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La playlist del lunedì #15.07.2019 Bon Iver, Yellow Days, Cosmetic…
… Kamasi Washington, Yawning Man, McKenzie, VeiveCura e tanti altri.
Continue ReadingSfera Ebbasta, Motta e tanti altri. Tutto pronto per il Terrasound
Inizia il conto alla rovescia per quello che si preannuncia come uno degli eventi più importanti dell’estate adriatica.
Nuovo video per i Clamidia: Spazi Pubblici per Scambisti
“Spazi Pubblici per Scambisti” è il nuovo video dei Clamidia, formazione sanmarinese-romagnola dedita ad un indie-rock d’autore intenso e fortemente letterario che ha pubblicato lo scorso novembre il secondo disco Al Mattino Torni Sempre Indietro (Cup of Tea), prodotto da Umberto Palazzo.
Il video è stato realizzato allo studio 15>19 di Rimini da Roberto Ballestracci che ha curato il soggetto, mentre la regia è di Alberto Romanotto e la fotografia di Andrea Valentini.
“Spazi pubblici per scambisti” mescola diverse suggestioni cinematografiche e ambientali, mettendo al centro il tema della solitudine, esposta in spazi vuoti, appena abbandonati, che con lo scorrere delle immagini s’intuiscono essere i luoghi (macchina in un parcheggio, discoteca, corridoio e stanza di un albergo) di una serata di scambismo.
A queste immagini si alternano i frame veloci di flashback che sono ricordi di ciò che è stato e dei suoi protagonisti. Esseri umani che, come nel porno amatoriale, non vengono mai mostrati in volto.
Nessuno è appagato, poiché cioè che sembrava affascinante al pensiero risulta ora desolante nella realtà di stanze vuote, là dove tutto è lucido e tagliente. Rimangono solo ricordi e immagini da voler al più presto dimenticare.
Clamidia – Al Mattino Torni Sempre Indietro [STREAMING]
Secondo lavoro per la band sanmarinese-romagnola prodotto da Umberto Palazzo. Rock d’autore, tensioni elettriche, liriche di grande intensità e tanta catarsi. “La croce si tiene ben stretta si allargano le braccia / a volte qualcuno è caduto / per il troppo peso”. Sono queste alcune delle prime parole del nuovo disco dei Clamidia intitolato Al Mattino Torni Sempre Indietro, lavoro originariamente pubblicato nel novembre 2014 ma mai veramente promosso e oggi riproposto da Macramè su etichetta Cup of Tea. Prodotta da Umberto Palazzo (Santo Niente), la seconda uscita della band di stanza fra San Marino e la Romagna arriva a cinque anni dal precedente La Prima Guerra Cinese dell’Oppio e si presenta nella sua forza e nella sua urgente nudità per quello che è: un disco di rock d’autore, elettricamente teso e gravido d’intensità letteraria, là dove a contare sono le vite cardiache delle persone che diventano canzoni, amplificatori a cui votarsi e parole da dire e urlare perché non si può fare altrimenti.
Addio alla Pirateria musicale. Forse. (Seconda Parte)
Ricordate Napster, prima piattaforma di download fatta chiudere nel 2000 dalle grandi case discografiche con un clamoroso processo simile a quello più recente a MegaUpload? In quel caso si è trattato di repressione da parte delle major, impaurite dal nuovo, confuse e senza controllo sul mercato. Negli anni di Napster iniziò lo sfacelo, una battaglia senza senso “all’illegalità” senza rendersi conto che, in fondo, la copia dei supporti c’è sempre stata. Poi vennero i social network, My Space e poi Facebook, che aprirono le danze soprattutto alla condivisione dei contenuti prodotti su altri siti. La rete divenne il principale strumento di diffusione delle proprie opere. L’industria musicale, in tutto questo, ha perso introiti per oltre 15 miliardi di euro (a fronte dei 25 mld registrati nel 1999, oggi solo 8 mld).
