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Anche i Christine Plays Viola protagonisti all’Alt Fest
Comincia a prendere forma la line up definitiva dell’Alt Fest, gigantesco festival che si terrà dal 15 al 17 agosto a Boughton Estate, Kettering, Northamptonshire, NN14 1BJ United Kingdom. Tra i tantissimi protagonisti, molti dei quali ancora da definire, ci saranno Marilyn Manson, The Cult, Killing Joke, Gary Numan, Cradle of Filth, Covenant e tantissimi altri e siamo lieti di annunciare che, nel Goth Stage, è stata annunciata anche la presenza di una nostra vecchia conoscenza, gli italiani Christine Plays Viola, ai quali va il nostro più sincero e sentito in bocca al lupo.
Sailor Free
Intervista ai Sailor Free, band capace di creare uno dei migliori concept album ascoltato negli ultimi mesi.
Ciao. Per prima cosa, come state?
Bene, grazie. E tu?… intendevi come band? Siamo attenti, determinati.
Cerchiamo di conoscere meglio i Sailor Free? Perché questo nome? Qual è la storia musicale della vostra band e dei suoi membri?
La storia musicale dei membri dei Sailor Free sarebbe un po’ troppo lunghina, perché siamo grandicelli. Alcuni di noi suonano insieme dalla fine degli anni ‘70. Abbiamo sempre fatto musica insieme e separatamente, di molti generi diversi, dalla world music al metal. Nel ‘91 abbiamo deciso di mettere su questa band e il nome Sailor Free nasce proprio dall’idea principale, quella di navigare in libertà tra i generi musicali, le culture, le idee.
Una carriera ventennale ma otto anni di silenzio. Coma mai una pausa tanto lunga?
Come dicevamo, il nostro rapporto, musicale e personale è molto stretto e antico. Nel periodo di pausa dei Sailor Free io ho continuato la mia attività con il gruppo di world music e un album solista nel 2009; gli altri Sailors coinvolti in band metal o in produzioni… Ma le prime composizioni, le idee sulla storia e tutto il materiale di questo nuovo album inizia ad apparire molti anni fa.
Passiamo subito a parlare del disco. Spiritual Revolution. Siamo nel 2013 e alcuni mesi fa decidete di realizzare un lungo concept album di forte impronta progressive, ispirata ad un’opera di Tolkien. Non avete avuto paura di suonare anacronistici?
Spiritual Revolution nasce grazie alla collaborazione di un team allargato. Un percorso di collaborazione che è iniziato più di 10 anni fa. La scommessa era quella di riuscire a fare un’opera ben fatta in tutti i suoi aspetti, creativa, sincera e professionalmente ineccepibile, senza poter accedere a grandi investimenti. Grazie a questo team creativ – Nik Redian che inventa e scrive storie ed interi mondi, Terrence Briscoe che trasforma in immagini le nostre allucinazioni, i nostri fonici Raimondo Mosci e Gianmario Lussana e tutti gli altri, che hanno aiutato e aiutano questo progetto – siamo riusciti a realizzare tutto questo. Il futuro della musica e dell’arte in generale, secondo me, è quello di recuperare sincerità, determinazione, collaborazione e condivisione. Deve tornare ad essere l’arte a muovere il mercato, non viceversa.
Se tutto ciò suona anacronistico, di questi tempi? Può darsi, ma in realtà speriamo di essere soprattutto di esempio.
Uno dei punti focali dell’opera è il concetto di energia inteso come esistenza, come intuizione della ragione e dell’anima. Allontanarsi dalle strade comuni e conservatrici per sperimentare nuove vie che possano permettere un arricchimento sociale condiviso. Concetti legati all’ideologia della Spiritual Revolution People. Di cosa si tratta?
Crediamo che il mondo sia arrivato ad un passaggio cruciale, un profondo cambiamento. Secondo noi è chiaramente percepibile. Volevamo inserire questa sensazione, questa idea nella nostra storia, che si veniva formando. Siamo incappati (circa 4 anni fa) in un sito web, Spiritual Revolution People (SRP), che non propone un’ideologia, né tanto meno una religione, ma un metodo, un percorso artistico, simbolico, per prepararsi a questo cambiamento. Ci è sembrato interessante l’aspetto creativo e artistico proposto da SRP, così abbiamo accolto il loro approccio e l’abbiamo inserito nel nostro lavoro. Siamo anche noi dei Messaggeri SRP, oramai.
