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Club To Club a Torino dal 2 al 6 novembre

Written by Eventi

Dopo il successo della scorsa edizione con l’esibizione di Thom Yorke, il festival torna a Torino dal 2 al 6 novembre. Come sempre parte costitutiva della Contemporary Art Week torinese, Club To Club si svolgerà coinvolgendo anche la vicina Reggia di Venaria. Quasi 50 artisti provenienti da 15 paesi del mondo si daranno appuntamento nel capoluogo piemontese: 17 gli act in esclusiva italiana e ben 12 per la prima volta in assoluto nel nostro paese.

AVANT-PROGRAMME
mercoledì 2 novembre
Reggia di Venaria
w/ Unsound Festival
CHINO AMOBI (US) Italian Debut Exclusive show
ELYSIA CRAMPTON (BO/US) Italian Debut Exclusive show
PIOTR KUREK (PL)

giovedì 3 novembre
Lingotto Fiere – Sala Gialla [Resident Advisor Stage] ARCA (VE) dj & JESSE KANDA (UK) visuals Italian Debut Exclusive show
TIM HECKER (CA)
FOREST SWORDS (UK) Italian Exclusive show

Conservatorio Giuseppe Verdi
ARTO LINDSAY (US)

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venerdì 4 novembre
Lingotto Fiere – Padiglione 1
AUTECHRE (UK) Italian Exclusive show
LAURENT GARNIER (FR)
MURA MASA (UK) Italian Exclusive show
SWANS (US)
ANDY STOTT (UK)
POWELL (UK) live
ANNA VON HAUSSWOLFF (SE)

Lingotto Fiere – Sala Gialla [RBMA Stage] AMNESIA SCANNER (AS) Italian Debut Exclusive show
EVIAN CHRIST (UK) Italian Exclusive show
FATIMA YAMAHA (NL) Italian Debut Exclusive show
GAIKA (UK) Italian Debut Exclusive show
GQOM OH!: NAN KOLÈ (IT) / DJ LAG (ZA) Italian Debut Showcase
KORELESS (UK) Italian Exclusive show
ONE CIRCLE (IT)
TOXE (SE) Italian Debut Exclusive show

sabato 5 novembre
Lingotto Fiere – Padiglione 1
DJ SHADOW (US) Endtroducing….. 20th Anniversary / Italian Exclusive show
JON HOPKINS (UK) dj
JUNUN feat. SHYE BEN TZUR, JONNY GREENWOOD & THE RAJASTHAN
EXPRESS (INT) Italian debut
MOTOR CITY DRUM ENSEMBLE (DE)
CLAMS CASINO (US) Italian Debut Exclusive show
GHALI (IT)

Lingotto Fiere – Sala Gialla [RBMA Stage] DAPHNI (CA) Italian Exclusive show
JANUS: M.E.S.H. (US) / TOTAL FREEDOM (US) / KABLAM (SE) Italian Debut Showcase
JESSY LANZA (CA)
JOLLY MARE (IT)
JUNIOR BOYS (CA)
LAFAWNDAH (FR) Italian Debut Exclusive show

domenica 6 novembre
San Salvario – location varie (main stage Piazza Madama Cristina)
DANCE SALVARIO
Warp To Warp
San Salvario Emporium

da giovedì 3 a sabato 5 novembre
Hotel Ac Marriott Lingotto ABSOLUT SYMPOSIUM
POPULOUS (IT)

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Julia Kent @ ISAO Festival, Ex Cimitero San Pietro in Vincoli, Torino, 22/09/2016 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Giovedì 22 Settembre, nell’affascinante cornice dell’ex cimitero San Pietro in Vincoli di Torino, il festival Il Sacro Attraverso L’Ordinario ha ospitato la violoncellista canadese Julia Kent durante una notte dedicata allo scrittore Philip K. Dick

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La serata è stata aperta dallo spettacolo teatrale, liberamente ispirato all’opera di Dick, Sempre la Belva si Scatena per Paura, rappresentazione alla quale arrivando in leggero ritardo non ho potuto assistere vista la decisione di non far entrare a spettacolo iniziato. Il live della Kent, basato sul suo ultimo album Asperities, inizia puntualmente alle 22,30 e per un’ora avvolge e rapisce completamente i presenti.

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I piedi nudi di Julia selezionano da un pad accompagnamenti elettronici e field recording che vanno ad arricchire le sonorità introspettive costruite dal violoncello creando un’atmosfera evocativa dove non mancano momenti più aperti (su tutti “Tourbillon” dal precedente Character) capaci di farsi spazio tra l’affascinante inquietudine del set.

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Malinconie, sogni e tormenti penetrano e fuoriescono tra le crepe dei cuori che si frantumano e risanano in questo luogo assolutamente perfetto per questo evento, tanto da arrivare a regalare l’impressione che in questo spazio non possa che trovarsi questa musica. L’autunno al suo principio non poteva regalarci abbraccio più intenso.

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La Kent termina il suo spettacolo con “Flow My Tears” (brano di John Dowland molto amato da Philip Dick che, oltre a chiamare molto spesso Dowland i personaggi delle sue opere, usò lo pseudonimo Jack Dowland per alcune sue pubblicazioni) lasciando il palco tra gli applausi del pubblico con la delicatezza che la caratterizza.

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Upsilon Acrux + Io Monade Stanca @ Blah Blah, Torino, 20/09/16 [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Non succede tutti i giorni che il richiamo ad un live avvenga grazie ad un gruppo spalla  mentre gli headliner risultino dei perfetti sconosciuti (mea culpa), almeno fino ad un paio  di giorni prima dell’evento quando, come ogni tanto capita, ci si decide a dare un ascolto  ed informarsi un po’ sulla band in questione e si scopre, con grande piacere, che si tratta  di una gran bella formazione.
Questo è quanto avvenuto al sottoscritto per il live in questione che ha visto esibirsi sul  palco del Blah Blah di Torino, preceduti dagli Io Monade Stanca, i californiani Upsilon  Acrux.