Ma la colpa è veramente del Download illegale? Dello Streaming gratuito? Secondo noi no!!! Dietro questo evidente bagno di sangue si nasconde l’inadeguatezza delle major; al cambiamento si è preferita la guerra. Guerra verso i loro stessi consumatori, cioè noi che amiamo la musica e per mancanza di soldi a volte la “duplichiamo”. In Italia, invece, da una parte c’è sempre stata l’incapacità della musica di diventare internazionale, dall’altra l’inadeguatezza verso le tecnologie e le nuove forme di comunicazione e marketing. Quello della musica è un indotto che, da Napster in poi, si è mosso senza una guida, senza una struttura. La grande industria non ha avuto la capacità di innovarsi, con nuovi supporti, duraturi nel tempo ad esempio o di alta qualità come ha fatto il cinema, e ha perso le redini del gioco e per questo oggi ci ritroviamo ad ascoltare brani in Streaming illudendoci che ci sia un ritorno del vinile. Adesso ci sono le macerie di quello che era e basterebbe la buona volontà per costruire un sistema nuovo da dove ripartire; forse mentre scrivo tutto questo, sta già accadendo. Vogliamo lasciare gli spazi disponibili ai nuovi magnati del sistema? Vogliamo accontentarci delle briciole di spotify?
In questa seconda parte riprendiamo il discorso affrontato qui riportando le interviste a Danilo Di Nicola (The Incredulous Eyes), Maurizio Schillaci (De Rapage), Umberto Palazzo (Santo Niente) e Marco Lavagno (Waste Pipes).
Danilo Di Nicola (The Incredulous Eyes)
Credo che per una band emergente sia quasi una risorsa. Molte fanno circolare la loro musica gratuitamente per farsi conoscere o la mettono in streaming pubblicizzandola sui social network. Non so se il discorso cambierebbe in caso di notorietà, credo dipenda molto dalla capacità del gruppo di trovare delle “alternative” al loro fare musica che non sia solo dipendere dalla vendita dei dischi, anche perché la prova del nove per una band per me rimane sempre il discorso dei concerti. Noi abbiamo fatto due dischi finora ma non abbiamo pensato minimamente alla possibilità di andarci in pari. Fare dischi è semplicemente un modo per fissare il momento musicale della band.
Maurizio Schillaci (De Rapage)
Io voto SCHEDA BIANCA. Chi ci perde è il disco come oggetto. L’artista ha solo qualche Rolex in meno. Nessuno vuole fare musica per avere uno stipendio da ragioniere, nemmeno chi sull’artista ci mangia. D’altronde se manco su Emule ti cagano, povero te. Soluzioni? Nessuna. Tamponi? Meno IVA sui dischi; riforma della SIAE; concerto gratis a chi compra il disco. La band più famosa del mondo non potrebbe mai chiudere Youtube o bloccare Emule. Non tutti sono “Metallica contro Napster”. La meteora in cerca di fama brucerà da cameriere nel forno di una pizzeria e amen.
Umberto Palazzo (Santo Niente)
Il download è un argomento di ieri. Lo streaming legale, nelle sue varie forme, lo ha superato. Non ha più senso riempire l’hard disc di giga e giga di mp3 quando buona parte della musica che si desidera si può ottenere con un click e organizzare per l’ascolto come meglio si desidera. Inoltre lo streaming ci segue sul telefono, come fosse un IPod e sull’autoradio anche via bluetooth. I vantaggi sono ovvi: non ci sono i tempi di attesa della ricerca e della disponibilità, non c’è l’usura dell’hard disc e quindi la vita del computer si allunga tantissimo, non ci sono problemi d’ingombro fisico, non si può perdere l’archivio. Se qualcosa non si trova, il player di Spotify legge anche i file locali, quindi va a sostituire iTunes al 100%. Il mondo è cambiato e la fruizione della musica pure. L’industria del disco è finita e non si può fare altro che prenderne atto. Non si tornerà indietro. E’ ovvio che i musicisti non guadagneranno più niente dai dischi, ma il vinile e il cd hanno regnato per meno di cinquant’anni, mentre la musica esiste da sempre. I musicisti faranno come hanno fatto per secoli, guadagneranno suonando. Non esisteranno più le rock star, le uniche star saranno solo quelle televisive. Sarà un lavoro con il quale si guadagnerà poco, tutto qua e il cambiamento è definitivo. Il mondo appartiene ai nativi digitali e basta vedere l’atteggiamento di un qualsiasi sedicenne nei confronti della musica per capire dove va il mondo. Rimpiangere i dischi è come rimpiangere il cilindro di cera di Edison: è solo una perdita di tempo. Il tempo speso bene è capire dove si va. Ovviamente rimane il mercato dei collezionisti, un mercato di nicchia, che può essere anche di parecchie migliaia di copie a disco, ma per quello basta la vendita e la produzione diretta. Il disco come prodotto di massa è finito per sempre e non credete agli articoli sul ritorno del vinile o altre scemenze: le vere cifre dicono tutt’altro.