Altro elemento portante è il legame con il Silmarillion di J.J.R. Tolkien. Cosa lega le due cose?
Sì, mettiamo un po’ le cose in ordine, hai ragione. Diversi anni fa abbiamo cominciato, con il team creativo, partendo dall’idea di realizzare un musical, una rock opera su uno straordinario racconto, “Beren and Lùthien”, dal Silmarillion di Tolkien. Il racconto ci conquistava per la sua straordinaria sintesi narrativa, che riusciva a toccare ed evidenziare emotivamente una quantità incredibile degli aspetti importanti della vita. Ma da questo impianto emotivo-narrativo iniziava a prendere forma un’altra storia; una storia diciamo di fantascienza, ambientata nel futuro. Uno di quei futuri che, se guardi bene, puoi già sbirciare.
Quest’opera (il Silmarillion) è stata ispirazione di tante band come Blind Guardian o Marillion. Cosa vi rende diversi, nella lettura di Tolkien?
Non so se questo ci rende diversi, ma noi siamo partiti dal racconto di Tolkien per arrivare a scrivere una storia originale, ambientata in un futuro prossimo, con i nostri personaggi e le nostre dinamiche. Non ci siamo riferiti all’iconografia fantasy dell’universo tolkieniano, ma più ai suoi contenuti spirituali, diciamo.
Da un punto di vista musicale come siete riusciti a far suonare il vostro lavoro come qualcosa di moderno e attuale partendo da premesse progressive e Psych Rock tipiche di decenni fa?
Credo sia perché non abbiamo mai smesso di fare e ascoltare musica, in questi anni. Abbiamo realizzato diversi album separatamente e, ad essere sinceri, credo che il fatto di non aver raggiunto il grande successo ci ha protetto dalla tentazione di smettere di fare ricerca per inseguire la replica di quel successo.
Un concept che parte da un’ideologia semisconosciuta, passa per l’opera di Tolkien, abbraccia diversi generi musicali molto complessi (ambient, drone music, progressive, alternative, ecc…), spazia tra le melodie, le ritmiche, i cambi di tempo spesso dentro lo stesso brano. Esiste veramente un pubblico che sappia apprezzarvi oggi in Italia? Non rischiate di essere “troppo”?
Rischio assolutamente non calcolato: noi siamo fatti così, siamo soliti riversare nella nostra musica tutti i nostri input emozionali e culturali, tentando di operare una sintesi, a volte riuscendoci, altre meno, ma sempre, speriamo, con risultati affascinanti per chi ha ancora voglia di sognare.
La vostra musica è piena di voi, della vostra personalità, della vostra anima ma ci sono molti punti di riferimento che vi possono legare a The Cult, ai Muse, ai Tool, ai Pink Floyd. Io ho notato ad esempio in “Daeron” una discreta assonanza con Robert Wyatt. Quali sono gli artisti che vi hanno maggiormente influenzato?
Ti ringrazio della premessa. Certo, immagino che ci siano influenze di tante bands importanti, magari anche alcune di quelle che hai citato o di altri; anzi, la lista delle bands e dei generi musicali è così incredibilmente lunga che l’abbiamo raccolta e riportata sui nostri siti. Innanzi tutto dobbiamo ricordarci che facciamo musica da molto tempo, ed essendo sempre stati in attività, alcuni linguaggi li abbiamo vissuti direttamente; ma la cosa credo più importante che avviene tra noi è un meccanismo da band, e le nostre diverse competenze, i nostri diversi gusti musicali, quando facciamo musica insieme, si sommano, si moltiplicano.
E’ una specie di magia…
Hard Rock, Psych Rock, World Music, Post Rock/Metal, Alt Rock, Ambient, Drone Music, Pop. Tutto dentro Spiritual Revolution. Immagino che da buoni artisti non amiate le categorie. Come far capire a un lettore allora, che musica può ascoltare con il vostro album?
