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Nebelung – Palingenesis
Inutile contestare che ci siano forti legami, anche solo iconografici, tra l’ideologia nazifascista e la musica Neo Folk; cosa manifesta. anche se ricca di robuste contraddizioni nei capiscuola Death in June ma che si smaschera, secondo le più disparate fattezze, in ognuna delle tante formazioni che setacciano il genere. Non sempre si tratta di un’affinità di stampo politico e neanche è ineluttabilmente da connettere alle amenità razziste o violente e dittatoriali ma, nella gran parte dei casi, musica, stile ed estetica si uniscono a un’iconografia tipicamente nordeuropea, fatta di rune, religioni naturali, spiritualismo, decadenza e rinascita dell’Occidente, paganesimo, naturismo. Non a caso la musica ordinariamente detta Neo Folk o Dark Folk impiega ritmiche marziali e melodie che rievocano le atmosfere lugubri di città devastate dalla guerra. Composizioni che hanno il sapore di decenni mai vissuti da noi giovani eppure ben scolpiti nella memoria. Non a caso, evidentemente, i tedeschi Nebelung scelgono il vocabolo greco Palingenesis per dare titolo al loro nuovo full length. Palingenesi come rinnovamento, rinascita, rigenerazione ma non a caso è la stessa locuzione che Roger Griffin, nel suo libro The Nature of Fascism, utilizza per indicare un elemento centrale delle ideologie fasciste, descritto come “il nucleo mitico dell’ideologia fascista.
Nulla è per caso eppure non ci sogneremmo mai di accostare con fare denigratorio o accusatorio la musica dei Nebelung alla più devastante e mortalmente adescatrice dottrina mai concepita da essere umano. La proposta del duo teutonico è prettamente strumentale e quindi non vi è alcun testo e nessun proclama che inneggi in maniera palese a teorie di stampo nazifascista. Non ci sono ritmiche e suoni di chiara matrice marziale che possano in qualche modo ricondurre a temi di natura bellica. Si tratta solo di sei piccole gemme Neo Folk, tutte basate su una strumentazione orchestrale disparata ma essenziale, su melodie semplici, se volete anche ossessive e ripetitive ma dallo straordinario impatto emotivo. Mantra diluiti e dilatati che scavano nell’animo umano, attraverso suoni densi ma puri, realizzati grazie a chitarre, cello, accordion, arpa, percussioni, voci spettrali e tanto altro.
Folk Rock di stampo nordeuropeo che non disdegna momenti di pura ostentazione No Wave e Gothic (“Mittwinter”) e nello stesso tempo riesce a svilupparsi anche attraverso le strade del più lancinante Post Rock (“Wandlung”). Un disco che mira dritto alla parte ancestrale dell’animo umano, scava nella sua memoria, nel suo essere, attraverso l’evocazione di atmosfere eteree ma inquietanti, rilassanti eppure struggenti. Un piccolo gioiello Dark Folk che non raggiunge le vette stilistiche di Tenhi o Vàli, di Ulver o Forseti ma che può piazzarsi nella lista delle uscite più interessanti del genere, con la speranza che, magari, anche i non fanatici neofolker possano accorgersi di Palingenesis cosi come di tutti quei piccoli capolavori d’occidente. Non è un caso che Palingenesis sia un buonissimo disco.
Ventura – Ultima Necat
Vengono da Losanna, Svizzera, questi tre reduci degli anni novanta nati nel 2003, che sembrano aver triturato e centrifugato una decade di Superchunk e Grunge, di Failure e Alt Rock, di Shellac e Nirvana prima di aver iniziato a vomitare la loro arte sulle nostre orecchie. Dopo diversi split pubblicano il loro primo album Pa Capona nel 2006 e il secondo (finalmente per l’Africantape) We Recruit nel 2010, anno in cui collaborano anche a un singolo per la stessa etichetta con David Yow (Jesus Lizard).
Nonostante la matrice Alternative Rock sia forte, evidente e sia un chiaro punto di forza dell’album, non mancano passaggi che sembrano invece richiamare addirittura al Black Metal. Già l’introduzione di “About to Dispair” sembra presagire paesaggi più variegati rispetto a un semplice revival di fine millennio. Le note gravi e poderose e le pause di quei secondi iniziali sembrano estrapolati da un’inesistente opera Atmospheric Black Metal degli Ulver più che dal terzo disco di una band svizzera che suona nel 2013 col mito di Cobain e soci nella testa. Black Metal che ritroveremo, in sfumature non facili da cogliere, anche in diversi passaggi successivi (“Intruder”, “Very Elephant Man”.)
Ovviamente non si pensi a un disco pieno delle più disparate e inaspettate influenze. O meglio, pieno delle più disparate e inaspettate sonorità. Cosi come nei lavori precedenti anche qui gli anni delle camicie a quadrettoni sono la parte preminente, evidenziata in quasi tutti i brani, sia più lenti, meditativi ed eterei (“Little Wolf”, “Amputee”, “Exquisite & Subtle”) sia più veloci, carichi e pieni di vita (“Nothing Else Mattered”, “Corinne”).
Assolutamente eccelsa la potenza Post Hardcore e la vocalità Art Rock quando espresse in tutta la loro completezza (“Body Language”, “Amputee”).
Nonostante la ricchezza di spigolature, le chitarre distorte e taglienti , il sound dei Ventura, anche grazie alla voce pulita di Philippe Henchoz e alle ritmiche puntuali e mai ridondanti di Michael Bedelek (batteria) e Diego Gohring (basso) fa della melodia un altro elemento che contraddistingue Ultima Necat. Basti pensare a un pezzo come “Very Elephant Man” che nella prima parte sembra un tripudio di esasperazioni soniche, con ritmiche sfalsate, voce quasi sovrastata dagli eccessi noise delle chitarre. Basta ascoltare come quello stesso pezzo riesce a trasformarsi nella seconda sezione diventando una goduria per le orecchie, sciogliendosi in una musicalità vellutata dettata sia dal ripetersi delle parole sia dalla semplicità delle sei corde che esplodono come in uno Shoegaze di stampo Alcest, una delle formazioni che più si avvicina ai Ventura. Stessa soavità leggiadra, stesse chitarre taglienti, stessa vicinanza con il Black Metal soprattutto nelle sue varianti Ambient e Shoegaze. L’unica differenza è che, se nei francesi questi fattori sono messi in bella mostra, i Ventura sembrano invece celare il tutto dietro quella nuvola anni novanta cui più volte ho fatto riferimento.
Già con l’opera prima degli Alcest, Souvenirs d’un Autre Monde c’erano state diverse controversie riguardo alla vicinanza della loro musica con il Black Metal; probabilmente allo stesso modo qualcuno potrebbe trovare azzardate le mie parole. Eppure ascoltate con attenzione queste nove tracce di Ultima Necat e forse vi convincerete di quello che dico.
Intanto l’ultima canzone è finita, ancora una volta. Omnes feriunt, ultima necat. L’ultima uccide, diceva Seneca (forse lui?!). Di certo non parlava di musica ma per non sbagliare faccio ripartire il disco e metto repeat, non voglio ascoltare ultimi brani oggi, meglio addormentarsi con la musica in testa.