Marco Lavagno (Waste Pipes)
Indubbiamente per una band come la nostra il download è un aspetto chiave della promozione. Una persona in più che scarica il nostro disco è potenzialmente una persona in più ad un nostro concerto, che (se è dotata della mia stessa filosofia) alla fine il cd magari lo compra pure. Non siamo i più indicati per parlare di “bilancio”, abbiamo tutti un altro lavoro e la nostra musica è e sempre sarà in promozione. In ogni caso i nostri spiccioli nel salvadanaio non ammontano con i dischi ma con i live nei barucci a somme di poche centinaia di euro. Se poi fossimo una band famosa o una meteora probabilmente non faremmo storie, rimarrebbe la nostra entità di live band. E ci basterebbe sentire il calore di migliaia di aliti addosso. O semplicemente gli occhi di ormai attempate ragazze ancora arrapate per i nostri vecchi e gloriosi successi.
Come avrete capito, c’è ancora tanta confusione in merito. Spesso non si riesce a distinguere il danno eventuale subito dalle major (che dovrebbero comunque capire che un ventenne che scarica 100 dischi, senza download non avrebbe speso certo duemila euro per gli stessi dischi) dal vantaggio dei piccoli autori indipendenti che non avrebbero modo di diffondere le loro opere se non gratuitamente. Sono pochi quelli effettivamente danneggiati dalla pirateria ma hanno tanto potere il quale resta abbastanza saldo attraverso i canali radiotelevisivi ma si frantuma sotto l’imponenza del web. Le major non lottano per i soldi ma per non veder svanire il potere di decidere cosa farvi ascoltare, chi far diventare famoso e chi dovrà essere il prossimo a riempire gli stadi. Stanno combattendo una guerra che non potranno mai vincere, la stessa guerra combattutta contro Napster prima e Megaupload poi, senza comprendere che, per mantenere intatto il loro potere, basterebbe lasciarsi trasportare dal cambiamento, magari abbassando a dismisura i prezzi dei dischi, ricondiderando quelli dei biglietti e del merchandising e liberalizzando la diffusione dei formati di medio-bassa qualità in streaming gratuito. Invece continuano la loro guerra lasciando che altri squali nuotino nel mare di internet in cerca di un facile pasto.
Nel frattempo i “piccoli” musicisti si apprestano a guadagnare qualche soldo gettandosi a capofitto sullo strumento più antico a disposizione di un artista. Il Live. Almeno loro hanno capito che il futuro della musica è un ritorno alle origini ben più antiche di un 33 giri.
Addio alla Pirateria musicale. Forse.
Mentre il mondo della musica si divide tra chi difende e chi attacca il download illegale, nel sottobosco della scena ultra emergente il free download diventa sempre più uno strumento utile per far circolare la propria musica e incrementare il numero di seguaci i quali, si spera, vedranno poi i concerti, compreranno il merchandising e supporteranno quelle stesse band che hanno messo la loro arte in condivisione gratuita. Ma qual è la strada e il futuro della pirateria musicale? Lo abbiamo chiesto proprio alle band che alimentano quel sottobosco, emergenti, esordienti, giovanissimi ma anche meno giovani che hanno iniziato a inseguire un sogno con un poco di ritardo senza tralasciare qualche nome ormai affermato, pezzi di storia dell’Alt Rock italiano che ancora hanno tanto da insegnare ai più giovani.
A loro abbiamo fatto queste semplici domande:
Download illegale. Pro o contro? Chi è la vera vittima del download musicale illegale? Come riuscite voi a far quadrare il bilancio, se i dischi non si vendono? Se foste la band più famosa del pianeta, oppure una meteora che deve trarre il massimo da quel breve periodo di notorietà, sarebbe la stessa la vostra posizione in merito al download illegale?
