The Velvet Underground & Nico Tag Archive
The Black Angels – Indigo Meadow
Questi maledetti anni 60, fiori che sbocciano in teschi. Profumo di morte e fantasia. Rinascita e decadenza nel decennio più rigoglioso per la musica Pop. Semplicemente gli anni che meglio hanno rappresentato la libertà, il viaggio.
C’è da dire che in questo caso sarà del facile revival, musica già masticata e digerita più volte, ma The Black Angels da Austin confermano dopo qualche episodio così e così di aver finalmente trovato insieme al loro revival anche il loro sound decisivo. Certo è che i ragazzi sono scaltri a rubare i suoni graffianti da LP di altissima qualità. Saccheggiano il nome da una canzone del disco con la banana (“The Black Angel’s Death Song” è solo uno degli undici capolavori presenti in The Velvet Underground & Nico) e riprendono senza troppa remora gli svarioni più tossici e visionari di Ray Manzarek, le cavalcate dei Black Sabbath e, per non sembrare troppo ancorati alla comoda Psichedelia, aggiungono il nero dei The Cure e Jesus and The Mary Chain. In più conservano una fetida alitata del marcissimo Garage svarionante alla Black Rebel Motorcycle Club. Forse con questa carrellata di nomi più o meno affini potrei aver detto tutto. E invece no. I texani a questo giro confermano non solo di aver l’abilità di suonare moderni con le sonorità di cinquanta anni fa, ma anche di risultare accattivanti e (perché no?) melodici.
La batteria della bionda Stephanie Bailey ci proietta subito in un caleidoscopio ricco di colori e sfumature, dove tutto è visione e nulla è reale. Le tastiere calde e più che mai dal sapore vintage bene si intrecciano al resto del combo. Così la title track “Indigo Meadow” è un calcio verso un mondo magico e avvolgente, dal sapore di marijuana (o forse dovrei dire LSD?) e dai sensi rallentati. Parte “Evil Things” e il vortice continua ma con colori più scuri e verso sogni più tetri. Un inferno lento e doloroso, ecco la cavalcata di Ozzy e soci, dove la voce di Alex Mass pare distorcere da sola tutti gli altri strumenti. “Don’t Play With Guns” vince per armonie e melodie accattivanti e qui Lou Reed ritorna ragazzo, ringiovanisce la sua pelle e il suo spirito ritorna acerbo.
Il disco per fortuna conserva sempre quel senso di imprevedibilità grazie ai suoi incredibili sprazzi di genialità. Un esempio? Il feroce attacco del ritornello di “Love me Forever”. E qui a rivivere è niente meno che mister Jim Morrison. Il passato prova ad avere il sopravvento ma questa musica ribolle ora nel nostro stereo, pulsa e vive adesso. Un grande schiaffo a tutte le iperproduzioni e alle loro centinaia di futili e perfettine sovraincisioni.
Nonostante il senso di improvvisazione, tutto pare studiato per il nostro “viaggio”. I tredici brani dilatatissimi scorrono a passo lento, avvolgendo piano piano corpo e mente. L’arpeggio di “Always Maybe” è una ninna nanna maledetta e insistita, mentre “War on Holiday” sprigiona tutta l’energia spesso tenuta sapientemente al guinzaglio. La band arriva perfino a mischiare i sensi e ci invita ad ascoltare i colori del suo fantastico caleidoscopio (“I Hear Colors”) per poi chiudere con la ballabile e poppettara “You Are Mine” e con “Black Isn’t Black”, dove le vociecheggiano sempre più lontane fino a sfumare insieme al riff insistito, quasi a reintrodurci alla nostra stupida e monotona realtà.
Certo che bastano questi suoni profondi, questi rumori lunghi ed estenuanti. La sensazione nel finale è quella di uscire dal tunnel assuefatti e stonati. No non è un semplice viaggio nel tempo ma un trip visionario e delirante, senza stupefacenti. Una musica può fare.
Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Sessanta
Anni 60, quanti ricordi. Ad essere sinceri nessuno, perché in quel decennio anche mio padre era, al massimo, solo un adolescente. Eppure ogni cosa che ha riguardato la nostra vita, un disco, un film, un vestito, un pensiero, ha a che vedere con i Sixties. Erano gli anni della guerra fredda di Usa e Urss e di Cuba, del terremoto in Cile, di Martin Luther King e Jurij Gagarin, del muro di Berlino, dell’avvento dei Beatles, dei Rolling Stones e del Papa buono. Gli ultimi anni di Marylin, Malcom X e John Fitzgerald Kennedy. Gli anni di Chruščёv e della minigonna, del Vietnam e della Olivetti, di Mao e del Che, della primavera di Praga e dei Patti di Varsavia, di Reagan e degli hippy, del pacifismo e dell’anarchia felice. Gli anni dei fascisti e dei comunisti, della British Invasion e di Mina, di Kubrick, della Vespa, della 500, di Carosello e di Celentano. Gli anni della contestazione studentesca e dell’uomo sulla luna, gli anni di Woodstock, delle droghe, della psichedelia e gli anni del Rock perché quegli anni sono le fondamenta solide su cui poggia tutta la musica (o quasi) che ascoltate oggi.
A scadenze non prefissate, Rockambula vi proporrà la sua Top Ten di determinate categorie e questa di seguito è proprio la Top Ten stilata dalla redazione in merito agli album più belli, strabilianti, influenti e memorabili usciti nel mondo nei mitici, impareggiabili anni 60. Nei commenti, diteci la vostra Top Ten!
1) The Velvet Underground – The Velvet Underground & Nico
2) Jimy Hendrix – Are You Experienced
3) The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band
4) The Doors – The Doors
5) Led Zeppelin – Led Zeppelin II
6) Pink Floyd – The Piper at the Gates of Dawn
7) Bob Dylan – The Freewheelin’ Bob Dylan
8) Led Zeppelin – Led Zeppelin
9) David Bowie – David Bowie (Space Oddity)
10) The Stooges – The Stooges
Vincono Cale, Reed e Nico con la loro banana gialla disegnata da Andy Warhol ma la presenza di Hendrix e The Stooges in Top Ten la dice lunga su quanto, a noi di Rockambula, piacciano le ruvide e sperimentali distorsioni dei mitici Sixties. Ovviamente non potevano mancare The Beatles, i re del Pop di quegli anni, presenti con uno dei loro capolavori assoluti, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, mentre la scena Psych Rock, formidabile nei Sessanta, è rappresentata degnamente grazie all’esordio dei Pink Floyd con Syd Barrett ancora in grado di esserne l’anima e l’omonimo The Doors. Chiudono la lista uno dei più grandi cantautori mai esistiti con The Freewheelin’ Bob Dylan, il re del Glam Rock David Bowie e l’unica band capace di piazzare nei primi dieci posti ben due album, ovvero i Led Zeppelin.
Esclusi eccellenti, anche se citati dai nostri redattori, i Beach Boys con Pet Sounds, Frank Zappa, Captain Beefheart e, udite udite, i Rolling Stones.
Ora potete iniziare a urlare le vostre Top Ten!