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Arturocontromano – Pastis

Written by Recensioni

Questa band calca le scene torinesi da più di 15 anni, come un fiume in piena tra Ska, Reggae, Folk nostrano, Funky e cantato in italiano mai banale e fuori dal tempo. Anche questo nuovissimo Pastis è fresco e concreto. A cavallo tra la maturità e la poca voglia di crescere, restare sognatori incalliti con i piedi per terra. L’inizio di “E la Sera” è festa, con quelle voci sotto che sanno di vino rosso versato in bicchieri da piola. Il contrabbasso e la batteria swingata sono gioia pura, perfetto poi l’incastro con il piano wester e con il sax. Un suono che ammette miriadi di sfumature, “Fermo a Carnevale” è sarcastica, contro ogni tipo di moda, sbilenca con quella tromba e quella ballata in levare. Sembra il gioco di un equilibrista che si destreggia con una gamba sola, il senso di caduta costante aumenta il divertimento. Il tutto poi impreziosito dalla collaborazione con gli Eugenio in Via di Gioia, tra i migliori gruppi in circolazione oggi a Torino.

La canzone più bella arriva con “Il Cassetto”, vecchia fotografia impolverata. Semplice, uno schiaffo in faccia di nostalgia e i rimpianti di una fredda divisione. Ma ci pensa il gruppo a creare un suono magico su un tema alquanto scontato, potere sopraffino del Pop. Il resto del disco scorre come acqua tra le dita in una calda notte d’estate, fresca e dissetante (anche se la bevanda più adatta a rappresentare un disco che si chiama “Pastis” di certo non è l’acqua!). Non mancano però temi più caldi che le mani le bruciano. “Il Senso Del Non Senso” galleggia su un substrato ballabile e latino, le parole sono però le più impegnate del disco e si collocano nel bel mezzo della striscia di Gaza. “Pastis” è eterogeneo, multiculturale ma ha il suo filo logico che lega una canzone all’altra e ogni brano ha in sé qualcosa che merita un commento. “La Mia Esplosione” e “Sospiro” dimostrano come gli Arturocontromano giochino col Jazz, avvicinandosi a Vinicio Capossela ma anche al maestro Paolo Conte. Il sax domina la scena in questi due pezzi stradaioli. “Vorrei Adesso” e “Dall’Altra Parte dell’Oceano” sono scanzonate e studiate a puntino per scatenare il pubblico di un concerto. Senza dimenticare mai quel senso di nostalgia e di consapevolezza che racchiude tutto il Pastis. Il titolo descrive tutto per bene, questo è un album da bere: per dimenticare le brutte batoste, per ricordare i bei tempi, per un brindisi tra vecchi amici o semplicemente per sciogliere più le gambe e fare baldoria.

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Sainkho Namtchylak live @ Folk Club, Torino, 18/04/2016 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Lo storico Folk Club di Torino ha ospitato pochi giorni fa l’inimitabile voce tuvana di Sainkho Namtchylak accompagnata dagli strumentisti maliani Liya Ag Ablil “Diara” e   Sanou Ag Ahmed, membri di Tinariwen e Terakaft, e dal nostro Danilo Gallo dei   Guano Padano.
L’artista europeo ha fatto da ponte tra le circolarità chitarristiche dei musicisti nordafricani   e l’incredibile espressività vocale di una Sainkho Namtchylak che ha deliziato il pubblico   con il suo canto che riprende i tratti caratteristici della sua terra d’origine adattandoli alle  più svariate sonorità in questo riuscito incontro tra culture.
Il live ha vissuto molto d’improvvisazione ed i brani dell’ultimo  Like a Bird or Spirit,  Not a Face si sono sviluppati spesso in modo molto diverso che su disco.
Sainkho, che col suo viso e le sue movenze potrebbe sembrare un personaggio   del mondo di una spiritualissima Paperopoli, non ha fatto mancare brani di lavori meno   recenti ed ha terminato il concerto felice e commossa regalando una conclusiva   “Dance of Eagle” fatta di sola voce.
Un’anima bella, affabile e delicata, questo ha visto e sentito il pubblico presente in sala, oltre ad un concerto che sicuramente avrà saputo conquistare i più.