Ecco cosa ci hanno risposto:
Gianni Vespasiani (Fake Heroes e Too Late To Wake)
Non riesco a prendere una posizione netta a riguardo, si tratta di eterna lotta tra poesia ed economia. Economicamente (ovviamente) sono contro, ma pro se guardo alla mia posizione di artista emergente che come primo desiderio ha quello di far ascoltare le proprie produzioni. Chi è la vittima? Dipende di quale livello di notorietà si parli. In linea di massima sia le etichette che gli artisti sono vittime, soprattutto noi emergenti. Stiamo vivendo comunque una fase di cambiamento: i CD si vendono sempre meno e i fruitori pretendono accesso libero alla vasta proposta che c’è. Ecco perché il successo di Spotify. In teoria noi artisti dovremmo guadagnare almeno con i live e attraverso il merchandising, visto che i dischi non saranno più una forma di approvvigionamento economico. Qui si aprono due altri problemi: il monopolio della musica live e il disinteresse nell’inedito da parte della massa. Personalmente manterrei la stessa posizione in merito, facendone ovviamente una questione etica. Il primo obiettivo per cui ho imbracciato una chitarra non è stato quello di guadagnare. Proverei in entrambe i casi a reperire dai live il profitto necessario a proseguire il mio percorso artistico.
Alessandra Perna (Luminal)
Scarico dischi e non vedo perché altre persone non dovrebbero farlo con i miei. Se c’è un assassino quello è Internet, non del mercato musicale ma dell’arte in generale: ci ha dato la possibilità di non annoiarci mai, quindi ci ha tolto la possibilità di creare delle grandi opere d’arte. (E ci fa sentire tanto artisti sul web quanto siamo insignificanti nella vita reale.) Quando ci sarà un bilancio da far quadrare probabilmente starò facendo un altro mestiere. Se i Luminal diventeranno la band più famosa del pianeta poi ne riparliamo.
Lorenzo Cetrangolo (Plunk Extend)
Il download illegale ormai fa parte della vita di tutti, e non è certo compito mio giudicare se è un bene o un male. So solo che se un ragazzo di vent’anni dovesse comprare tutti i dischi che servono per rimanere veramente aggiornato su ciò che accade, avrebbe bisogno di qualcosa di più di uno stipendio mensile (ammesso che l’abbia). Le vittime del download illegale sono, economicamente parlando, etichette e artisti, ma questo è bilanciato da una più facile messa in circolo del materiale. Ci sono meno soldi per fare dischi, ma non credo che la musica ne abbia risentito più di tanto. Noi il bilancio non tentiamo neanche di farlo quadrare: avere una band è un progetto economico costantemente in perdita. È così e non c’è molto da fare: se te la senti lo fai. Io non riuscirei a farne a meno in ogni caso, quindi chissenefrega. Se fossimo la band più famosa del pianeta, avremmo mille altri modi per fare soldi, per cui sì, la posizione che avrei sarebbe la stessa.
Silvio Mancinelli (Straphon)
Sono contro l’illegalità perché chi produce deve essere ricompensato. La vittima é sempre la band. Non si quadra il bilancio se non sei la star. Sempre più spesso leggo di grandi gruppi inglesi o U.S.A. che fanno altri lavori . Chi fa deve essere pagato sempre.
Danilo Di Feliciantonio (Starslugs)
Sono pro download illegale perché qualsiasi cosa danneggi l’industria musicale mi trova favorevole. Si fanno quadrare i conti cercando di riappropriarsi dei mezzi di produzione, acquisendo sempre maggiori conoscenze tecniche e comunicative, evitando terzi e quarti passaggi che fanno lievitare i costi di realizzazione e vendita di un supporto. Si guadagna il rispetto di chi ascolta e si cerca di suonare dal vivo il più possibile per essere supportati, non “sopportati”. Non vorrei essere mai famoso o una meteora che deve monetizzare, se questo implica il dover correr dietro al primo che scarica un nostro pezzo o un nostro disco.
Angelo Violante (Borghese)
Niente ipocrisie: anche io scarico illegalmente. Con i sistemi tipo Spotify e Deezer ho diminuito per lo meno i sensi di colpa derivanti dal mio download selvaggio; di poco, visto la quota irrisoria e irridente di diritti che queste piattaforme restituiscono agli artisti. Penso che la soluzione di tutto sia la proposta live: sarei disposto a sacrificare la vendita se per me fosse facile trovare spazi adeguati dove suonare la mia musica e far pagare il mio concerto. Mina e Battisti hanno costruito imperi senza live, ora l’esigenza è opposta. E renderei obbligatoria una quota di trasmissioni in radio di produzioni italiane, come si fa con il buon vino o un buon formaggio, altre forme di arte nostrana.