E’ un disco Rock. E’ un disco che va ascoltato soprattutto con il cuore. Un disco che sa dare qualcosa in cambio. Capisco che per parlare di musica si debbano scegliere delle parole per spiegare al lettore cosa può ascoltare. Ma, secondo me, lo sforzo nel dare etichette diventa una limitazione eccessiva, per tutti. Così va a finire che le opere si assomigliano tutte un po’ troppo, no? Noi abbiamo sempre inteso la parola progressive, che spesso ci viene associata, come la si intendeva alle origini: la forza di sperimentare, non la sterile riproposizione di standard musicali esauritisi negli anni ’70. Da quei tempi ad oggi sono accadute tante belle cose nella musica, che i SF hanno vissuto e assorbito, e che si fondono con il resto nel nostro modo libero di fare musica… In questo senso sì, allora si può dire che i Sailor Free suonano progressive.
Nella mia recensione scrivo che questo “non è certo un disco che si può ascoltare con facilità e non è un disco per tutti. Ha bisogno di attenzione, tempo, buona preparazione. È l’esatto opposto di quello che la musica sta diventando”. Cosa ne pensate? L’arte può essere per tutti? E perché la musica, l’arte suprema, diventa sempre più intrattenimento per un pubblico incapace di distinguere, scegliere, capire?
Bene, nella domanda c’è già parecchio della risposta. L’arte è per tutti. Il sistema sta imbrigliando l’arte e gli sforzi artistici. Il pubblico sa quello che gli è permesso di conoscere. Se la maggior parte della gente in Italia sente le radio e guarda la televisione si abitua a sentire musica leggera, in tutte le sue forme, ed accettarla come un dato indiscutibile di realtà possibile. Purtroppo e’ una triste storia di droga. Una storia di dipendenza. Io sono ormai disintossicato. Prima ho provato a diminuire le dosi, ma non c’era niente da fare… ora, da più di due anni, ho smesso. Non ho più la televisione. E sto molto meglio, amici miei…
Cosa viene dopo Spiritual Revolution? Ci sarà un nuovo disco, magari legato a questo? Ci sarà un tour?
Ci sarà un tour, sicuramente, a partire da questa estate, e poi la preparazione di Spiritual Revoluton part 2; infatti questo appena uscito è il part 1… la storia è già scritta e stiamo completando la scrittura dei brani. Magari un giorno avremo l’occasione di raccontare questa storia musicale per intero, in uno spettacolo live.
Cambiamo argomento. C’è qualche nome nuovo che vi piace molto? Sia italiano che straniero, ovviamente.
DP: Giro la domanda a Stefano Tony, il batterista, che è sicuramente il più aggiornato di noi.
ST: Domanda da 10.000 punti! Steven Wilson è un nome nuovo? E’ già in giro da più di una decina di anni con i Porcupine Tree. Ma da quando si è convertito al progressive tira fuori dal cilindro idee molto interessanti, specialmente quando si
confronta con generi così diversi dal suo (vedi Opeth). I Tool e gli A Perfect Circle sono nomi nuovi? Ma sono creativi e onesti. E poi c’è quella dolce fanciulla (…!?) inglese che risponde al nome di Kate Bush che, con la collaborazione di un nome nuovo alla batteria (un certo Steve Gadd, you know), disegna paesaggi innevati con la sensibilità di un Tim Burton o di… una Kate Bush di trent’anni fà!
DP: Va be’… come non detto!
Come è cambiata la musica nel corso degli ultimi vent’anni? Perché l’Italia sembra sempre un passo indietro. Colpa del pubblico avverso a chi osa o colpa dei musicisti che preferiscono non osare?
E’ un po’ chi viene prima tra l’uovo e la gallina… Diciamo che una catena peccaminosa, che porta sempre più giù, ormai è partita, e da tempo: meno i musicisti rischiano, meno la gente compra musica o la vive live, e meno prove si fanno, e meno ti pagano i club e i giovani con i contest e giù fino all’inferno di x-factor… Ahhhh!!!
Qualcuno deve puntare i piedi e cominciare, con fiducia e fatica, la risalita. E dato che non immagino manifestazioni di pazza del pubblico che chiede più impegno ai musicisti, mi sa che tocca ai musicisti riprendere il coraggio di osare.
Che ne pensate del crowdfunding?
Fantastico! Condivisione. Può diventare una vera rivoluzione, con il tempo. E’ un modo intelligente per saltare i passaggi del grande profitto, che non va a vantaggio né di chi fruisce la musica, né di chi la fa. Dal produttore al consumatore, chilometro 0, insomma. Noi sicuramente useremo anche il crowdfunding per produrre il nuovo album.
L’arte è prostituzione, diceva Baudelaire. Si può (soprav) vivere oggi, solo della propria arte?