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In apertura il Power Trio della provincia Granda, ormai una piccola istituzione in  Piemonte e non solo, ha dato il la alla serata con il suo sound spigoloso e dinamico che  ha come pilastro un Math Rock la cui regola fondamentale è quella di non avere regole. Centrando la loro esibizione sull’ultimo Three Angles (uscito ormai 4 anni fa) la chitarra  di Nicolas J. Roncea, il basso di Edoardo Baima e la batteria di Matteo Romano,  hanno ampiamente scaldato il pubblico accorso a gustarsi questa serata divertendolo  con alcuni siparietti tra un pezzo e l’altro.  Il suono dei 3 risulta più che mai compatto e (per quanto sempre ispirato a gruppi come  Don Caballero, Shellac, Melvins e via dicendo) sempre più personale; i ragazzi si  dimostrano ogni volta in crescita, anche nelle loro maniere patafisiche, e non si può che  sperare arrivi presto un nuovo disco.

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Dopo il breve cambio palco si giunge al momento della piacevole scoperta: gli Upsilon  Acrux.  Band esistente dal 1997 che negli anni ha condiviso il palco con artisti come Zs, Peter  Brötzmann, Nels Cline, Dillinger Escape Plan, Don Caballero, Boredoms, The  Flying Luttenbachers  e che dopo varie vicessitudini (della formazione originale è  rimasto solo il fondatore Paul Lai) è giunto oggi alla formazione a 5 vista sul palco  composta, oltre che da Paul Lai alla chitarra, dai due batteristi Mark Kimbrell e Dylan  Fujioka (attuale batterista di Chelsea Wolfe), da Patrick Shiroshi al piano Rhodes ed  al sax e da Noah Guevara alla seconda chitarra.
La band è giunta al suo settimo disco, Sun Square Dialect, uscito lo scorso anno e  suonato interamente durante la serata insieme ad un paio di ripescaggi da dischi più  datati.

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Il loro live è incendiario, e non solo grazie alla goduriosa doppia batteria (usata a partire  dal 2004), infatti gli Upsilon Acrux uniscono a grandi doti tecniche un ottimo gusto melodico andando a creare intrecci che sono geometriche alchimie dall’impalcatura  Avant-Prog capaci di spingersi con classe e veemenza in territori Math Rock, Noise e  Free-Jazz.
È sempre presente una certa tensione ed allo stesso modo non manca mai l’armonia,  per quanto molto spesso si tratti di un’armonia brutale; tutto questo crea uno spettacolo  vibrante dalla prima all’ultima nota (nel brano conclusivo dell’esibizione si accenna  persino ai Kraftwerk) grazie ad una band che dal vivo va ben oltre la conferma della  piacevole scoperta che avevo avuto ascoltando il loro ultimo lavoro.
Trattasi dunque di una formazione che, se come me non conoscevate, consiglio di  andare a scoprire (il reale intento di questo photo report  dalle foto di livello più che mai  amatoriale vorrebbe in realtà essere questo) di modo che non ve li lasciate scappare il  loro prossimo eventuale passaggio in Italia dopo questa data unica alla quale ho avuto la  fortuna di assistere.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #23.09.2016

Written by Playlist

Todays Festival | Torino 26-27-28/08/2016

Written by Live Report

E così l’autunno è arrivato, ed il TOdays festival è stato ancora un’ottima occasione per salutare l’estate in maniera degna. Il festival torinese che, tra le tante cose, mira anche a valorizzare la periferia di una città ormai sempre più ricca di architetture post-industriali soggette ad opere di riqualificazione, si è svolto in ampia parte, come l’anno scorso, in uno dei centri nevralgici della musica torinese: Lo Spazio 211. Altra sede riconfermata è quella del Museo Ettore Fico, che ha ospitato le esibizioni al chiuso di Calcutta (con coro Gospel a seguito) e AtomTM Robin Fox in Double Vision, eventi gratuiti e a numero chiuso, in teoria accessibili a tutti coloro in grado di ritirare un biglietto in sede, nella pratica inaccessibili (causa sold out) a chi si è goduto il finale del live allo Spazio 211. Tra le nuove entrate, parlando di location, vi è l’ Ex Fabbrica Incet, edificio appartenente al patrimonio architettonico industriale ormai in disuso e riconsegnato alla popolazione quale sede di eventi all’aperto, comoda per i suoi ampi spazi e generosa per la sua acustica. E ancora il Parco Aurelio Peccei, che ha ospitato in anteprima, nella giornata di domenica 28 agosto, uno degli spettacoli più emozionanti di tutto il festival: Viaggio al Termine della Notte di Elio Germano e Teho Teardo, liberamente tratto dal capolavoro di Louis Ferdinand Céline. Spettacolo intenso, nelle musiche e nei testi (rivisitati e completamente inediti), ricco di momenti di riflessione e di introspezione, aspetti purtroppo vanificati dal forte caldo (probabilmente la causa che ha fatto slittare l’orario di inizio dalle 16.00 alle 17.00, con immensa gioia per i puntuali) e dal luogo non proprio adatto al tipo di spettacolo, (non a quell’ora, almeno), anche se le urla di sottofondo dei bambini dediti ai giochi pomeridiani sono almeno sintomo di un quartiere vivo!

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Si comincia puntuali, quasi sempre (qualche ritardo nell’ultimo giorno) e la scaletta fortunatamente non prevede sovrapposizioni. Lo schema è lo stesso per le tre giornate: aprono le band del posto per poi passare ad altre realtà nazionali ed internazionali.

