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Eudaimony – Futile

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È capitata nel periodo giusto l’uscita di questo disco d’esordio degli Eudaimony, band formatasi a Luglio 2007 da membri già noti nella scena Black Metal svedese e teutonica: Marcus E. Norman chitarrista dei Nalgfar, Matthias Jell ex vocalist dei Dark Fortress, Jorg “Thelemnar” Heemann batterista dei Secrets of the Moon e Peter Honsalek che in serbo ha il progetto Nachtreich. Parlavamo del periodo d’ uscita di Futile, il disco che ha lanciato gli Eudaimony; un inverno freddo, proprio come la musica da loro proposta. È stato fatto un coroso preambolo per questa band e questo lavoro a dir poco disdicevole, si sono create false illusioni gettando solo tanto fumo negli occhi. Futile è un disco che si fa ascoltare senza troppi inceppi, gira liscio indubbiamente ma non è il capolavoro che molti dicevano.

A esser pignoli questo è un platter che sa di poco, che non sai mai se accostare al Black o al Gothic Metal, rivelandosi semplicemente come una via di mezzo tra i due generi, un Symphonic Black Metal che però, con molta onestà non riesco a catalogare neanche in tal modo con esattezza visto che strizza un po’ l’occhio anche al Doom. Cantato per la maggiore in Black, atmosfere Gothic e stordenti riff che farebbero torcere il naso a band come Taake, Mayhem e Celtic Frost, quella degli Edaimony è un proposta trita e ritrita che, se vogliamo, oltretutto potremmo dire eseguita con più efficacia da altre band, come gli October Tide ad  esempio. Nel disco, le tracce che bene o male risaltano rispetto alle altre sono“Mute” con il suo alone sinistro, la title track, la successiva “Portraits” che cambia decisamente i toni rispetto alle altre partendo dal cantato per costruire la melodia e infine c’è “Godforskaen”, una traccia strumentale in  cui le tastiere padroneggiano per buona parte. Insomma Futile non è nulla di eclatante; si lascia ascoltare ma la voglia di farlo girare ancora nello stereo è pochissima.

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Heretic – Angelcunts & Devilcocks

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Ci hanno fatto divertire e ci hanno fatto danzare con un genere che loro stessi hanno catalogato come Black’n’Roll, con alle spalle tre dischi e svariate raccolte; ora gli Olandesi Heretic tornano con un quarto album intitolato Angelcunts & Devilcocks e il loro stile sempre pacchiano. Certo, per chi non lo sapesse, premetto che non si tratta di un gruppo che che ricordi Burzum, Taake, Celtic Frost o Immortal; qui parliamo di cinque loschi individui che sanno lavorare con la melodia ed hanno ritmiche dannate e piuttosto meticolose. Piuttosto potremmo accostarli agli ultimi Satyricon, anche se più sdolcinati, oppure ai polacchi Black River. Anche l’artwork del disco ha il suo simpatico colorito da un lato (forse potevano risparmiarsi il cartone animato), ma se è trattasi di scelta provocatoria, probabilmente è azzeccata. Ma veniamo ad Angelcunts & Devilcocks: il disco contiene dieci tracce, tutte molto catchy, e con un ritornello evidentissimo e canticchiabile; un lavoro che si rifà al Black, al Punk e al Rockabilly in stile Misfits. Le tracce da dover tenere in considerazione principalmente sono l’opener “Hail the Best”, la title track, “Sweet Little Sacrifice”, la successiva “Morbid Maniac” e “Let me Be your Altar”.

Tutto il disco segue un solo filo logico dato da un preciso sound e strutture delle canzoni che regalano un ascolto stabile e lineare che chiaramente sarà un arma a doppio taglio perché suscettibile di diverse e antitetiche valutazioni, questo soprattutto per quanto riguarda la proposta attuale degli Heretic. In quest’ottica, per il web ho notato diversi critici che hanno totalmente annientato la band e il loro Angelcunts & Devilcocks eppure io sono sempre del parere che la musica è come ciò che mangiamo e di deve tenere conto delle emozioni che ci fa provare. Questo lavoro non è affatto malvagio e vi invito a provare ad ascoltarlo; probabilmente qualcuno coglierà qualcosa di buono a lungo andare perché in fondo è un disco che non stanca nonostante la volgarità.

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