Quella dell’otto maggio è stata una serata davvero memorabile. Ancora una volta ho avuto la conferma che basta guardarsi bene intorno per riuscire ad assistere ad uno show degno di nota. Gli Ash Code sono i protagonisti assoluti della serata e a fine concerto, l’ unica pecca che sono riuscito a notare è il caldo infernale. Il connubio tra birra e musica degli Ash Code è perfetto e mi trasporta immediatamente in un piccolo paradiso oscuro. Lo show comincia con leggero ritardo a causa di problemi relativi agli scarsi posteggi ma intorno a mezzanotte quando i tre ragazzi salgono finalmente sul palco del Cellar Theory, una meraviglia di locale che ha l’ulteriore pregio di servire dell’ ottima birra ad alta gradazione; un posto degno di tutti i rocker o i gothster della città. C’è un bel pubblico, il locale è pieno e tutti non vedono l’ ora di farsi trasportare dalle note degli Ash Code. Subito dopo l’ intro la band apre con “Self Destruction”, ideale per cominciare a scaldarsi. La seconda traccia è la mia preferita, quella che mi fa viaggiare e mi fa scuotere: “Waves with no Shorers”. Speravo la suonassero quasi alla fine, essendo la mia canzone preferita degli Ash Code; volevo conservarmela come boom finale ma evidentemente i tre ragazzi non la pensavano come me. E’ il momento di “Empty Room”, un altro cavallo di battaglia del loro nuovo disco; con questa il pubblico comincia a scatenarsi e a ballare e molti la canticchiano. Con “Unnecessary Song” gli Ash Code danno ancora una sana lezione di come si usano le oscure atmosfere. E’ il momento di “Drama” che ti riporta indietro nel tempo, rammentando i primi Ministry e qualcosa dei Sisters of Mercy. Con “I Can’t Escape Myself” i tre ragazzi omaggiano i The Sound con una cover riuscitissima e in questa veste ancora più oscura il pezzo rende benissimo. Si sentono le note della titletrack del loro nuovo disco, l’ adrenalina sale (insieme alla birra), il pubblico si muove sul posto, qualcuno improvvisa una danza personale, gli Ash Code hanno fatto di nuovo breccia. Si chiude lo show con la quiete “North of Bahnhof” e l’ immancabile e frenetica “Dry your Eyes”. Insomma non c’è da lamentarsi di questo evento degli Ash Code; sono stati bravi, hanno emozionato il pubblico ed hanno fatto passare una serata davvero piacevole. Credo che sia un gruppo da tener seriamente in considerazione; hanno voglia e passione e il loro genere lo conoscono bene.
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La Band della Settimana: Open Zoe
Open Zoe è la rinascita di un progetto musicale i cui componenti si erano incrociati in altri progetti in vite precedenti. Per alcuni di essi l’abbandono dell’attività musicale era già realtà, per altri era un approdo delineato a seguito di delusioni e stanchezza. Dionisia, Enrico ed Ettore avevano condiviso l’esperienza musicale del progetto Etabeta (pop-rock con innesti di elettronica) che negli anni a cavallo tra il 97 e il 2002 aveva raccolto significativi riscontri in concorsi anche nazionali, recensioni (due mini cd all’attivo) e date in giro per l’Italia e Francia (anche di supporto a Bluvertigo, Cristina Donà, Rosso Maltese, Delta V) Enrico e Lele avevano portato avanti negli anni 2002-2010 gli Aulasei, gruppo di matrice dark-wave, che altresì aveva prodotto un cd e ottenuto lusinghieri riscontri critici. Tra il 2011 e il 2013 in tempi diversi Ettore e Dionisia (entrambi lontani dalla musica praticata da parecchi anni) accettano l’invito di Lele ed Enrico per dare vita ad un nuovo progetto che parta dal substrato wave degli Aulasei per svilupparsi in ambienti meno oscuri e più diretti e aperti. Tra il 2013 e il 2014 trovata l’amalgama tra i componenti e individuata una linea comune viene scritto e arrangiato il materiale per il primo disco Pareti Nude che viene registrato in varie tranche in un periodo di un anno e mezzo tra metà 2013 e inizio 2015. I testi sono di Lele Mancuso, le musiche nascono a quattro mani prendendo spunto da idee individuali. La matrice di partenza del suono Open Zoe viene riconosciuta nella new wave anni ’80 di band quali The Sound, Echo and the Bunnymen, Joy Division, Chameleons, primi U2. Lo sviluppo degli arrangiamenti e la robustezza del suono ha portato tuttavia alcuni a riconoscervi esperienze degli anni ’90 che hanno messo insieme musica organica ed elettronica (Radiohead e certi Pumpkins). Poche le incursioni live nel periodo di scrittura del disco, la band del resto è composta da musicisti che, spesso insieme nelle esperienze precedenti, hanno calcato decine e decine di palchi.