La prima giornata si apre con i suoni de il Pugile seguiti dall’elettronica dei Niagara, freschi di pubblicazione della loro ultima fatica, Hyperocean, e da Iosonouncane, ancora impegnato nella promozione di Die, uno dei dischi più belli del 2015 ma che purtroppo (ormai dopo 4 ascolti dal vivo posso dirlo) perde tantissimo nella bellezza del suono in versione live, ed è destinato a spezzarmi il cuore ogni volta. A chiudere la serie di concerti allo Spazio 211 ci pensa il Dream Pop degli degli M83.

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Dopo il set di Calcutta al Museo Ettore Fico il festival si sposta all’Incet, dove ad attenderci ci sarà John Carpenter  preceduto dalla chitarra di Paolo Spaccamonti  accompagnato da Gup Alcaro (live electronics) del collettivo Superbudda, scelta a mio avviso riuscitissima, perché le cupe atmosfere e le distorsioni che la chitarra di Spaccamonti è riuscita a creare sono state il preambolo perfetto per poter entrare col cuore pronto nella musica visionaria di The Master of Horror. È incredibile pensare che John Carpenter abbia davvero quasi settant’ anni, la sua presenza scenica sul palco è enorme. Le colonne sonore dei suoi capolavori (tra i tanti: “Fuga da New York”, “Essi Vivono” e “Halloween”), rigorosamente accompagnate da video e dal conseguente boato del pubblico, si alternano ai pezzi appartenenti alla sua “nuova carriera” di musicista, sfociata nella pubblicazione prima dell’album Lost Themes e poi, nel 2016, di Lost  Themes II. Si chiude così, col botto, questa prima giornata, e non meno carichi si passa alla seconda.

Il 27 agosto si comincia con i con i portentosi Stearica e con i pezzi tratti dal loro ultimo album, Fertile, che ho ascoltato diverse volte e che nella sua versione live raggiungono vette di potenza egemonica notevoli, arricchendosi di sfumature, dettagli, suoni, che lo rendono diverso di volta in volta, a dimostrazione che le loro esibizioni live sono qualcosa di prezioso e notevole.

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A loro seguono i romani Giuda, acclamatissimi dal pubblico ma non di certo quanto Francesco Motta, in arte semplicemente Motta, protagonista indiscusso dei festival estivi italiani (insieme a Calcutta ed a I Cani, ovviamente). Sebbene l’ascolto de La Fine dei Vent’Anni mi abbia fatto pensare a sonorità più vicine al Pop nostrano, dal vivo la sua esibizione diventa decisamente più graffiante e godibile alla mie orecchie. Una nota di disappunto la provo quando rifletto sul fatto che sia proprio lui ad esibirsi prima degli headliner (la stessa sensazione che avrò per I Cani che si esibiranno prima dei Soulwax). In un festival di questo calibro mi sarebbe piaciuto qualche colpo di scena in più (vedi Spaccamonti che si esibisce prima di Carpenter), che venisse data ad altri artisti nostrani, probabilmente meno pubblicizzati in questo periodo ma sicuramente non meno validi, la possibilità di potersi esibire in presenza di un pubblico più corposo. La scelta dei sopra citati (Motta, I Cani), sarà pure stata strategica, ma di certo non può definirsi originale.
The Jesus and Mary Chain salgono sul palco e come spesso capita con i grandi nomi dei veterani della musica, l’attesa si carica di curiosità e aspettative che nella maggior parte dei casi si riveleranno esagerati. In questo caso ci siamo trovati davanti un live godibile, ma con moderazione, senza picchi di esaltazione.

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Saltando AtomTM Robin Fox  causa sold out, ci spostiamo direttamente all’Incet per l’esibizione de I Cani e a seguire dei Soulwax, autori di uno spettacolo che difficilmente mi toglierò dalla testa. In tutto sul palco sono in sette. Tra loro, tre batterie, una delle quali suonata da Igor Cavalera dei Sepultura. Il colore predominante è il bianco ghiaccio. Il suono è un misto di elettronica e percussioni primitive. Il risultato è uno spettacolo di suoni e luci al quale l’intera Incet non può fare altro che piegarsi e cominciare a muoversi, senza sosta. E finisce così il secondo giorno.

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La terza giornata vede il pubblico un po’ stanco, e lo si intuisce dal numero di coperte sul prato in notevole aumento. C’è però chi ha ancora un po’ di energia  per farsi trasportare dal sound eclettico di Victor Kwality, e chi anche sotto il sole ancora cocente delle sette di sera non rinuncia a guadagnarsi le prime file per godersi  The Brian Jonestown Massacre, che hanno sostenuto uno spettacolo di altissimo livello, anche se ha perso un po’ di fascino a causa dell’orario.

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Abbandonate le atmosfere più cupe ci si sposta ad atmosfere più Indie e “danzerecce” prima con i Local Natives, e successivamente con i Crystal Fighters, autori di Electro-Folk che li ha portati ad addobbare il palco in modo tale da trasformarlo in una giungla. La chiusura è in bellezza con i Goat, e anche se ci si arriva un po’ stanchi e stremati, nulla può contro i loro ritmi viscerali ed il loro suono sinuoso. Finisce così il TOdays 2016, tra questi suoni e luci che sprigionano un calore che speriamo ci accompagni a lungo, almeno fino alla prossima estate.

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Il TOdays vince anche quest’anno. L’offerta musicale è stata enorme e di certo questo festival, ancora molto giovane, già compete in popolarità con altri eventi (nostrani e non) di fama internazionale. I presupposti ci sono e la strada su cui ci si è incamminati è quella giusta, i progressi si sono visti. Manca ancora però un ultimo slancio finale verso l’alto, per alcuni motivi che ho citato sopra. Auguro al TOdays di arrivare ad avere gambe fortissime, di prendere la giusta rincorsa e di spiccare, infine, il volo.

