Scegliere un gufo come immagine simbolo per l’omonima opera di Kaouenn è opzione che, se da un lato permette di utilizzare tutta una serie di simbologie per spiegare la propria musica, dall’altro rischia di trasformarsi in una banalizzazione della stessa, visto l’eccessivo e talvolta superficiale uso che si fa di questa effigie. Il gufo, in un passato remoto associato al male, la morte, la sventura e l’oscurità è anche il simbolo della saggezza, a seconda di quali tradizioni si vadano a scandagliare e dunque, in una visione d’insieme, ha la forza di evocare una duplicità di allegorie, positive e negative, di rappresentare la complementarità dei contrari, che, nel caso specifico di questo disco, vogliono essere realismo e misticismo, auto distruzione e speranza. Come riesce Kaouenn a rendere, con la sua musica, tutto questo? A dirla tutta, semplicemente non ci riesce, perché il timore che questa simbologia fosse il pretesto per dare profondità a qualcosa che non riesce ad acquistarne con mezzi propri diventa una concreta realtà una volta passati all’ascolto. L’Electronic di Kaouenn è massimalista e protesa ad un Synth Pop senza troppe pretese, con sparute apparizioni di rimbombi Blues, tanta New Wave, Future Pop ed Electro Industrial come certi Covenant (“Black Owl”) e pochissime incursioni nelle asperità sperimentali del Trip Hop o nelle teutoniche atmosfere seventies. C’è qualche buona idea, soprattutto quando la voce cupa è accompagnata da ritmiche poderose e suoni grevi ma è la stessa voce uno dei primi problemi di quest’opera. Non convince e con lei non convincono le scelte di suoni e melodie, che per un genere di Elettronica che vuole mettersi addosso l’abito elegante della Pop star, la cosa diventa un problema enorme. Gli echi acuti ed elettrici dei Kratfwerk, le armonie vocali in stile Depeche Mode, l’offuscamento wave dei New Order, la severità Pop dei Pet Shop Boys, le stranezze rumoristiche e tribali stile The Knife (“Dog vs Fox”), diventano non tanto un dichiarato punto di partenza, una moltitudini di radici dalle quali innalzarsi per creare altro ma piuttosto uno scomodo metro di paragone che pesa come un macigno sulle spalle di un bambino. Non è certo tutto da buttare, diversi sono i passaggi in cui Kaouenn mostra di avere la possibilità di andare oltre quello che ha messo oggi sul piatto e la speranza è che sia capace di superare questa fase fin troppo confusa, magari lasciandosi alle spalle onanismi simbolistici e puntando dritto su una più coraggiosa e concreta scelta di suoni e melodie.
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Il Video della Settimana: Erotic Market – “I Want to Be Some Booty”
Sempre con la voglia di stupirvi, questa settimana abbiamo deciso di superare i confini italiani per proporvi un duo transalpino che ha tutte le carte in regola per diventare una band protagonista del panorama Electropop internazionale. Lucas Garnier e Marine Pellegrini sono gli Erotic Market (ex N’Relax) e da poche settimane è uscito il loro album di debutto Blahblahrians dal quale è stato tratto il singolo “I Want to Be Some Booty” che è anche la clip da noi scelta e che potrete vedere di seguito e in homepage fino al prossimo sabato. Il brano sottolinea gli aspetti più sensuali del sound targato Erotic Market ma l’invito è ad ascoltare l’intero disco, perfetta miscela di Electro e Synth Pop, Etno Art Pop, Hip Hop, e stile da vendere; qualcosa a metà tra M.I.A. e The Knife, insomma, qualcosa da non perdere assolutamente.
The Knife – Shaking the Habitual
Un gioco di percussioni e vocalismi in “A Tooth for an Eye” apre Shaking the Habitual, il quarto disco dei The Knife. Ritmi alla Talking Heads che appaiono forse un po’ datati, ma al contempo proiettati negli anni 2000, in un perfetto caos e disordine sonoro che però non è disprezzabile e che ritroveremo più avanti soprattutto in “Without You my Life Would be Boring”. Annunciato già nel 2011 sul sito della band e nel 2012 con un breve teaser su Youtube, l’album venne dato alle stampe nei primi mesi del 2013 tra curiosità e soddisfazione / insoddisfazione dello zoccolo duro dei fans.
