“To Those In The Eyes Of God” è il primo passo ufficiale della band torinese The PotT, ed è tutto meno che esizialeità creativa, anzi una rinnovata forza e una ritemprata maledizione con direzione i neri contorsionismi dello stoner, di quello poco rassicurante, specie poi quando la band lo inietta di una soluzione elettro che fa tanto noise avveniristico, del tipo soundtrack per metropoli disperate ed in preda ad allucinazioni collettive.
La band mette in pista un articolato corredo di deliri, angosce ed un paludoso stato comatoso da cui s’intravedono tanti mondi e qualche fondamentalismo come fonte di ispirazione dentro una tracklist che non alleggerisce mai la sua corsa verso gli inferi doloranti, un disco emaciato e pieno di lividi formidabili, la giusta colonna sonora piena di ombre che potrebbe devastare l’inquietudine di un ascolto sopra le righe; un disco dal passo pesante, dall’umore darkeggiante e dal sangue stratificato, amaro e nero come la pece, un limbo dove rotolano ossesse le carnalità degli APC come le rivelazioni mistiche dei Tool a fortificare l’intenzione primaria di questa formazione a disintegrare l’esistente ed eccessivo cromatismo stilistico che il genere, ahimè, sta prendendo.
Potenzialmente il registrato mostra numeri importanti, arrangiamenti ricchi e ambiziosi il giusto, musica che deflagra appena viene immessa nel circuito uditivo, romantica come un calcio nei testicoli, di rara perfezione informale “Showing muscle” e perfettamente “residence” nei territori acri, devitalizzati e psich dei deserti dell’anima “Prison of social conformity”, “Sick”; tutto quello che impazzisce nel corpo sonoro dell’album è rischiarato da un sole pallido, malaticcio, da quel malessere amplificato e distorto che si sovrappone in una micidiale proposta vincente, rifferama ed elettronica da pelo e contropelo, poetica empirica e Dei da bestemmiare si accoppiano come in una lussuriosa prova d’amore.
Buoni gli asimmetrismi robotici “In this hole”, le distonie pompanti di “Alice”, beato il noir del siparietto lullaby che si apre su “SBV”, un insieme di nove fiamme premonitrici che si abbattono contro un ascolto contemporaneo ed ai bordi della notte; la Sinusite Records – al contrario del moniker – ha buon fiuto, e questi The PotT ci mandano a dire che – se anche in queste canzoni ci sia più luce dello stoner consueto – non vuol dire minimamente che il fuoco sacro dell’inferno sia spento.
Piccolo gioiello sciamanico, specie nella ghost track!