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William Basinski @ Superbudda, Torino, 12/04/2016 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Il compositore sperimentale statunitense William Basinski sta in questi giorni presentando in Italia la sua nuova composizione A Shadow In Time, requiem in memoria di David Bowie. Il Superbudda di Torino ha avuto l’onore di ospitare la prima data di questo breve tour il 12 Aprile.
La serata Ambient Drone è stata aperta dal set del bravissimo Paul Beauchamp che ha preparato il pubblico presente in sala al live dell’artista texano. L’autore delle celebri Disntegration Loops ha poi avvolto la gremita sala con la sua ultima composizione, un’elegia che si evolve lentamente e col passare del tempo si fa sempre più magnetica fino al doloroso, ma estremamente dolce, finale.
Una contemplativa composizione di cinquanta minuti per descrivere l’ombra lasciata nel tempo da una stella già di per sé nera. Basinski sarà nel nostro paese ancora per qualche giorno, chi può non se lo perda.

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Dardust – Birth

Written by Recensioni

Dardust è un nome d’arte che racchiude in sé le anime del pianista e compositore Dario Faini. Una vera e propria crasi che eredita una buona percentuale di stelle, non solo per l’esplicita citazione a Ziggy Stardust di Bowie, ma soprattutto per il valore del lavoro di Dario come compositore e autore per molti artisti del panorama mainstream come Marco Mengoni, Francesco Renga, Irene Grandi, Fedez Luca Carboni, per citarne alcuni.

Birth è il secondo album di una trilogia iniziata nel 2014 con 7. Il progetto nasce con la volontà di raccontare attraverso tessiture di suoni elettronici e melodie minimali paesaggi e scenari di tre città Berlino, Rekiavik e Londra.
Il secondo capitolo è quindi dedicato all’Islanda e alla sua proverbiale natura esoterica e magica. Il freddo, l’isolamento, il cielo stellato percorso dell’aurora boreale sono solo alcune delle suggestioni che le note dei dieci pezzi di Birth lasciano trasparire. Come l’Islanda pacifica e desolata in superficie, ma che ribolle di vita al suo interno, il disco mette in scena uno schema musicale metodico: cinque brani neomelodici, nei quali il pianoforte e gli archi rappresentano i pilastri portanti, e cinque brani “loud” nei quali i suoni diventano elettronici e ritmi incalzano l’ascoltatore. Apparat, John Hopkins, Apex Twins si mescolano in un costante gioco di ruoli. I brani melodici sono rotondi, pieni, caldi tanto da scaldare il pungente freddo islandese. Uno sguardo delicato all’interno di un piano sequenza tra lande innevate, gyser di vapore e strade che sembrano perdersi all’orizzonte.  L’elegante “Slow Is The New Load” e la leggera “Næturflüg” sono l’esempio di questa voglia di rallentare e assaporare l’istante, coglierne l’essenza, lasciando che la natura faccia la sua magia.  I brani “rumorosi” invece, pulsano di vitalità e racchiudono in sè vere e proprie esplosioni di synh e drum machine. Il ritmo a volte incalza, e le stratificazione dei suoni raggiungono momenti al limite come in Bardagin (The Battle), a volte si dispiegano e si sviluppano progressivamente nel corso del brano, come nell’eterea“Á Morgun” oppure si fanno esplodere all’improvviso mostrando la potenza e la fierezza di un lupo in corse, “The Wolf”.

Birth è un album ambizioso e originale, una terra di mezzo, dove vige la continua e costante ricerca del compromesso tra melodico ed elettronico. La voglia di trovare il modo per far dialogare due anime, un lavoro in divenire volto alla creazione e alla sperimentazione. Aspettiamo, ora, il terzo capitolo per apprezzare l’opera nel suo complesso.

