The Prodigy Tag Archive

Dodici Tracce: non la solita playlist #12

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Una rubrica in cui le illustrazioni di Stefania incontrano gli scritti e le playlist di Claudia, dando alla luce un racconto sonoro a forma di vinile.
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Dodici Tracce: non la solita playlist #06

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Una rubrica in cui le illustrazioni di Stefania incontrano gli scritti e le playlist di Claudia, dando alla luce un racconto sonoro a forma di vinile.
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Ottovolante – Re di Quadri in Trip

Written by Recensioni

A tre anni di distanza da La Battaglia delle Mille Lepri, i molisani Ottovolante si ripropongono con una formazione diversa, un’etichetta che crede profondamente in loro (la Diavoletto Netlabel) e soprattutto un nuovo disco: Re di Quadri in Trip, registrato interamente al Red Sound Studio di Petacciato (CB). Il singolo “R.i.p. Nichilismo” ci indirizza attraverso un caleidoscopio nero pece fatto di suoni elettronici e New Wave anni 80. Non risulta particolarmente assimilabile per chi non mastica bene questa mistura. La solenne “Sul Fronte di Guerra” ha un’articolazione che è un autentico passaggio tra generi che non hanno nulla l’uno con l’altro: una sorta di battaglia galattica tra il Rock, la Techno dei The Prodigy e i film western di Sergio Leone. L’Ispettore Bloch Va in Pensione” (chiaro omaggio al fumetto cult Dylan Dog) e “Edimburgo 31/12” sono le facce identiche di una medaglia diversa, rappresentano il principio e la fine di una festa, nata inizialmente come un rave party e chiusa come una funzione religiosa. Inizia a mancarmi l’aria mentre porgo l’orecchio a “Disagio del non Oltre”, claustrofobica e nebulosa fino al midollo. Apro la finestra e da fuori entra “Storie di Nessuno (Me Compreso)”, ma non capisco se provenga dallo stereo dell’auto di uno sbruffone maleducato o dal giradischi di un cultore della musica d’autore. Confuso, sono troppo disattento per apprezzare “Geometria dell’Incontra tra Due Cerchi”, che scambio per il proseguo del brano che l’aveva preceduto. Re di Quadri in Trip ha tante idee, poche verità e un’accentuata mancanza di compattezza. Nei tempi passati non gli resterebbe che abdicare, atteso alla forca dalla folla impazzita. L’ispettore Bloch chiederebbe un antiemetico a gran voce, Dylan Dog la sua Bodeo 1889. In entrambi i casi non sono affatto presagi positivi.

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Lo Sziget prende forma

Written by Senza categoria

Svelati tre nuovi nomi per il cartellone della 22esima edizione del Sziget Festival: Outkast, Manic Street Preachers e The 1975 si affiancano agli artisti già annunciati, tra cui si segnalano Queens of the Stone Age, The Prodigy, Macklemore & Ryan Lewis, Bastille, Skrillex, Placebo, The Kooks ed Imagine Dragons.

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The Monkey Weather – The Hodja‘s Hook

Written by Recensioni

Se i The Monkey Weather fossero nati in Gran Bretagna probabilmente li vedremmo in cima a tutte le classifiche scalzando dal podio artisti quali Franz Ferdinand, Arctic Monkeys Kasabian da cui traggono spesso ispirazione pur mantenendo quella componente Punk n’ Roll che li caratterizza e li distingue dai loro più affermati colleghi. The Hodja‘s Hook è il secondo disco dei The Monkey Weather, che segue a due anni di distanza l’esordio bomba Apple Meaning e che contiene undici canzoni che testimoniano lo stato di grazia di una delle più divertenti Indie Rock band del nostro Paese. Probabilmente non eravamo di fronte a una band così ben assemblata proveniente dal Piemonte sin dai tempi degli esordi dei Marlene Kuntz che con l’album Catartica portarono una ventata di novità all’intero panorama musicale italiano troppo appiattito dai picchi cantautoriali e dalla filodiffusione delle radio “commerciali”.