Credo che Baudelaire intendesse prostituzione in quanto essere estremamente donativi e intimi in cambio di un compenso, non credo si riferisse allo sputtanamento della banalità o della patetica rincorsa di un possibile successo.
Lo chiedi a me, io vivo di questo… certo che si può, oggi, vivere della propria arte; è una strada durissima e piena di tentazioni, ma si può fare. Io, nel mio piccolo, ne sono una prova vivente, no? Ma perché, le altre strade, in questo momento, sono facili? Direi di no, è un delirio ovunque, per l’arte; perciò, adesso più che mai vale la pena rischiare, fino in fondo, dando tutto… tanto è comunque difficile.
Quale è il vostro sogno di musicisti e la vostra paura più grande?
Dopo che hai fatto la tua musica, la tua ricerca, con sincerità e totalità, la cosa più importante è comunicarla, condividerla, quindi, certamente, il grande successo è il desiderio più grande. La paura più grande, come musicista, è non riuscirci.
Chi è la grande truffa dell’Indie italiano? Non risponde mai nessuno ma io ci provo comunque.
Fai bene a provarci, e fanno bene tutti a non rispondere. Eh eh… Intendo dire che stiamo già tanto nei guai che facci pure mettere l’uno contro l’altro! No, scherzo… a me non piace niente dell’indie italiano. Ma no, scherzo… A me piacciono quelli veri, che non la raccontano ma la vivono. Abbiamo da tanti anni un rapporto di stima con Dome La Muerte (ex Not Moving) adesso in giro con i suoi Diggers, ma lui non è la truffa, è quello vero.
Domanda freschissima. Visto il risultato elettorale, cosa succederà all’Italia, alla cultura e alla musica nel nostro paese?
L’Italia, secondo me, potrebbe essere il parco divertimenti dell’Europa: clima buono, natura varia e ricca, cibo e vino senza rivali, raffinati e dotati nelle eccellenze, anche industriali, siamo anche simpatici, socievoli, si può dire, eravamo di molto talento… abbiamo una straordinaria quantità di arte, antica, che va preservata… bene, ma gli italiani stanno ancora qua, non è un popolo estinto, per cui finché qualcuno non si metterà in testa che l’arte è una cosa Viva, che va nutrita e stimolata ORA, che gli artisti devono poter esistere, vivere, ora… ma nessuno parla di questo, al massimo qualcuno parla delle rovine romane. Ho incontrato un gruppo belga di rock ultra sperimentale in tournèe a spese dello stato, e non credo fossero cugini dello zio del ministro della cultura… Il risultato elettorale? Vediamo… la strada è lunghina. Se qualcosa del sistema si sfascia, io sono contento.
Ditemi quello che avrei dovuto chiedervi e non vi ho chiesto? Poi, se volete, rispondetemi.
Non saprei… forse potevi chiedermi qualcosa sulla situazione della musica Live in Italia… ma per fortuna non l’hai fatto!
Sailor Free – Spiritual Revolution
Ci vuole un carico di ambizione pesante come il mondo per realizzare un concept album di questa portata, soprattutto se la band che lo edifica è una formazione emergente e non un grande e noto nome del panorama alternativo mondiale. Il fulcro di questo Spiritual Revolution dei Sailor Free è il concetto di energia inteso come esistenza, dinamismo, spirito creativo, mezzo di progresso collettivo. Interpretato come fulgore, ardore, sostegno, fluttuazione e potenza del rinnovamento. Come intuizione della ragione e dell’anima, come voglia di conoscenza. Allontanarsi dalle strade comuni e conservatrici per sperimentare nuove vie che possano permettere un arricchimento sociale condiviso e di grado superiore cosi da ridistribuire correttamente l’energia. Il punto di partenza dell’intera opera, la fonte d’ispirazione, è il Silmarillion di J.J.R. Tolkien (Il Signore Degli Anelli, The Hobbit). L’opera è essa stessa base dei capolavori di Tolkien ed è il fondamento di tutto il mondo creato dall’autore, una sorta di Bibbia che racconta la genesi e la vita di una realtà parallela e/o futuristica, un cosmo che non esiste se non nella sua mente e in quella dei suoi lettori. Tale testo, forse non molto noto al grande pubblico, è in realtà spesso stato punto di partenza per diverse band (Blind Guardian, Marillion) che hanno trovato nelle parole del grande autore