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Xiu Xiu a Torino suonano la colonna sonora di Twin Peaks

Written by Eventi

Il collettivo Superbudda di Torino e Kadmonia, in collaborazione con Museo Nazionale del Cinema di Torino, O.F.F. Studio – Torino Booking+MGMT presentano: Xiu Xiu plays the music of Twin Peaks

L’evento (unica data italiana) si terrà il 10 dicembre 2016 presso il Cinema Massimo (Sala 1, via Giuseppe Verdi 18, Torino). Evento imperdibile!

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Guardare in lontananza oltre il “piattume” della normalità || Intervista a Lo Straniero

Written by Interviste

I Festival, oltre ad offrire la possibilità di ascoltare tanta buona musica, sono anche un’ottima occasione per incontrare e conoscere band e musicisti. A Chiaverano, durante A Night Like This Festival, abbiamo fatto due chiacchiere con Lo Straniero, band Electro Pop piemontese, che ha da poco pubblicato il suo disco d’esordio omonimo.

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A Night Like This Festival @ Chiaverano (TO) 15-16-17/07/2016

Written by Live Report

Quando si torna a casa dopo un festival di tre giorni, la sensazione è sempre quella di aver mangiato troppo. E così è stato anche al ritorno da Chiaverano. Ho seguito 22 concerti in una location mozzafiato, in compagnia di gente splendida, nutrita da ottimo cibo, alla presenza di un cielo che il Piemonte non è solito regalare così facilmente! Il senso di appagamento che mi ha dato A Night Like This Festival è stato tanto anche se, musicalmente parlando, non ho mai raggiunto un’apice di piacere durante nessuna delle esibizioni. Ho confermato alcune ipotesi, rafforzato delle certezze, confutato vecchie teorie, fatto qualche bella scoperta e provato anche disappunto e turbamento. Di seguito riporterò alcuni degli stati d’animo che ho vissuto durante le esibizioni live. Mi concentrerò sulle band che mi hanno maggiormente colpito, nel bene e nel male. Qualche gruppo purtroppo non sono riuscita a seguirlo, vuoi a causa di qualche sovrapposizione, vuoi per la necessità di espletare le mie funzioni vitali. Non me ne vogliate, sono umana anch’io. Dovranno perdonarmi anche tutte le band che si sono esibite sul “Palco dell’Esploratore”. L’acustica era pessima, e a causa di ciò non me la sento di esprimere pareri su qualcuno di voi. Prometto di venirvi a cercare, per ascoltarvi ancora.

“LE CERTEZZE DELLA VITA
WE ARE WAVES | di certo non hanno bisogno di presentazioni qui su Rockambula. Fabio Viax Viassone come al solito non si è risparmiato sul palco, e Cesare Corso, nascosto come sempre dietro un cappuccio, ha creato la magica atmosfera synth che tanto amiamo. Redoglia e Menegatti, batteria e basso, non da meno degli altri due, per regalarci un’esibizione carica di energia.

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♦BE FOREST | è un’immersione nella quiete notturna di un bosco, la loro esibizione. Qualcuno tra il pubblico ha il coraggio di gridare“siete mosci”, forse perché la loro esibizione arriva subito dopo quella, decisamente più energica, dei The Temper Trap. Ma che cavolo dici? Sono i Be Forest! Che t’aspettavi? Un attacco con le maracas e poi subito dopo “Maracaibo” cantata dal vivo? Ok, mi ricompongo. I Be Forest sono un po’ agitati per via di qualche discussione con i fonici. Poi tutto passa, ed è magia.

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“UN’ILLUMINAZIONE DIVINA”
♦LUMINAL | fino ad oggi, alla fine di un concerto dei Luminal, mi facevo sempre la solita domanda: ma perché hanno bisogno di fare tutte quelle scene, non possono suonare e basta? Già. Perché chi è stato ad un concerto dei Luminal sa bene in che modo viene coinvolto il pubblico, un modo che va ben oltre l’attitudine Punk di scendere da un palco e cercare un forte contatto col pubblico. Carlo Martinelli  ti si appiccica addosso dopo aver strisciato a terra come un verme, e Alessandra Perna improvvisa Valzer con ignare (?) pulzelle. Finalmente ho una risposta a tutto questo: i Luminal prendono per il culo, dall’inizio alla fine, le nostre vite piatte e insignificanti. E ho dovuto assistere ad una loro esibizione davanti ad un pubblico probabilmente assiduo ascoltatore delle canzuncelle “Indie” nostrane per capirlo. I Luminal ci dicono di fare qualsiasi cosa pur di movimentare le nostre vite, anche prenderci una malattia venerea, piuttosto. Per qualcuno dei presenti la loro esibizione è forse una delle maggiori emozioni musicali che hanno vissuto in tutta la loro vita. Per altri è un ritorno al Punk che ascoltavano durante l’adolescenza, declassato e messo da parte chissà quando, chissà perché. Per altri sono la feccia alla quale non assomiglieranno mai. Un esempio? La ragazza che mi sta accanto, e che in faccia ha una maschera a forma delle facce di tutte le donne citate in “Donne (Du  Du Du)” guarda schifata Alessandra e dice Ma come cazzo si è vestita?. Chissà da quanto tempo non si schifava così. Che momento di pura umanità. Quanta bellezza.

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LE PIACEVOLI SCOPERTE
♦BIRTHH | si, Birthh l’ho scoperta a Chiaverano. Prima dalle parole di un’addetta ai lavori del settore Radio, poi dal vivo. Questa donna, di corporatura minuta, conserva dentro di sé un enorme patrimonio emotivo che ben riesce ad esprimere e a trasmettere sul palco. Non ero pronta, in quel momento ho raccolto il maggior numero di percezioni e me le sono tenute strette. Born in the Woods me lo sono gustato a casa, per bene. È stato bellissimo.