Che la band si sia formata dopo un viaggio a Liverpool sulle orme dei The Beatles nel 2010 appare evidente sin dalle prime note di “Let’s Stay up Tonight”, dove il batterista Miky The Rooster “dà il La” ai suoi colleghi Jolly Hooker (chitarre e voce), Paul Deckard (basso e voce). Tanta energia e tanto sudore speso nella scrittura di tutti i brani sono evidenti anche in “Sometimes” e “Lies”, brani antitetici per caratteristiche sonore ma dalla qualità eccelsa. Le voci di Jolly Hooker e Paul Deckard sono certamente molto diverse fra loro ma ciò permette loro soluzioni assai varie e gradevoli all’ascolto. Del resto i The Monkey Weather avevano già dimostrato il loro valore durante i live spesso persino accanto a nomi quali The Vaccines, Linea 77, LnRipley, Pan del Diavolo, The Fire e tanti altri. Durante i quasi quaranta minuti dell’album trova persino spazio un’inaspettata ed alquanto insolita cover di “Firestarter”, brano contenuto nel disco The Fat of the Land che spalancò le porte del successo mondiale ai The Prodigy nel lontano 1997. L’unico rimprovero che si possa fare alla band è nei titoli, dai nomi troppo “classici” (“Sometimes” ad esempio era una hit mondiale degli Erasure!) ma i The Monkey Weather, ruvidi quanto gli Stooges di Iggy Pop e raffinati quanto i Blur, hanno fatto della semplicità e dell’immediatezza le loro migliori armi a disposizione. Un’altra (ennesima) grande produzione a nome AmmoniaRecords che certamente non vi deluderà!

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“Diamanti Vintage” The Prodigy – Music For The Jilted Generation

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Rivoluzione mastodontica in campotechno, gli inglesi The Prodigy fanno tracimare e conoscere nel mondo la controcultura rave, il clangore fulminante dell’elettronica, il mega big beat che, con i Chemical Brothers, The Crystal Method e Fatboy Slim, riempirà le tempie di più di una moderna generazione. Nel 1994  il dj Liam Howlett e soci danno alle stampe “Music For The Jalted Generation”, e nulla fu come prima, un disco che scoperchiò per sempre la teoria che l’ingegno creativo era cosa da invasati, drogati del mega sound.

Distorsioni sonore e vocali, intelligenze artificiali e tappeti di samplers a tutto volume, ritmi, Jungle, Dance-Punk, Techno e Break Beat, Alternative Dance con accelerazioni repentine, sterzate energiche ed organiche di disturbi sensoriali; poi una volta miscelati a dovere si danno ai livelli volumetrici del suono che, sparato a decibel assurdi, diventano la meccanizzazione alternative della goduria ottundente. Un disco che si è guadagnato in poco tempo la posizione di chiave di volta della techno di massa, la variazione e lo sciame dei suoni di nuova generazione e che va a scalare vertiginosamente hit parade e chart di mezzo mondo con la forza della sua ragione “contro”.

Regno di Drum & Bass e di una stupenda mescolanza d’inserti Hip-Hop e Metal a profusione, le tredici tracce che costituiscono l’ossatura al tungsteno del disco sono un potenziale mostruoso di hooks-hit che faranno la fortuna di palinsesti radiofonici, e porteranno la band alle più alte vetta di notorietà, simbolo e dannazione di milioni di ravers in cerca di jump-lives per abbandonarsi alle frenetiche onde di altrettanti mega sound-system armati di tonnellate di watt e watt; questo era il primo passo della formazione britannica alla notorietà di base, poi col successivo The Fat Of The Land tutto prenderà ancor più fuoco e suggellerà definitivamente la storia del quartetto. Brani come “Voodoo People”, “Poison”, “Their Low” – traccia quest’ultima che portò terribili tensioni con i Cypress Hill per via di certe assonanze molto vicine – a loro detta – al plagio di un brano proprio dei CH – e la sarcastica risata che rimbomba dietro il ritmo convulsivo di “Clautrophobic Sting”, sono pezzi di storia che ancora girano a mille, che ancora sono profezie cui molte giovani formazioni chiedono consiglio.

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