britannico l’ideale guida per la ricerca e lo sviluppo delle loro necessità compositive. La storia, volendo riassumerne gli aspetti per noi più utili, narra l’amore tra due entità, particelle disperse di due universi, le cui traiettorie finiscono per intersecarsi per via della loro attrazione, finendo per generare un’immediata fusione. Da tale aggregazione vi è una nuova nascita che li porterà in un creato alla deriva del quale si trovano obbligati a cambiarne le sorti, attraverso la conoscenza da condividere in maniera osmotica con l’umanità tutta, alla ricerca del benessere comune e non del personale appagamento dei singoli. Partendo da queste premesse, avrete capito che si tratta di un disco complicatissimo ed effettivamente lo è, anche sotto l’aspetto prettamente musicale. I Sailor Free scelgono un modo di fare musica caratteristico di decenni addietro, gli anni del progressive e della psichedelia, ma riescono a portare quest’idea di componimento in età moderna fondendo elementi propri del passato con le caratteristiche del rock alternativo moderno. La loro opera diventa il punto più alto di una carriera ventennale e il risultato di otto anni di assenza dalle scene. Spiritual Revolution è un lavoro colossale e mastodontico che si può definire come il manifesto musicale di un nuovo modo di pensare (vedi Spiritual Revolution People). Dentro i quattordici brani si alternano diversi movimenti, disparate melodie, un’infinità di cambi di ritmo, stili che viaggiano nel tempo, spesso all’interno dello stesso brano. La stessa “Spiritual Overture” è una serie di passaggi dall’ambient mantrico e religioso, attraverso la drone-music, a momenti di epico progressive, fino a riff taglienti e scenari psichedelici anni sessanta/settanta, per chiudersi in un Pop delicato e misterioso, grazie all’apporto del piano di David Petrosino. Non mancano pezzi in cui è la matrice Alternative Rock moderna a farla da padrone (“A New World”, “Beyond The Borders”), con sezione ritmica pulsante e chitarre acide e aggressive, cosi come non scarseggiano accenni al Rock anni ‘80/’90 stile The Cult e non solo (“The Run”, “Betray”, “The Faithless”, “Spiritual Revolution”), al Prog Rock/Metal stile Muse o Tool misto a schitarrate Hard Rock (“The Curse”, “Spiritual Revolution”, “War”). La calma che contraddistingue alcuni brani (“Daeron”, “My Brain”) sembra richiamare alla mente anche la scena di Canterbury nella persona del grande Robert Wyatt (Soft Machine) di Rock Bottom pur non disdegnando elementi propri del Pop pre fine millennio. Innumerevoli sono gli inserti ritmici e melodici tipici della World Music (“Spiritual Revolution”) cosi come gli ingredienti psichedelici, pressoché presenti in ogni brano dell’opera ed evidenti in maniera chiara ad esempio in ”The Curse”; non mancano inoltre brani esclusivamente strumentali che mescolano un certo stile moderno di Post-Rock con psichedelia e progressive stile Pink Floyd (“The Entropia”, “Break The Cycle”). Altri elementi caratteristici, anche se meno palesi, sono gli accenni alla psichedelia post industriale che si possono ascoltare in “The Curse” o nella parte iniziale dell’introduzione. Come vi avevo accennato quindi, la complessità di Spiritual Revolution non sta solo nel fatto che si tratti di un concept che muove i suoi passi da elementi letterari e da ideologie alternative. Si tratta di qualcosa di mostruoso anche a livello sonoro con continui passaggi, anche dentro lo stesso pezzo, da uno stile all’altro, da un movimento all’altro, da una ritmica all’altra. Hard Rock, Psych Rock, World Music, Post Rock/Metal, Alt Rock, Ambient, Drone Music, Pop sono gli ingredienti di un brodo primordiale diventato paradiso terrestre. Spiritual Revolution non è certo un disco che si può ascoltare con facilità e non è un disco per tutti. Ha bisogno di attenzione, tempo, buona preparazione. È l’esatto opposto di quello che la musica sta diventando. David Petrosino (voce, piano, tastiere), Stefano “The Hook” Barelli (chitarre), Alfonso Nini (basso) e Stefano Tony (batteria) ci hanno regalato un piccolo capolavoro e di questi tempi è meglio non farselo sfuggire.