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Guignol @ Magazzino sul Po, Torino 08/04/2016

Written by Live Report

Arrivo al Magazzino sul Po poco dopo le 22 sotto una leggera pioggia, entrando nel locale si direbbe che quello che ho appena lasciato alle mie spalle possa in realtà essere il temporale più terrificante caduto sulla città negli ultimi cinquant’anni. Io, i musicisti, lo staff del locale ed un altro ragazzo (a questo punto immagino entrato per ripararsi dalla tempesta) è questo quel che trovo. Sì, lo so, sono qui per i Guignol mica per gli U2, ma credo immaginare la presenza di un pubblico formato da almeno una trentina di persone fosse per lo meno lecito anche per il semplice fatto che il recentissimo Abile Labile sia sicuramente un gran bel lavoro. Bevo una birra, fumo un paio di sigarette e scatto qualche foto al Monte dei Cappuccini ed alla Gran Madre da questa bella posizione sul fiume (non piove più e sono arrivate altre 5-6 persone) prima che la campanella annunci l’inizio del live con un ritardo, acquisito immagino nella speranza dell’arrivo di qualche anima persa, che purtroppo andrà ad accorciare i tempi per la band di Adduce. Tocca all’artista di casa Anthony Sasso (metà del duo Anthony Laszlo) aprire la serata con un’improvvisazione di chitarra, synth e piccoli elementi vocali. L’esibizione può essere suddivisibile in 4 parti, buone la seconda, tribale ed evocativa e con chitarra in odor di Santana e l’ultima che sprigiona sentori Kraut (forse un po’ troppo monocromatici) prima del rumoristico finale. Durante la sua performance sono raggiunto da un’altra penna di questa webzine,  cosicché durante l’esibizione dei Guignol si potrà affermare che il 25% del pubblico presente in sala sia parte della redazione di Rockambula. Dopo una breve pausa salgono sul palco i 4 milanesi che partono subito decisi con “L’Uomo Senza Qualità” capace di liberare una buona energia (per quanto sia possibile fare suonando di fronte a così poche persone e per quanto queste poche persone siano pronte a sentirla in una situazione simile). Tocca poi a “Salvatore Tuttofare” e “La Coscienza di Ivano”, brano in cui Adduce abbandona la chitarra trovandosi più libero di interpretare e cambia spesso gli accenti delle parole come usano fare molti cantautori (De Gregori in primis), il brano diventa musicalmente più tirato e grezzo facendosi Punk Rock, il suono fin troppo sporco non gli rende giustizia e sicuramente l’assenza del sax di Giubbonski si fa sentire parecchio. Anche in “Sora Gemma e il Crocifisso” qualcosa non andrà per il meglio ed il brano risulterà come scollato, frammentato. Arriva poi la ballata “Polvere Rossa, Labbra Nere”, è in questo territorio che la band si muove meglio, per quanto il suono possa essere sporcato da un’attitudine Punk Rock molto più viva che su disco qui la chitarra più ruvida riesce in qualche modo a trovare una sua ragion d’essere ed il pezzo rimane quello che è: bello. Trovano spazio in scaletta anche un paio di vecchi brani tra i quali spicca “Il Sole si fa Rosso” (da Rosa dalla Faccia Scura) bella ballata che va a guadagnare ulteriormente in tensione e profondità. Adduce invita i pochi presenti (tutti seduti) ad alzarsi perché la musica, ancor più se suonata dal vivo, è anche una questione fisica ma lo fa troppo tardi. La mezzanotte è passata da poco, ultimamente molti posti in città hanno avuto problemi a causa degli orari (o meglio del vicinato, per quanto vista la posizione vorrei sperare non sia il problema del Magazzino) e dalla regia comunicano che quel che resta è il tempo per un ultimo brano che sarà la bella “Il Cielo su Milano”. Concerto dalle due facce dunque che si chiude forzatamente quando la band iniziava a girare meglio e che non da il tempo di ascoltare il rifacimento de “Il Merlo” di Piero Ciampi o qualcuna di quelle belle ballate notturne scritte da Pier Adduce che immagino fossero in scaletta, peccato. Peccato anche che la band dal vivo tenda ad essere più ruvida di quanto sia su disco perché se certi brani nell’irrobustimento guadagnano qualcosa o perdono relativamente poco, per altri la perdita risulta molto più consistente. Sicuramente la serata un po’ surreale, per quanto il concerto i suoi bei momenti li abbia comunque vissuti, non ha aiutato né il pubblico né la band. Alla prossima dunque, sperando che il cielo su Torino regali una notte un po’ più fortunata.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #08.04.2016