Gianluca Torelli (Alvaro Van Houten)
Penso che per i download “illegali” bisogna applicare lo stesso discorso che si applica per fumo, alcol o qualsiasi altro bene illegale: tutto sta nelle scelte che noi facciamo, cioè, se vogliamo scaricare per fare uno sfregio a qualcuno o per necessità è dato solo a noi saperlo. Per il resto, io mi sento a favore del download musicale illegale perché credo sia un’evoluzione di quelle che una volta potevano essere le “cassettine” che ti facevi registrando le canzoni alla radio, inoltre, è un modo per reperire musica introvabile. E poi, le cose illegali sono più belle perché c’è l’innato fascino del proibito che è da sempre parte fondamentale dell’essere umano.
Nella seconda parte troverete le restanti interviste realizzate da me con Danilo Di Nicola (The Incredulous Eyes), Maurizio Schillaci (De Rapage), Umberto Palazzo (Santo Niente) e Marco Lavagno (Waste Pipes) più una introduzione affidata alle parole di Ulderico Liberatore in collaborazione con Silvio. A giovedì prossimo.
Di seguito una parodia del famoso spot antipirateria a metà tra il sarcastico, il divertente e il provocatorio.
Captain Mantell – BLISS trailer
I Captain Mantell sono al lavoro sul loro quinto album, che si chiamera’ BLISS. Un nuovo disco con sonorita’ decisamente inconsuete per la band, anche grazie all’introduzione del sassofono, nella persona di Sergio Pomante alias Sergeant Zags (gia’ con String Theory, TreTigriContro, Umberto Palazzo…) Il trailer simboleggia chiaramente le nuova rotta: la riscoperta delle origini del Rock come rivincita.
Mare Tranquillitatis, il ritorno del Santo Niente tra art e rock
S’intitola Mare Tranquillitatis il nuovo album del Santo Niente, uscito ieri per Twelve Records/Audioglobe in tutti i negozi di dischi e digital store. Dopo otto anni dal precedente Il Fiore Dell’Agave torna la formazione guidata da Umberto Palazzo e torna con tutto lo stile e la carica che ha caratterizzato la storia della band. Quarantuno minuti per sei brani anticipati dal provocatorio videoclip Le ragazze italiane, l’album mostra un’indole molto più Art Rock, rispetto al Garage/Hard Rock e alle derive cantautorali dei lavori precedenti.
Il Santo Niente – Mare Tranquillitatis
Conobbi Il Santo Niente tanti anni fa, non ricordo bene il giorno, né l’anno ma ricordo bene il luogo. Ero nella stanza della sorella più grande di un mio vecchio compagno di scuola. Avete presente quelle situazioni molto anni novanta, camerette piene di poster e musicassette e musica che scivola lungo i bordi delle pareti? Ricordo benissimo quel giorno in cui ascoltai per la prima volta la voce di Umberto Palazzo, ben prima di conoscere i Massimo Volume che molti vedono come una delle due metà del progetto iniziato dallo stesso Palazzo ma che in realtà rappresenta una linea parallela alla vita artistica de Il Santo Niente. Ricordo esattamente le emozioni che m’ispirò ascoltare le note di quei brani. “Junkie”, “È Aria”, “’sei na ru mo’no wa nai ‘i”, “Angelo Nero” e sul lato A della tape casalinga le tracce dell’opera prima, “Cuore di Puttana (Hardcore)”, “La Vita è Facile” e poi la coppia di cui m’innamorai subito, “Il Pappone” e “L’Aborigeno”. Ricordo con un brivido sulla mia pelle le sensazioni che provai nell’origliare quei brani, portare a casa quella musicassetta, inserirla nel mio mini sound system e iniziare la copia che gelosamente custodisco come un inutile ricordo sbiadito; copia che avrei poi perfezionato inserendo con cura, a mano, a uno a uno i titoli di La Vita è Facile e ‘sei na ru mo’no wa na ‘i. Da quella circostanza iniziò un rinnovamento estremista nel mio modo di discernere e scoperchiare la musica. Non più solo rifrazione dei miei amici infossati nel Punk e non più banale conseguenza di qualche fugace ascolto radiotelevisivo. C’era tutto un mondo in fermento sotto l’asfalto; una realtà underground pronta a esplodere nel suo silenzio, nella sua disperazione. Sono trascorsi ben oltre quindici anni da quel giorno e troppi dall’ultimo album targato Santo Niente, Il Fiore Dell’Agave ed è ovvio che, cosi come ho atteso con trepidazione l’uscita del primo lavoro solista di Umberto