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The PseudoSurfers – The PseudoSurfers EP

Written by Recensioni

In una canzone le parole sono fondamentali quanto la musica.
Di più, molto probabilmente, perché sono quelle che immediatamente ci comunicano un messaggio, sembrano chiarire il senso di tutte quelle note suonate e cantate, di quei colpi di batteria, di certi tocchi. Da sempre, il mio primo ascolto di un brano è dedicato tutto alla comprensione del testo, il resto viene dopo. A confermarmi o smentirmi le impressioni precedenti.
Per questo ho sempre diffidato di gruppi che tendono a fare della voce un mero strumento al pari degli altri, usandone solo il potere fonico e non badando al contenuto, limitandola allo sfondo del brano e facendola sopraffare dalla musica.
Ed è per questo motivo che The PseudoSurfers, progetto del compositore romano Enrico M. che dal 2011 si avvale della collaborazione della bassista Silvia S., col suo omonimo Ep, stava per esser liquidato all’ascolto di Jungles of Iran, che apre il cd con una risata sguaiata, improvvisa, che poco c’entra con le subitanee atmosfere distorte e chitarrose, che ci portano, su un giro piuttosto semplice ma dal ritmo incalzante magistralmente scandito dal basso, alla ripetizione ossessiva delle parole, le uniche veramente (e finalmente!) comprensibili, “Non mi muovo più da qui”.
Sonorità veramente lontane (e decidete voi se è un bene o un male) dalle più recenti e ben confezionate produzioni sedicenti indie, per quanto The PseudoSurfers si meriti tutta questa etichetta nella sua reale accezione: un brusio costante in sottofondo, che richiama subito la psichedelia di fine anni ’80, a cui vanno aggiunte la voce calda, ariosa e roca (sempre incomprensibile!) e una cura maniacale alla ricerca del rumore, un po’ in stile Verdena o Marlene Kuntz con Dan Solo.

E allora la musica ci è piaciuta, quel finto ritornello (perché compare solo alla fine) ci rimbomba ancora in testa, ci siamo dimenticati del nostro insoddisfatto feticcio letterario per i testi e possiamo passare a 1664, che prosegue dritta per la strada spianata dalla traccia precedente, col basso quasi protogrunge, semplice, diretto, rotondo e scanzonato (con un richiamo quasi immediato ai The Vaselines). Semantics, col tema principale alle tastiere, ci avvisa che qualcosa sta per cambiare: le armonie si complicano, lasciando emergere la preparazione classica di base e l’ispirazione post-tonale, e per quanto il buzz sia immancabile, viene coperto da brevissimi incisi di chitarre eteree.
Che Enrico e Silvia siano cresciuti a Sonic Youth e My bloody Valentines, qui, è inequivocabile.
È però all’avvio di Space, la ballad immancabile in un sample come questo, che il duo abbandona completamente l’influenza post-punk e si macchia di una vena pop che proprio non riesce a sposarsi col resto dell’Ep, specie considerando la prosecuzione in Irrotational, traccia di chiusura, coi suoi oltre quattro minuti di sperimentazione esclusivamente e squisitamente strumentale. Ritorna il noise, ritorna la chitarra a farla da padrona. La voce tace e neanche ce n’eravamo accorti.
A differenza dei brani precedenti, però, questo sembra guardare più ai 2000, alla Treefingers dei Radiohead di KidA, ma soprattutto ai Mogwai. Si carica di una maturità musicale e di una serietà che davvero stona con le prime due canzoni, tanto da sembrare posticcia.
Un’inversione di tendenza, quella delle ultime due tracce e mezza, che lascia l’ascoltatore decisamente spiazzato. The PseudoSufers è un Ep e come tale deve mostrarci un po’ tutto quello che la formazione sa fare, ma un po’ di omogeneità in più, specie negli intenti, sarebbe stata decisamente più gradita.
L’impressione che lascia è che il duo, le cui abilità tecniche sono indiscutibili, non abbia ancora tanto le idee chiare su dove voglia andare: un vero peccato.

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