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♦BONETTI | intuisco che Bonetti è di Torino, o del Piemonte, o nessuno dei due, ma poco importa. Nella mia impegnativa attività di frequentatrice di concerti non mi era mai capitato di incontrarlo. Il suo è un Cantautorato Pop apparentemente semplice, che però riesce ad emergere dal coro per qualche strana alchimia. Mi tengo stretto questo suono, e studierò meglio il fenomeno. Ad A Night Like This Festival si è esibito accompagnato dai Van Halen.

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♦LO STRANIERO | a dire il vero avevo già ascoltato il loro disco omonimo e a Chiaverano abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere che presto leggerete su questi schermi. Piemontesi anche loro, si esibiscono con grinta, ma il loro suono è lontano da quello del disco, che tanto mi è piaciuto. Complice di sicuro l’acustica pessima de “Il Palco dell’Esploratore”, come dicevo sopra (ho ancora in mente l’esibizione dell’anno scorso di Iosonouncane, uno dei più bei dischi italiani torturato da un suono pessimo). Ed è un vero peccato. Spero di poterli riascoltare ancora, in condizioni più favorevoli, e che il loro Elettro-Pop emerga forte e vigoroso, come sono sicura che sia.

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PENSAVO FOSSE AMORE, E INVECE NO
♦THE TEMPER TRAP | lo ammetto, arrivo al concerto impreparata su di loro, ma di tanto in tanto mi piace farmi sorprendere dalla musica. Li avevo ascoltati molto ai tempi dell’immortale “Sweet Disposition”, dopo di che li ho persi di vista. Sono loro i veri headliner della serata, gli artisti di fama internazionale, mi aspetto scintille. La loro esibizione è stata di certo notevole, ma scintille a mio avviso non ce ne sono state.

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♦VERANO | Verano si esibisce venerdì sera, ma ci arrivo in ritardo, il montaggio della tenda ha richiesto più tempo del dovuto. Al “Palco del Quieto Vivere” c’è questa rossa indemoniata che brandisce una chitarra e ci dichiara guerra a colpi di suono. Ma la guerra per me dura pochissimo, il concerto finisce subito dopo. Non so niente di lei, mi prometto di tornare a casa e documentarmi, lo faccio. Scopro che Verano è il nuovo progetto di Anna Viganò de l’ Officina della Camomilla. Ascolto. E che fine ha fatto la guerra? Dov’è quella chitarra brandita con così tanto vigore? Decisamente meglio in versione live.

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Afterhours + Sorge @ Flowers Festival, Parco della Certosa Reale, Collegno (TO) 15/07/2016

Written by Live Report

Riuscire a vedere nella stessa sera e sullo stesso palco Manuel Agnelli ed Emidio Clementi è sempre una bella botta… emotiva.
È la terza volta che mi capita questa fortuna, dopo la notte al Traffic Free Festival del 2008 (che segnò la reunion dei meravigliosi Massimo Volume) e quella dello spettacolo “Agnelli Clementi”, se la memoria mi assiste – dunque è probabile mi sbagli – dell’anno successivo. A tradurre in realtà uno dei più classici proverbi nostrani ci ha pensato, la sera del 15 luglio scorso, il Flowers Festival, che ha ospitato il concerto degli Afterhours, freschi di pubblicazione del loro undicesimo lavoro in studio, Folfiri o Folfox, e di Sorge, il nuovo progetto di Clementi in compagnia di Marco Caldera, coproduttore dell’ultimo disco dei Massimo Volume, posto in apertura di serata.

Sono piuttosto curioso di ascoltare in sede live la nuova proposta di Clementi già saltata dalla programmazione di Hiroshima Mon Amour, per cause di forza maggiore, due volte negli ultimi mesi. Per far spazio alle due ore abbondanti di show degli Afterhours e finire negli orari stabiliti Mimì e Marco devono iniziare molto presto, così, quando con 2 amiche ci avviciniamo al Parco della Certosa, in lontananza si sentono le note della bellissima “Bar Destino” e probabilmente è già volato via un buon quarto d’ora di concerto. Una volta entrati ad accoglierci è l’opprimente atmosfera de “Il Cerchio” ed è subito ipnosi.
Pensavo (stupidamente) che la voce di Clementi potesse avere un qualche minimo segno di cedimento a causa del contemporaneo ed inedito uso della tastiera, invece niente, il magnetismo dello spoken di Mimì non cede una virgola di un incanto che l’elettronica di Caldera sposa perfettamente.

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Nonostante il ritardo ci si può ritenere piuttosto fortunati sarà infatti nella seconda parte dello spettacolo che arriveranno alcuni dei pezzi migliori dell’esordio del duo tra i quali spiccheranno “Accetto Tutto”, l’inconsueto fare Hip-Hop della mirabile “Noi Facciamo Ciò Che Siamo” e soprattutto l’ispiratissima “In Famiglia”, intima catarsi capace con i suoi beat ed i suoi versi magistrali di avvolgere e rapire completamente. Il duo chiuderà l’esibizione con un’inedita perla rimasta fuori da La Guerra di Domani. Mimì è sempre Mimì ed anche con questo nuovo progetto e con questa raccolta di canzoni, che come da lui dichiarato spaziano tra ciò che si è e ciò che la vita porta ad essere, non fa che confermarlo. La sua poetica ed il suo immaginario così legati e capaci di svilupparsi attraverso l’esistente e il concreto non danno scampo, ti entrano dentro, le sue parole ed il suo modo di declamarle sono tra le cose più belle che l’Italia, non solo musicale, abbia conosciuto negli ultimi 25 anni.