Written by Playlist

I Guignol al Magazzino sul Po di Torino

Written by Eventi

A meno di due anni dal precedente Ore Piccole ritornano i milanesi Guignol con il loro sesto lavoro in studio ed una band nuovamente rinnovata.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #01.04.2016

Written by Playlist

Any Other @ Astoria, Torino 26/03/2016 [LIVE & PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Gli Any Other di Adele Nigro ritornano a Torino a 5 mesi dalla bella serata nella quale aprirono per il concerto degli Hop Along al Samo, circolo ARCI che organizza buone cose ma che purtroppo a causa della sua struttura non ha una grande resa acustica per quel che concerne i live.
La band si presenta nel basement dell’Astoria davanti ad una cinquantina di persone, non molte ma neanche poche considerando che si tratta del sabato sera di un lungo weekend pasquale che avrà sicuramente portato tanti fuori città.

La resa live dei brani di Silently. Quietly. Going Away in questo spazio più piccolo ma più adatto a questo genere di eventi migliora ulteriormente e la band si dimostra ormai affiatatissima dopo un lungo tour che li ha portati a suonare anche fuori dall’Italia.
L’esecuzione dei brani, come su disco, è perfetta, ed in alcuni casi (“Roger Roger, Commander” su tutti) perfino migliore.
Adele è di poche parole (giusto un “ciao noi siamo Any Other” ad inizio e fine concerto ed i ringraziamenti tra un brano e l’altro) ma quando suona e canta ha talento, sensibilità e grinta da vendere e noi siamo qui per questo; Marco col basso è puntualissimo, Erica alla batteria è come sempre molto viscerale e pur saltellando sul suo sgabello meno che qualche mese fa vederla è sempre uno spettacolo nello spettacolo e questa oretta scarsa di concerto vola via con assoluto piacere e conferma questo giovane trio ed il loro disco come una delle cose più interessanti uscite in Italia nell’ultimo anno in ambito Indie.

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Shandon

Written by Live Report

L’atmosfera a Hiroshima è indubbiamente congelata, nonostante fuori ci sia un clima tutt’altro che rigido e i primi venticelli di primavera scaldino le ossa. Dentro tutto è frizzato, a quindici anni fa, quando a Hiroshima c’erano esattamente le stesse facce. Ora con meno capelli e più barba. Meno rasta e più rughe, segni di quegli anni in cui le sigarette (e non solo quelle) il pomeriggio erano sempre troppe. Non sono mai stato un amante del genere ma la curiosità di vedere gli Shandon, dodici anni dopo e con un nuovo disco, era grande. Per vedere quanto il loro suono fosse bloccato e imbrigliato ancora nei vecchi schemi fatti di power chord distortissimi, di ritmiche in levare e di fiati infilati qua e la. Le aspettative erano relativamente alte, visto che il recente passato di Olly l’ha portato a spaziare tra moderno e vintage, tra l’Alternative Rock dei The Fire e il Rythm n’Blues dei Soul Rockets. Tra generi così distanti tra loro ma sempre uniti dall’inconfondibile voce del frontman milanese, a mio avviso ancora una delle migliori ugole in circolazione in Italia.

