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Trupa Trupa – ++
Devo ammettere di non essere mai stato troppo attento alla scena underground polacca eppure, proprio quest’anno, finisco per imbattermi in un paio di perle veramente niente male, considerando che, vado a memoria, prima di loro per me la musica polacca era, al massimo, le colonne sonore di Franz Waxman o le composizioni di Chopin. Poi, quasi per caso, mi capita di ascoltare prima il gioiello Drone degli Stara Rzeka, Cień Chmury Nad Ukrytym Polem, tra le migliori cose ascoltate nei mesi andati e poi questo più confacente e ordinario ++ dei Trupa Trupa. La prima cosa che ho notato è una sorta di bassa fedeltà volontaria per il corpo del sound e involontaria in alcuni passaggi, evidente nell’opera degli Stara Rzeka ma che si presenterà lampante anche nella chiusura della prima traccia di questo ++ quando il pezzo è troncato bruscamente e in malo modo. Certo, due indizi non fanno una prova ma mi viene il dubbio che nell’ex Polska Rzeczpospolita Ludowa l’attenzione alla forma sia meno maniacale che in altri lidi. Eppure non è certo questo quello che resta quando l’ascolto diventa reiterato, ossessivo, maniacale. Quello che emerge è una capacità di suonare moderni, attuali, quasi innovativi, senza scomodare troppo l’estro.
Il suono dei Trupa Trupa è tutt’altro che polacco, anzi pesca a piene mani dalla tradizione britannica più o meno datata, eppure mantiene intatta un’atmosfera cupa, cruda, che odora di Post-Punk post bellico, carico di rabbia e nero come una ribellione solo formalmente soffocata. Suona come la collera e la speranza di una Berlino divisa da un muro d’odio la traccia iniziale (“I Hate”) con le sue vibrazioni stile Joy Division, le sferzate elettriche, fredde come il vento nordico che soffia il nove novembre e invaso da schizofrenici passaggi irrealmente allegri. Concedendo all’album qualche attenzione in più di quanto siete abituati a fare potrete notare anche testi tutt’altro che banali, anche se spesso incentrati sul classico e (stra)abusato tema della morte mentre musicalmente, oltre che dagli anni 80, la band pesca a piene mani dalla psichedelia britannica, dal progressive, da Canterbury passando per il Krautrock teutonico, il Garage sixties e un’infinità di altre contaminazioni occidentali (“Felicy”, “Over”, “Sunny Day”, “Dei”, “Exist”) sfruttando le ritmiche ossessive per proporle in chiave danzereccia e travolgente (“Miracle”, “See You Again” che Arctic Monkeys e Babyshambles avrebbero volentieri preso in prestito per dare carica ai loro nuovi album).
Bellissimi anche i passaggi più eterei, Pop, armonici che talvolta somigliano a vere e proprie filastrocche e che mettono in mostra un lato apparentemente più nascosto dei quattro ragazzi, quello che si rivolge con più attenzione alla melodia e al sogno (“Here and Then”, “Home”). Qualche parola a parte merita “Influence”, traccia numero dieci e penultima della tracklist, talmente straordinaria da meritare nessuna parola e un silenzio ossequioso. Le voci (nell’album sono di Kwiatkowski, Juchniewicz e Wojczal mentre Pawluczuk si limita alle sole percussioni) diventano protagoniste di una lugubre poesia malinconica, e gli strumenti, compreso il sax di Witkowski che suonerà anche in “Dei”, disegnano solo un sottile paesaggio sullo sfondo, creando un’atmosfera inquietante ma allo stesso tempo pregna di sogno.
Un disco che meriterebbe più attenzione di quella poca che probabilmente avrà in un occidente incapace di scoprire, stupirsi, innamorarsi. Un album che spero possa non passare inosservato almeno a chi mi sta leggendo proprio ora perché se è vero che il popolo d’internet ha più strumenti a disposizione dei morti viventi seduti davanti alla tv per scegliere la propria musica, è anche vero che non sempre è capace di cogliere il meglio da una proposta tanto ampia.