Qualche minuto di attesa per la preparazione del palco e sarà la volta degli Afterhours che per la prima volta in vent’anni mi coglieranno impreparato, ad oggi non ho dato che due ascolti al loro ultimo lavoro, la situazione però mi fan sperare riportandomi alla mente uno dei loro live ai quali resto in assoluto più legato, la differenza è che all’epoca impreparati lo eravamo tutti poiché con un breve tour che toccò anche Torino la band presentò Ballate per Piccole Iene qualche giorno prima dell’uscita ufficiale, come si usava fare negli anni 70.
In perfetto orario Manuel Agnelli fa il suo ingresso sul palco con la sua chitarra acustica sulle note fuori campo di “Ophryx” attaccando con l’opener del nuovo disco, la toccante e viscerale “Grande”, e viene raggiunto dal resto della band, che ne fa ulteriormente salire la tensione emotiva, a metà brano. La mia prima impressione è che ci siamo, ci siamo proprio “alla grande”. Arrivano poi in serie altri 3 brani del nuovo disco tra i quali i due singoli, la potentissima e distorta (ma a mio modo di vedere non così centrata) “Il Mio Popolo Si Fa” e l’instant classic “Non Voglio Ritrovare il Tuo Nome”.

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Da qui in avanti i brani di Folfiri o Folfox si alterneranno a buona parte dei classiconi pescati dalla lunga e importante discografia della band, insomma partirà quel terapeutico rito di liberazione collettivo e personalissimo che è parte integrante di ogni concerto degli Afterhours. Avremo così modo di ascoltare e cantare (in alcuni casi urlare), tra le tante, l’immortale “Male di Miele” (sempre una gran botta d’energia), o quei brani che sono un affondo di coltello, ora brutale ora lento e passionale, nella carne più sensibile (“La Vedova Bianca”, “Il Sangue di Giuda”, “La Sottile Linea Bianca”, “Varanasi Baby”). Verrò colpito da una “Padania” mai così bella, e dalla doppietta “Bungee Jumping” / ”Costruire per Distruggere”, pezzi che vedranno crescere la loro componente Noise, nel caso della seconda, con Iriondo e D’Erasmo ai fiati (quest’ultimo anche al classico violino), Jazz Noise, che darà ai brani una vitalità nuova pur senza stravolgerli, tutto molto bello, tutto eseguito meravigliosamente. Chapeau.

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In questo frangente i brani pescati dal nuovo disco che più mi appagheranno saranno la ballata per piano con accenni di violino “L’Odore Della Giacca Di Mio Padre”, il Rock macchiato di Blues e Americana di “Né Pani Né Pesci” e la bella coralità perfettamente incastrata tra Pop e Rock di “Se Io Fossi il Giudice” con la quale si chiuderà la parte di set che precede i bis.
Al primo rientro la band proporrà “Le Verità Che Ricordavo”, tipo quella di un Agnelli circense pazzo che rotea con foga il microfono, cosa che non gli vedevo fare da un po’ e che, sarò stupido, a me fa sempre un gran piacere vedergli fare, seguita da “Riprendere Berlino” (non c’è niente da fare, de I Milanesi Ammazzano il Sabato non ho nulla nel cuore), dalla graditissima sorpresa di “Strategie” che live mancava da qualche tempo, fino a giungere a “Pop (Una Canzone Pop)” eseguita in acustico dal solo Manuel ed alla sempreverde “Non è Per Sempre”. Secondo encore: “Quello che non c’è”, sempre gustosissima anche se tagliata del finale strumentale, ed a concludere un brano introdotto dal ricordo di Manuel di un viaggio in India risalente a 15 anni fa in compagnia di quell’Emidio Clementi che lo aveva da poco preceduto sul palco, un viaggio che ha marcato a fuoco un’amicizia e che ha partorito gioielli come questa conclusiva, e stasera veramente monumentale, “Bye Bye Bombay”.

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L’impressione che il nuovo Folfiri o Folfox mi lascia suonato dal vivo è che si tratti di un disco che rimarrà, magari non come i dischi migliori della band, che non vi sto ad elencare tanto lo sappiamo tutti quali sono, ma rimarrà, sicuramente più degli ultimi due lavori, e nei live che verranno negli anni a seguire alcuni brani di questo lavoro li aspetteremo e gli Afterhours, nel limite del possibile e se ancora esisteranno, ce li daranno. La nuova formazione che osservo dal vivo per la prima volta (la febbre mi lasciò a casa durante il loro primo tour nei teatri dello scorso anno) è veramente tosta, sicuramente per i fans di lunga data non vedere sul palco in particolar modo un certo Giorgio Prette può dare un certo effetto, ma mettendo da parte il cuore ed ascoltando, credo si possa affermare che oggi si abbiano di fronte quelli che probabilmente sono i migliori Afterhours di sempre, per lo meno in ottica live. Probabilmente i Nostri un disco capolavoro non lo incideranno più (mai dire mai, ok), ma se consideriamo che il gruppo è in piazza da trent’anni e solitamente ne bastano molti ma molti meno per esser bolliti (cosa che questi Afterhours non sono nemmeno lontanamente) possiamo sfregarci le mani per quello che ancora oggi questi ragazzacci si dimostrano capaci di sfornare. Ma appunto, l’ottica live, stasera ho visto gli After più maturi di sempre, a tratti perfetti, ma che la parola non vi faccia pensare ai King Crimson, perfetti come una rockband viscerale con la loro esperienza deve essere, l’attitudine non è cambiata ma tutto suona meglio, come se ci fossero una consapevolezza e probabilmente anche una concentrazione maggiori in tutti i suoi componenti. Forse questa sofferenza (l’ultimo disco, come ormai tutti sapranno, nasce dal dolore della perdita per cancro del padre da parte di Manuel, sfociando in vita) ha regalato alla band coscienza, anche quella di essere dei 40/50enni, per quanto ancora capacissimi di fare il culo a chi ha la metà dei loro anni, senza però più bisogno ad esempio di dover sfanculare il fonico durante i primi pezzi dell’esibizione o di robette simili molto Rock, ma in fin dei conti solo sulla carta (attenzione, quel roteare il microfono di cui parlavo sopra è sotto il mio punto di vista un segno distintivo, dunque cosa assai diversa) e, mi ripeterò fino alla nausea, senza perdere nulla in impatto, anzi.