Palazzo e seguito il progetto El Santo Nada (viste le ovvie distanze, più per curiosità che per altro, considerando poi che io sono un tipo che lega più con i brani che con i compositori/esecutori), con maggiore partecipazione ho assistito alla genesi lenta di questa quarta fatica della band, Mare Tranquillitatis. L’ho ascoltata ormai una decina di volte in pochi giorni e la prima cosa che mi ha trafitto è che qualcuno tra noi deve essere cambiato perché, nello strato più abissale della mia pelle, c’è una linfa che non sembra scolare e non pare vibrare allo stesso modo di tanti anni fa. Ovviamente non sono io lo stesso; ho il doppio degli anni, diverse idee per la testa, un modo differente di scorgere il mondo, qualche pensiero pratico in più e alcuni falsi problemi in meno, qualche birra di troppo sulle spalle e parecchi acciacchi ma allo stesso modo non sono gli stessi quelli che sento nelle casse. Tutto ciò, per fortuna, aggiungo.
Chiunque non abbia ancora ascoltato l’album ma si sia imbattuto volente o nolente nel singolo “Le Ragazze Italiane” non si lasci trarre in inganno da questo pezzo cosi dinamico (anche se molto vicino al classico sound della band), ossessivo e dal testo e dalla melodia un po’ “paraculo”; sia che sia piaciuto che in caso contrario. È quanto di più estraneo si possa trovare nei quaranta minuti di musica di cui è composto Mare Tranquillitatis. È evidente una certa presa di posizione, di distanza, dalla rabbia Garage degli esordi, anche se le sfuriate introspettive Post Hardcore stile Jesus Lizard (“Cristo Nel Cemento”) tengono ancorata la band a quelle che sono le loro radici anni 90. Stessa cosa, sia a livello testuale sia musicale, per quanto riguarda la forma canzone classica che è quasi interamente lasciata alle spalle nel tentativo di sviluppare una strada più predisposta all’Art Rock che tendenzialmente si risolve in Spoken Word impreziositi da chitarre distorte, tutto molto in stile Massimo Volume, per chi ha apprezzato la formula solo da questi “cugini” artistici bolognesi, ma che in realtà era stata già impiegata, anche se con ovvie varianti narrative e musicali, da Palazzo e compagni.
Soprattutto le strutture ritmiche riprendono in un certo modo quella che è la corrente più importante del Rock sperimentale teutonico, il Krautrock di Neu! specialmente ma anche di Faust e Can, sviluppandone le esasperazioni in una formula moderna e più vicina ai gusti del pubblico post Y2K bug e mantenendo la parte avanguardistica a livelli accettabili, in contrapposizioni ad alcune follie pure (vedi The Faust Tapes ad esempio) dei padri fondatori. Una delle immagini più avvincenti del disco è la parte testuale che mette in secondo piano l’elemento autobiografico e si concentra piuttosto su una sorta di analisi sociologica dell’universo che circonda l’uomo che sta dietro alle canzoni. Esempio è proprio il singolo “Le Ragazze Italiane” che riassume in pochi versi tutto quello che significa essere giovani, donne, oggi, in certi ambienti tra cui, immagino, quelli della vita notturna pescarese, acquario in cui s’immergono costantemente gli autori. Non uno spaccato generalista di ciò che può significare essere una sbarazzina ragazza oggi in Italia e nessun subdolo sistema per giudicare tutta una generazione. Nessuna accusa ma solo un atto d’amore nei confronti di alcune donne che hanno nuotato nello stesso acquario di Palazzo e d’odio verso certi atteggiamenti puritani di chi non ama mai bagnarsi. Se nel singolo l’elemento testuale si materializza efficacemente in tutta la sua franchezza, molto più soffuse sono le luci che circondano gli altri brani. Si passa da pezzi ispirati dalla letteratura o dalla storia (“Cristo Nel Cemento” è un brano suggerito dall’omonimo romanzo di Pietro Di Donato, figlio di un muratore abruzzese emigrato in America mentre “Sabato Simon Rodia” è un emigrante in America, creatore delle Watts Towers di Los Angeles) a brani che narrano (quasi letteralmente, visto lo stile usato nei pezzi) storie di violenza, droga, adolescenza e delinquenza (“Un Certo Tipo di Problema”, “Primo Sangue”) e disagio (“Maria Callas”, nome di un anziano travestito).
