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La foto di Zeno – Redistance

Written by Recensioni

La foto di Zeno è Neil Halstead che quasi spoglio di ogni residuo elettrico va a ritrovarsene se stesso nei campi del modenese, lo si intuisce sin da ‘J’, epitomica apertura di questo ‘Redistance’.
Rarefazioni quindi…nebbie, sussurri, chitarre e piano zoppi, a rincorrere melodie, a perderle, a ritrovarle, qualche impennata percussiva, qualche scossa elettrica, di tanto in tanto, ma sempre destinate ad affondare in atmosfere di vapore acqueo ed elettronica analogica, come fossimo nei punti migliori del secondo Bon Iver.
Dopo l’iniziale ‘J’ che disvela anima ed umori di Zeno ‘The Ways Of Sorrow’ e ‘John, The Beard Man’, rispettivamente tracce due e tre del disco, fanno lo stesso con il repertorio di tecniche ed incastri detenuto dai nostri, dunque gli arrangiamenti si fanno notevoli, si complicano, saltano da folk a country come fosse nulla, descrivono paesaggi, foreste in chiaroscuro, che ora si rabbuiano ora lasciano passare il sole.
Il lamento che apre ‘Brown Leaves’ lascia intendere un ritorno agli umori bassi e tenui dell’apripista ‘J’, e invece no, pochi secondi e Zeno, nella sua foto, si scatena in un country quasi rubato ad un saloon di quelli cari a Terry Allen, in quel del Texas, attenzione però, ho scritto quasi.
Poi ‘Sad Spoon’ e ‘Two Books’, due storie tristi, chitarra e voce, giusto qualcos’altro qua e la, due canzoni che ti aspetti in un disco così, ma che non possono e non devono mancare all’appello, perché quella di Zeno è una foto sbiadita, scattata chissà quando.
Traccia numero sette, ‘Still I Wish’, il gioiello del disco. Si parte marciando, un basso turgido e vibrante a dettare il passo, attorcigliandosi a battiti scarni e marziali, attorno alla voce, che si fa sicura qui, abbandona le incertezze del resto del disco, come se detenesse una verità, una verità scura, condivisa con i Fleet Foxes degli esordi e perché no con lo Yorke marziale di ‘Therethere’,ha da dire poco però questa voce, lascia presto spazio a tutto il resto, ad una coda immensa, densa di elettronica sibilante, di battiti concitati, di chitarra e piano che incuranti della foresta che gli si infittisce intorno continuano per la loro strada, per la loro linea melodica senza speranze.
‘In This Garden’ calma tutto e chiude il disco come deve chiuderlo, con malinconia e armonica.

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