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Poi magari il prossimo disco degli Afterhours virerà verso qualcosa di più leggero, giovanile e alla moda, poi magari su quel disco non suoneranno gli stessi musicisti che hanno suonato sull’ultimo e che stasera ci hanno regalato questo gran bel concerto, poi magari il prossimo disco degli Afterhours nemmeno esisterà.
La verità in fondo é che con un tipino come Manuel non si sa mai, ed è anche per questo che gli voglio un gran bene e non lo giudico, tanto mal che vada, domani, saremo liberi di non piacerci più.

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Anohni @ Flowers Festival, Parco della Certosa Reale, Collegno (TO) 12/05/2016

Written by Live Report

Il Flowers Festival, giunto alla sua seconda edizione, ospita quest’anno, nella cornice del Parco della Certosa Reale di Collegno, un paio di appuntamenti molto importanti, tra questi uno dei più attesi è sicuramente quello con Anohni. La transgender ha da poco pubblicato Hopelessness, disco dove a supportare la sua splendida voce troviamo i suoni creati da Daniel Lopatin (Oneohtrix Point Never) e Ross Birchard (Hudson Mohawke), coproduttori del disco.
Un nuovo nome dunque, che l’artista usa da tempo in privato per mettere in risalto il suo lato femminile, ed nuova partenza, a sei anni dall’ultimo lavoro firmato Antony And The Johnsons, con un disco urgente, dai forti messaggi politici e dalle parole apparentemente semplici, più collettive che individuali, eppure intime, profondamente coscienti, estremamente dolorose e universali.

Il numero dei presenti accorsi alla Certosa Reale è piuttosto significativo ma lontano dal sold out che credevo di trovare nonostante questa sia l’unica data italiana per godere di Anohni. Perchè si tratta di una musicista importante che, oltre che questo buon esordio con la sua nuova identità musicale, già in passato ha regalato signori dischi, perchè i due musicisti che la accompagnano fanno parte dei nomi indubbiamente di rilievo della musica elettronica contemporanea, perchè credo che in qualunque altro paese con una cultura musicale quantomeno discreta una data unica di questo trio in uno spazio come questo avrebbe fatto il tutto esaurito, probabilmente già da giorni prima dell’evento. Credo che in Italia in futuro dovremo accontentarci, ben più di quanto già non si faccia oggi (quanti artisti girano intorno al nostro paese senza mettervi piede?) se queste sono le risposte che i promoter hanno dall’organizzare un evento come quello di stasera, ma tant’è… Perdonatemi la divagazione e torniamo alla musica suonata.

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Il live inizia, puntualissimo, alle 22,15 quando un rumor bianco avvolge la Certosa. Bisogna però attendere ancora parecchio prima di sentire la voce di Anohni, infatti dopo 5 minuti abbondanti di questo suono, mentre nulla accade sul palco, ecco che per altri 15 (veramente troppi) lo sentiremo andare avanti con piccole modulazioni accompagnato dalle immagini del maxi schermo situato a centro palco di una Naomi Campbell, a tratti ammiccante, che si muove all’interno di un garage nell’abito succinto col quale appare nel video di “Drone Bomb Me”. Dopo questi 20 lunghissimi minuti, quando ormai buona parte del pubblico ha perso la speranza (e la pazienza) ecco partire giustappunto “Hopelessness”. Anohni non è ancora visibile ma finalmente la sua presenza si sente, mentre ai lati del palco Lopatin e Birchard sono già alle loro postazioni e lo schermo che proiettava la Campbell lascia spazio ad un volto di donna dallo sguardo intenso ma sfinito, il viso truccato di bianco, quasi come arrivasse dall’aldilà, mentre nella zona degli occhi sino a scendere su alcune zone delle gote il colore è un rosso piuttosto marcato, come a farci immagnare delle tumefazioni o delle lacrime di sangue sul suo viso; sembrerà quasi sia lei ad intonarci il pezzo, muovendo le labbra proprio come le muoverebbe Anohni se potessimo vederla. Sulla successiva e bellissima “4 Degrees” (pezzo presentato al Primavera Sound 2015 coi Johnsons) Anohni fa il suo ingresso sul palco, un mantello nero con cappuccio a coprire la testa e sul volto un velo dello stesso colore.

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Questa sera Anohni sarà solo una presenza fisica, la sua sublime voce sarà prestata alle donne che scorreranno sullo schermo, saranno loro a rappresentarla mimando le parole dei testi, frequentemente come a cantare insieme a lei, oltre che per loro stesse e per tutti i presenti, altre volte interpretandole coi loro occhi (spesso in lacrime) e le loro espressioni del viso. Saranno queste donne, artiste di varie etnie ed età, insieme alla voce di Anohni le protagoniste della serata. Il martellamento denso ed epico di “4 Degress” scalda l’atmosfera (ma in casi come questo non credo la Terra ne risenta, anzi) e si inizia a vedere anche qualcuno che in qualche modo balla.
Dal riscaldamento globale si passa alla sorveglianza globale con la bellissima “Watch Me” dove Anohni muove eloquentemente le braccia, allargandole e portandole al cielo, come ad attirare ancor più l’attenzione di questo Daddy, sorta di grande fratello, con la consapevolezza di chi sa di essere controllata. Tra due brani inediti (molto bello “Paradise”, il primo dei due, dove Anohni sfoggia tutta la sua capacità vocale su un tappeto elettrico ora soffuso ora scosso a intermittenza senza mai risultare invasivo) trova posto “Execution”, brano sulla pena di morte dove la voce e soprattutto il gioco di synth caldi e ballabili contrastano fortemente con l’argomento toccato.
Su “I Don’t Love You Anymore”, forse il brano più puramente Pop, nonché più personale del disco e dunque del concerto, sullo schermo sarà Anohni stessa ad essere proiettata, ma solo una parte del viso, esclusa la bocca, a quella donna non c’è bisogno di dar voce, ne ha già una, bellissima, ed è lì sul palco a farcela ascoltare.