Come detto, la musica di Mare Tranquillitatis è una sorta di esperimento che vuole unire elementi propri della tradizione Alt Rock italiana (che va dagli stessi Il Santo Niente fino ai Massimo Volume ma anche ai Csi, rievocati in alcuni passaggi di chitarra di “Un Certo Tipo di Problema” ad esempio) al Post Hardcore dei Jesus Lizard ma anche molto “albiniano” (“Cristo Nel Cemento”); congiungere il Rock aggressivo, banalmente e volutamente diretto tanto da essere subnormale in perfetto stile Stooges (“Le Ragazze Italiane”) alle eccezionali e perfette deformità del Krautrock anni 70; fondere l’Elettronica e le sue ritmiche “danzereccie” (“Primo Sangue”) alle cacofonie soniche estreme (“Sabato Simon Rodia”) passando per cenni di psichedelia. Umberto Palazzo prova a utilizzare come legante di questa indagine sonora il sax di Sergio Pomante (eccezionale la sua opera prima con gli String Theory, mio disco italiano dell’anno nel 2012) ma restano alcuni dubbi sull’opera. Assolutamente da apprezzare la parte testuale (chi critica questo elemento dovrebbe consigliarmi qualche ascolto italiano), che scivola via senza inutili e ridondanti pesantezze, lasciando invece tante preziose oscurità che si lasciano scoprire elegantemente ascolto dopo ascolto (penso al fatto che molti abbiamo letto “Maria Callas” pensando alla diva e che ora, riascolteranno il pezzo scoprendone lati impensati). Certamente è risultato piacevole il distaccarsi dai cliché dei primi album ma, personalmente, mi aspettavo qualche rischio in più da un compositore esperto come Palazzo. Ovviamente è un concetto relativo quello di azzardo perché brani come “Primo Sangue”, quello che ho più ammirato o “Sabato Simon Rodia” sono tra le cose più lontane dalla normalità per l’ascoltatore medio italiano. Resta troppo in primo piano la vocalità mentre avrei preferito che Il Santo Niente avesse dato maggiore possibilità espressiva alle chitarre e soprattutto al sax che poteva veramente elevare Mare Tranquillitatis a uno dei migliori album degli ultimi vent’anni oltre che, magari, dare un’impronta innovativa al lavoro che altrimenti resta ineluttabilmente infangato nei ricordi di passate correnti. Tante influenze che rischiano di incanalarsi nel ricordo di tempi andati e una ricerca di strade Art Rock e sperimentali che appaiono ancora molto lontane. Inoltre crea qualche perplessità un brano come “Le Ragazze Italiane”; molto diverso dal resto dell’album finisce per confondere l’ascoltatore, anche e soprattutto prima ancora di ascoltare il resto. Può avere senso come gancio per il pubblico, dato il tema e le sonorità immediate ma niente di più.
Se proprio vi piace fare un raffronto con i Massimo Volume, mi assumo la responsabilità di dirvi che c’è molto più coraggio in questo disco che nelle loro ultime cose (alcune delle quali fatico a riascoltare, nonostante non ne neghi il valore) e c’è anche di più della pura temerarietà perché Mare Tranquillitatis riesce nella difficoltà di non annoiare pur dislocandosi dalle vie sicure della canzone italiana (chiamatelo pure cantautorato Indie, se preferite). Un disco che non dimenticherò di lasciar partire dalle casse nel breve tempo ma che mi lascerà comunque sempre con un profondo dispiacere per quello che sarebbe potuto essere. Parafrasando L’inizio di “Sabato Simon Rodia”, (“Puoi essere solo ottimo o pessimo. Se sei buono a metà non sei buono”) se la sperimentazione è solo a metà non è sperimentazione. Oppure possiamo fare meno i puntigliosi, vivere la musica per quello che è e goderci semplicemente un disco pregevole.