai “classici” (Pornoriviste, Derozer e Punkreas) sia dietro l’angolo.
“Tra Sogni e Realtà” dona linfa e brucia di speranze, che sentite in bocche così giovani strappa un sorriso e fa stringere più forte i pugni, “Il Rumore del Silenzio” e “Ricorda” si spingono verso ritmiche più Hardcore dove il rullante di Seba sembra tagliare le casse a pezzettini. “Veronica” è invece il pezzo che ti aspetti, melodico, spudoratamente adolescenziale e tutto di un fiato. Un piacevole cliché. Inutile ingannarci, questo non sarà mai il disco dell’anno e i Jerry Moovers non saranno mai la band rivelazione dell’underground italiano. Potrei facilmente cavarmela dicendo che sono nati tardi, con un genere che spesso è stato considerato (da me per primo) facilotto e usa e getta. Ma scordiamoci di tutto: dei riff già sentiti, delle facili polemiche contro l’America e delle “creste alte”. Apriamo gli occhi. Qui dentro c’è la foga di fare musica per bisogno esistenziale. C’è tutta la passione che vorrei incontrare ogni volta che ascolto un disco di una giovane band. E datemi del romantico, ma sono ancora convinto che senza questa passione non si combini un bel cazzo.