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Esattamente a metà concerto, nella stessa posizione che occupa nel disco arriva il funereo mantra “Obama”, per l’esecuzione di questo brano anche OPN e Hudson Mohawke, entrambi in felpa nera, copriranno la loro testa col cappuccio. Il brano live ha una resa ancora più incredibile, come se il suo fascino ipnotico e conturbante abbia la capacità di fermare tutto, a muoversi (e veramente molto se paragonata al resto del concerto) è invece Anohni che lo interpreta dando per buona parte della canzone le spalle al pubblico regalando ancor più l’idea di tradimento espressa nel pezzo. Altro momento straordinario arriva con l’intensa e struggente ballata “Why Did You Separate Me From the Earth?” che risulta ancor più bilanciata che su disco e dona l’ennesima grande prova vocale della Nostra ed un finale più Ritual-Trance.

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Segue un inedito che risulta essere tra i momenti più puramente elettronici del live ad anticipare la meravigliosa ed empatica autocritica di “Crisis”, probabilmente il brano dalla costruzione elettronica più varia, e senza dubbio magistralmente costruita, dell’intero set. Il live va a terminare con “Marrow”, forse il pezzo rimasto più fedele all’esecuzione su disco, per quanto nulla sia stato stravolto, seguito dalla splendida “Drone Bomb Me”, inizalmente legata ad un breve inedito (“In My Dreams”) che porta nuovamente sulla schermo il viso di Anohni (questa volta completo) durante la dolcissima parte strumentale, viso che scompare lasciando lo schermo nero nel momento in cui l’artista anglo-americana inizia ad intonare le parole del brano (semplicemente quelle che formano il titolo) inginocchiata a terra, come in preghiera. Ed ecco che sulla prima nota di “Drone Bomb Me” sullo schermo ritorna la Campbell, questa volta solo il suo viso, in lacrime, mentre il brano scorre via confermando tutta la sua grandezza.
Il mio sangue, il mio sangue, scegli me stanotte, su queste parole  Anohni lascia il palco e la modella lascia lo schermo facendo posto ad un’altra artista, un’anziana signora di colore capace di riassume perfettamente tutti gli argomenti trattati da Anohni stasera, un volto perfetto anche per rappresentare la natura, l’artista si dice preoccupata per quanto accade nel mondo e timorosa per come possa svilupparsi il futuro, mentre intorno la musica sfuma facendosi silenzio.
Un saluto accennato da parte di Lopatin e Birchard, il buio totale e poi le luci ad illuminare il Parco della Certosa Reale.

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Un live coraggioso, perfettamente in linea con il disco pubblicato. Non ci sono state parole se non quelle delle canzoni, non si sono visti effetti speciali su quello schermo a centro palco, nessun gioco di luce particolare, tutto è stato emotività ed intimità, al centro di tutto un’artista, questa sera senza volto, dalla voce seducente e penetrante,  dal vivo ancor più capace di mettersi (e mettere) a nudo, dando ancora più senso a quanto cantato. Il pubblico lascia la Certosa consapevole di aver assistito ad un concerto importante, significativo, e se ne va a casa, ognuno con la sua anima, un po’ più pesante, ma anche un po’ più pulita.
La speranza é ancora viva anche se per l’Italia la vedo male, ma fortunatamente, stando a quanto dice Anohni, siamo tutti americani (perdonatemi anche questa divagazione, collegata a quella di sopra).

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Prosegue “Stile Balneare”, la rassegna estiva del Magazzino sul Po

Written by Eventi

Lo stile balneare di Torino è lungo il fiume. Quale miglior modo per godere dell’estate, non restare intrappolati in lunghe code, assaporare la brezza fluviale accompagnati da note incalzanti, pellicole mozzafiato, sapori nostrani… Tutto questo è STILE BALNEARE, la rassegna estiva del Magazzino sul Po: aperitivi, proiezioni per cinefili impegnati e radicali, jazz Manouche in stile Django Reinhardt, concerti di genere tra jam hip hop, pizzica salentina, rock’n’roll e molto altro ancora.

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Ecco il programma per le prossime settimane, a partire da oggi.

martedì 12 luglio > il martedì come una volta feat. dj Lazza & Hanglovers
mercoledì 13 luglio > cineforum JAGTEN (Il Sospetto)
giovedì 14 luglio > aperitivo jazz manouche con Jazz Accident Trio
venerdì 15 luglio > Karaoke by Tigre Mostricci e dj Lazza
sabato 16 luglio > Da SbrotHertZ
domenica 17 luglio > Sloks (garage) + Riccardo Iconout & Giampo Coppo dj

martedì 19 luglio > il martedì come una volta feat. dj Lazza & Hanglovers
mercoledì 20 luglio > cineforum OLD BOY
giovedì 21 luglio > aperitivo jazz manouche con Jazz Accident Trio
sabato 23 luglio > Da SbrotHertZ
domenica 24 luglio > La Paranza del Geco presenta Simone Campa & Orchestra Suonatori

martedì 26 luglio > il martedì come una volta feat. dj Lazza & Hanglovers
mercoledì 27 luglio > cineforum PIETA
giovedì 28 luglio > aperitivo jazz manouche con Jazz Accident Trio
sabato 30 luglio > Da SbrotHertZ

orario > aperitivo dalle ore 18, inizio spettacoli alle ore 21.00
ingresso gratuito senza tessera ARCI in quanto l’evento rientra nel progetto “E…State ai Murazzi” patrocinato dalla Circoscrizione 1 di Torino.

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