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The Heart and the Void – A Softer Skin
Secondo EP per il sardo Enrico Spanu, che in sei tracce di rarefatto Folk ci racconta l’amore nelle sue più diverse sfaccettature: L’amore come un errore in cui si ricade continuamente. Un amore passato ma mai realmente dimenticato. Un amore filiale. Un amore verso una persona che ormai non lo ricambia più. Un amore verso una persona che non si potrà mai avere. Un amore incondizionato per il quale si rinuncia a tutto. Il disco scorre tranquillo, sognante e semplice, fondato principalmente su chitarre in fingerpicking e una voce limpida, romantica, con liriche in inglese (in “This Thunder” sentiamo aggiungersi una leggera batteria, mentre cambiamo marcia in “Down to the Ground”: chitarra – elettrica – sporca, sonaglio e un suono d’organo in sottofondo). Non c’è molto altro da dire su A Softer Skin, un disco che fa della semplicità un motivo d’esistenza. Normalmente prodotti del genere mi stufano presto, immersi come siamo in un mondo saturato di cantastorie con la chitarra in braccio che fanno il verso ai songwriter anglosassoni, per la maggior parte delle volte anche in modo soddisfacente, per carità… ma alla fine ci si chiede perché ascoltarne cento diversi quando si può esaurire praticamente tutto il campionario con una rapida carrellata tra Bob Dylan e Damien Rice, passando da certe cose dei Decemberists? Ecco, questa volta faccio una piccola eccezione per The Heart and the Void, che anche senza uscire dai soliti binari, senza particolari guizzi o chissà che innovazioni, riesce a farci passare i suoi venti minuti con dolcezza. Se vi piace quel mondo lì, dategli una chance, non ve ne pentirete.
The Heart and the Void – A Softer Skin
Secondo EP per il sardo Enrico Spanu, che in sei tracce di rarefatto folk ci racconta l’amore nelle sue più diverse sfaccettature: L’amore come un errore in cui si ricade continuamente. Un amore passato ma mai realmente dimenticato. Un amore filiale. Un amore verso una persona che ormai non lo ricambia più. Un amore verso una persona che non si potrà mai avere. Un amore incondizionato per il quale si rinuncia a tutto. Il disco scorre tranquillo, sognante e semplice, fondato principalmente su chitarre in fingerpicking e una voce limpida, romantica, con liriche in inglese (in “This Thunder” sentiamo aggiungersi una leggera batteria, mentre cambiamo marcia in “Down to the Ground”: chitarra – elettrica – sporca, sonaglio e un suono d’organo in sottofondo). Non c’è molto altro da dire su A Softer Skin, un disco che fa della semplicità un motivo d’esistenza. Normalmente prodotti del genere mi stufano presto, immersi come siamo in un mondo saturato di cantastorie con la chitarra in braccio che fanno il verso ai songwriter anglosassoni, per la maggior parte delle volte anche in modo soddisfacente, per carità… ma alla fine ci si chiede perché ascoltarne cento diversi quando si può esaurire praticamente tutto il campionario con una rapida carrellata tra Bob Dylan e Damien Rice, passando da certe cose dei Decemberists? Ecco, questa volta faccio una piccola eccezione per The Heart and the Void, che anche senza uscire dai soliti binari, senza particolari guizzi o chissà che innovazioni, riesce a farci passare i suoi venti minuti con dolcezza. Se vi piace quel mondo lì, dategli una chance, non ve ne pentirete.