I Tindara sono un progetto nato nel 2009 dalla mente di Terenzio Valenti che concretizza dopo tre anni il sogno di ogni rock band: realizzare il primo disco con l’aiuto di un musicista famoso.
Il nome in questione in questo caso è niente poco di meno che Luca Bergia, batterista e fondatore dei piemontesi Marlene Kuntz, produttore artistico insieme a Riccardo Parravicini; inoltre il gruppo è seguito anche dal manager e produttore Toto Maisano.
Le premesse insomma ci sono tutte e, diciamocelo, “Quando parlo urlo” non tradirebbe le aspettative nemmeno del più scettico degli ascoltatori.
Raro infatti trovare sonorità così fresche in Italia, che si rifanno spesso oltre che ai già citati Marlene Kuntz a gruppi americani quali i Violent Femmes e i meno noti Days of the news.
Persino l’artwork a cura di Riccardo Barra appare azzeccatissimo ed intrigante con titolo in bianco, nome della band in giallo e canzoni elencate tutte in bianco fatta eccezione per la prima lettera della prima canzone e l’ultima dell’ultima traccia (scusate il gioco di parole) riprendendo una moda lanciata trent’anni fa dai Duran Duran nel loro disco di esordio, quando Malcolm Garrett decise di colorare poche lettere di rosso per dare un tocco di vivacità al tutto.
Registrato interamente presso il Modulo studio a Cuneo, “Quando parlo urlo” si apre con “Come dici tu”, che tratta della disperata ricerca di un lavoro da parte di una persona come tante spesso giudicata senza far troppi complimenti.
Con “Ho scelto il nero” inizia invece un filone di rock più marcato stile Verdena che prosegue nella più pacata “Sopra la delusione” che vede anche la collaborazione al violino di Davide Arneodo, che suona anche il mandolo elettrico in “Come dici tu”.
L’ arpeggio iniziale di chitarra di “Quando parlo urlo”, molto delicato e raffinato, è invece il tocco di classe, la ciliegina sulla torta che ancora mancava, che ben si incastra al resto degli strumenti e a liriche emozionanti.
Il rock riprende poi il sopravvento in “Stones”, per poi lasciare spazio a “Un minuto” canzone che evoca la pace in un minuto di silenzio quale massimo desiderio.
“Sogna che ti passa” descrive invece l’adolescenza attraverso l’incontro di un lui scalpitante ed acerbo e una lei vanitosa “che preferiva lisciarsi allo specchio”.
“Schiuma” è ciò che succederebbe secondo me se Giuliano Sangiorgi dei Negramaro e Manuel Agnelli degli Afterhours collaborassero per scrivere una canzone (tale esperimento potrebbe anche apparire assurdo, ma i Tindara riescono nell’impresa di concretizzarlo grazie a un uso indovinato dei synth e di un basso che si lascia andare in perfette scorribande sonore).
In “Vescica” poi emerge l’anima più grunge del gruppo attraverso un cantato urlato degno del grande e compianto Kurt Cobain e quella più stoner attraverso le chitarre distorte più che mai.
“Upupa” è l’unico strumentale del disco, col solo ruolo di fare da preambolo alla conclusione che avviene con l’aggressività di “Consapevolezza”.
Un’ottima prima prova che miscela alla grande rock, grunge, stoner e pop senza deludere mai.