Quintetto nato tra le silenti e sconfinate colline di Piane d’Archi, in provincia di Chieti, composto da: Alessandro Cicchitti, voce, tastiere. Vincenzo Vik di Santo, batteria, tastiera Filippo Maria di Nardo, chitarra Daniele Paolucci, chitarra Armando Lotti, basso I Suricates iniziano il loro percorso nel 2010 e, dopo vari cambi di formazione, trovano alla fine del 2011 la loro attuale identità. Amano la saggezza del Rock, i tempi dilatati e sconfinati del Post Rock e la sensibilità della musica orchestrale. La voce carnale a tratti demoniaca altre invisibile si assembla alle composizioni. Il primo concept album della band Storie di Poveri Mostri è la somma di queste commistioni. L’album è tratto dalle storie (tramandate e narrate per vere), foto e testi di Antonio Dragonetti. I testi e le musiche sono costruiti come fossero sermoni, omelie, preghiere, invocazioni, spergiuro, bestemmie… “La tentazione e il pericolo di finire nell’horror è stata sempre forte e presente (anche perché nell’orrendo ci si deve sporcare prima o poi…) e forse lo abbiamo evitato ma dopo tanti anni passati ad impedire che la porta con i nostri demoni si aprisse abbiamo lasciato che uno spiraglio di tenebra uscisse fuori per poterla raccontare e suonare”.
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Afformance – The Place
Già dalle note che spalancano questo nuovo Ep targato Afformance è manifesto come la loro musica riesca a suonare rigorosamente senza tempo. Nelle peculiarità nostalgiche di un piano che produce una vibrazione svogliata sullo sfondo di rumoristiche ambientazioni lisergiche oscure, quasi extraterrestri, è facile scorgere le pieghe del tempo che svelano una necessità d’immediatezza, di contemporaneità connaturata alla natura umana. Le arie che aprono “Dough Claws” paiono la commistione di suoni che affollano la stanza che ospita lo stargate aperto su un mondo antico, dal quale la musica scivola via come per scappare.
Solo con l’incedere cadenzato di “Stride” e poi con “Covered in Scales” entra in scena un Rock concreto, strumentale, vagamente cosmico e psichedelico, dalla struttura più precisamente tracciata, che richiama gli stilemi e i cliché del Post Rock più classico, evitando le esemplarità matematiche eccedenti degli Slint, prediligendo strade eteree come quelle battute dai Mogwai nei momenti più Film Score. La sperimentazione è ridotta all’osso tanto che la musica si dondola teneramente tra Ambient, sogno e l’asprezza di qualche accelerata nebulosamente metallica. Nel finale si mostra un ponte che ricorda un brano dei ben meno noti ma non per questo meno talentuosi Suricates, somiglianza che si ferma quasi compiutamente alla parte iniziale del pezzo e che fa sorridere per quanto probabilmente solo frutto della coincidenza ma che avrebbe provocato scalpore se notata in due band più mainstream. Il brano, per quanto ripetitivo e poco articolato, è anche il più interessante, il più trascinante; la musica cresce in maniera impetuosa, le chitarre si accavallano in modo maniacale, ora rallentando ora accelerando evocando un’esplosione sonica che mai finisce per compiersi.
Come dico spesso, il Post-Rock, passatemi la definizione come genere nonostante la vaghezza, è un modo di fare Rock tanto passato quanto affascinante, che, se fatto con cura distoglie l’attenzione dall’eccessiva riproposizione di se stesso. Questo è esattamente il caso di un Ep Post-Rock creato con dedizione, che non suona remoto pur proponendo qualcosa di vecchissimo, ormai superato. I pezzi, specie “Narcoleptic”, avrebbero potuto essere di più se si fosse lavorato con maggior attenzione a fornire loro una densità costitutiva diversa dal solito. La scelta della band greca è stata invece quella di lasciare i lavori secchi, scheletrici e il risultato è un buon Ep Post-Rock, di quelli che magari non riascolteremo mai più, anche se ora, proprio ora, ci ha fatto più che piacere origliare.