Un’aria gelida entra nelle narici, i polmoni gelano e il cuore accelera all’impazzata. Le pesanti chitarre de L’Inverno della Civetta conquistano spazi indecifrati nelle fantasie più remote. Quasi una violenza psicologica, porta uno strano piacere sottostare. L’Inverno della Civetta per mettere subito le cose in chiaro è un progetto ligure partecipato da molti artisti: Meganoidi, Mope, Od Fulmine, Isaak, Gli Altri, Eremite, Bosio, Kramers, Numero 6, Demetra Sine Die, Giei, The Washing Machine, Madame Blague, Lilium, Merckx. La pressione dei brani riesce ad essere ogni volta diversa, camminare nella nebbia fittissima e sentirsi smarriti nella Post Stoner Rock “Territori del Nord Ovest”, urla e disperazione in un concentrato di sperimentazione sonora. Ma le tante influenze presenti nel progetto hanno la capacità di cambiare velocemente le carte in tavola, i ritmi si fanno indiavolati e fuori continua a piovere incessantemente. La brevissima ma incisiva “Amaro”. L’omonimo disco rappresenta un percorso di paura, di intolleranza verso la felicità, un’avventura segnata dai forti venti e narrata da Lovecraft. Viene quasi voglia di piangere, il sole non sorge mai in “Morgengruss”, sentori di Black in “Bantoriak”. Tutto si svolge secondo una logica ben definita, sembra di vivere nella Svezia più lugubre, mancano quasi sempre le parole nei brani, le atmosfere decidono incontrastate le sorti del disco superando l’importanza dei riff. Indiscutibile la tecnica. Sembra di rivedere Il Santo Niente in “Messaterra”, in particolare per la parte cantata, il sound mi tira velocemente fuori dalla condizione mentale in cui mi ero gettato. Mi trovo spiazzato e non accetto volentieri lo scorrere del pezzo. Ma siamo alla metà del lavoro e le cose potrebbero cambiare fino alla fine.
Infatti, il disco prende una piega decisamente diversa e non nascondo la delusione, non riesco a concepirlo. Dove sono finite tutte quelle atmosfere tanto eccitanti dell’inizio? Quelle che riuscivano a farmi sussultare le emozioni? “Numero 7” addirittura assomiglia ad una canzone popolare gitana, niente contro le canzoni popolari ma non riesco a realizzare cosa ci faccia in questo supporto. Mi scende uno sconforto impressionante e tutta la mia ammirazione viene dimezzata. L’Inverno della Civetta meriterebbe la massima ammirazione fino alla traccia numero quattro, da quel momento in poi le cose cambiano in modo impressionante. Se fosse stato un Ep sarebbe stato qualcosa di epico, purtroppo non lo è, ma prendiamoci pure soltanto la parte “paurosamente” bella. Veramente un grande peccato, un viaggio finito a male.