L’apertura con i Rimozionekoatta è quello che ci aspettiamo, Ska dritto e puro, senza scendere a nessun compromesso. Scalda la platea a dovere prima dell’arrivo delle grandi star. Gli Shandon si fanno aspettare con un cambio palco da grandi occasioni, per poi salire sul palco alle 23:30 cercando l’ovazione di un Hiroshima bello pieno. L’inizio con “Placebo Effect” non fa sperare a un gran cambiamento, anche se i suoni risultano più al passo coi tempi. La batteria di Alecs (già con Olly nei The Fire) è tanto precisa nei pezzi più punkettoni, quanto poco efficace nei ritmi Ska. Perde groove nella scatenata “A Knightly Forest” o nella nuovissima “Skate Ska”, dove  pare che Olly con questa reunion abbia solo voglia di tornare un po’ ragazzino. Anche se, a fare i pisitini, di vera e propria reunion non si può parlare dato che della vecchia formazione vediamo solo Olly e il trombonista Max Finazzi. Il concerto è minato dai vari germi che pare abbiamo intaccato la gola di Olly, che comunque si tiene solo un briciolo in partenza per poi cavarsela sempre egregiamente con la sua ugola d’acciaio. Già in “Egostasi” il cantante milanese libera i demoni che gli avvinghiano le corde vocali, per sparare fuori i suoi ruggiti ben incastrati ai sempre ben graditi fiati. I nuovi brani toccano sicuramente più il sound di “Fetish” che delle altre produzioni. Così “Vuoto” e “Tony Alva” scatenano la platea di adolescenti cresciuti un po’ troppo, mentre il discorso-dedica di “Heart Attack” al padre, dimostra come Olly sia un personaggio ancora molto genuino. Il mix di Punk, Ska e Hardcore è sempre stato e rimane il pane degli Shandon, che sparano un concerto lungo, sudato, a tratti intenso e divertente ma che pare non decollare a dovere. Anche i pezzi più popolari come “Viola”, la velocissima “My Friends” e la finale “Janet”, teatro del classico pogo “wall of death”, non schiacciano via le incertezze su una band che suona troppo radicata agli anni 90. L’ecletticità di Olly spesso salva una band che suona molto bene ma perde di carattere e cerca sempre di tenere un piede nel presente e uno nel passato, snaturando la vera anima di quelli che erano gli Shandon e senza aggiungere nulla di veramente graffiante. Sicuramente la voglia del pubblico di ragazzi cresciutelli è soddisfatta, ricordare i primi concerti e le prime trasgressioni, ma da chi si propone in un palco così dopo tanti anni, ci si aspetta una marcia in più.

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Arrington De Dionyso’s – Malaikat Dan Singa [FOTO REPORT]

Written by Live Report

A due anni dal precedente passaggio in città, sempre al Blah Blah, Arrington De Dionyso ritorna con il suo progetto Punk-Rock Trance d’ispirazione indonesiana Malaikat Dan Singa.

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Il Nostro sfoggia una mise (prima di rimanere in canottiera al terzo brano) meno eccentrica di quella con la quale i torinesi lo ricordano al suo ultimo passaggio in città ma certamente la sobrietà continua a vivere altrove.

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Arrington strega con la sua forte presenza scenica e con la sua folle voce multidirezionale che porta spesso a pensare a strumenti di terre lontane.

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A supportare Arrington (probabilmente ai più conosciuto per i suoi lavori a nome Old Time Relijun) una band di buonissima qualità con il bassista che sfoggia tra l’altro un tatuaggio degli Einsturzende Neubauten ed una maglietta dei Piano Magic, come si potrebbe non volergli bene?

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Quasi nemmeno il tempo che l’ultima nota del live sfumi via che dal pubblico qualcuno domanda “quando tornerai?”, “spero presto” risponde un radioso De Dionyso e vedendo com’è andata la serata credo insieme a lui lo sperino tutti i presenti.

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Non c’è un banchetto, a fine live il merchandising, essenzialissimo, viene venduto direttamente da sopra il palco tra sorrisi, strette di mano, abbracci e facce felici tra il pubblico come tra i componenti della band.

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Ritornano gli Shandon all’Hiroshima Mon Amour di Torino

Written by Eventi