Certamente la performance vocale appare ancora una delle più intriganti della scandinavia (potrebbe contendere lo scettro alla celebre Bjork), ma dal precedente Silent Shout sono passati ben sette anni e quindi forse ci si attendeva un po’ di più da un gruppo dall’indubbio talento e spessore come il duo svedese. Elettronica allo stato puro (sempre e comunque) che soffre tuttavia di una durata esageratamente lunga (oltre settanta minuti sono davvero troppi da digerire persino per le orecchie più forti) e una scrematura dei brani avrebbe forse giovato ad apprezzare di più questo lavoro che appare a tratti intrigante, a tratti noioso.
Il coltello scandinavo è tornato quindi a colpire, ma lo fa con timidezza, senza osare mai troppo, senza spingersi oltre quei confini che da sempre lo contraddistingueva, mentre passava da una musica House a un Synth Pop post moderno senza eguali. Durante “A Cherry on Top” sembra infatti di stare ascoltando un disco solista di Thurston Moore o di Lee Ranaldo dei Sonic Youth (ma i loro sono sempre lavori geniali) e se non fosse per l’incantevole voce (che arriva però dopo cinque minuti!) verrebbe voglia quasi di passare alla traccia successiva.
Meno male che a rialzare la media ci pensano capolavori sonori quali “Raging Lung” o “Fracking Fluid Injection” in cui il duo osa davvero tanto ed ammalia l’ascoltatore e nella finale “Ready to Lose”. Insomma un disco che non passerà di certo alla storia e che quasi sicuramente dividerà i fans del gruppo.
Samaris – S/t
Soffice elettronica Dowtempo, ghiaccioli di piacere etereo e tutta l’Islanda fredda e calda che mai si possa contenere in un disco. È questa la periferica induttiva che il disco omonimo dei Samaris – giovane formazione di Reykjavik – trasmette con una reputazione dolciastra e molto intima, praticamente come vivere e ascoltare l’eco di sé stessi dentro una bolla, un tubo di vetro o che so, un alambicco di cristallo che rimanda cadenze, soffi e sospiri delicatissimi in dodici tracce, un ascolto “moltiplicato” da bagliori bianchi come panna, ben oltre la neve dell’Artico.
E dietro tutta questa esuberanza delicata di suoni, scandagli, rimbombi gommosi e vapori impalpabili. il disco trova la sua dimensione adimensionale, tenero nelle sue esplorazioni elettroniche e fautore di una e più atmosfere dinamiche e rallentate, un ascolto a più livelli di coscienza che non forza nessuna opposizione a questa magia senza peso, tracce (dodici) che arrivano da due precedenti lavori e qui “riassemblati” in una meccanica color perla e prettamente rivolta ai climax che già hanno fatto conoscere al mondo intero i sospiri raggelati e passionevoli di Mum, Sigur Ros, The Knife, e per dirla tutta un disco che scende in verticale in un pathos che fa brividi ed immaginazione oltre le quote delle distanze infinite.
La stupenda voce di Jofridur Akadottir è come una manna che cade lieve su questa stupende ambientazioni sonore, voli e radenti asettici che lambiscono le orge strutturali di ambient e di quelle onde magnetiche che si rimbalzano come swap lunari e che veramente danno la sensazione di non avere più la dotazione della posizione eretta, ma un dolce vacillare, un galleggiare out-weight; illusionistici i bagliori di leggende “raccontati” da percussioni e parole mistiche popolari “Viltu Vitrast”, il basso che detta una linea bluastra a margine di “Goda Tungl”, la cosmicità ritmata dei rimandi “Voggudub” e la dissolvenza di loop, strumenti a fiato e sintetizzatori “Kelan Mikla” che alla fine di tutti i discorsi ed i flash d’ascolto accendono la luce dell’innocenza interiore, quella valvola interna di batticuore silenziato di cui spesso non ci si accorge di averla.
I Samaris vincono la scommessa di stupire e lasciare a bocca aperta molti, la loro è una etera mistica volatile, la nostra è una sorpresa dura a compattarsi. Buon Ascolto e allacciate le cinture di sicurezza, si parte!