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Turin Brakes

Written by Live Report

14 Giugno 2013 @ San Damiano d’Asti

La cornice scelta per l’unica data italiana dei Turin Brakes è la piccolissima cittadina di San Damiano d’Asti, in Piemonte, in occasione del Fuori Luogo Festival, una tre giorni di letteratura, cibo e musica che le Officine Carabà hanno ideato l’anno scorso. L’idea fondante che traspare subito, è quella di avvicinare i giovani al proprio territorio, alla cultura enogastronomica di una regione che su questo aspetto ha molto da offrire, offrendo anche loro show di qualità di ospiti internazionali, per altro gratuiti. Certo, alla sola seconda edizione ci sarà ancora probabilmente molto da apprendere, modificare, progettare, ripensare, ma il progetto è coraggioso e ha buone prospettive di fronte a sé, difendendosi con dignità in un panorama in cui persino i più grossi festival faticano a completare una line up e fanno che annullare tutta la manifestazione. L’edizione del 2013 del Fuori Luogo si è aperta il 14 giugno, proprio con l’esibizione dei Turin Brakes. Un po’ troppo forse per una provincia di hipster per moda e indie snob annoiati. Così snob che sotto il palco ci saranno state sì e no trecento persone, ridotte particolarmente in fretta ad ogni brano eseguito dalla band (e non perché fosse tardi, visto che la band ha suonato un’oretta dalle 23 alle 24 e la piazza adiacente, quella con gli stand di cibo e bevande, per capirci, era gremita di primi vestitini da bancarelle indiane, calzoncini corti e sandali).  I Turin Brakes non sono certo dei mattatori da palco, l’estate che ha tardato ad arrivare avrà fatto uscire di casa un sacco di sprovveduti, accorsi per l’occasione festaiola e per la gratuità del concerto e probabilmente ignari di ciò che avrebbero trovato sul palco.

Cosa c’era dunque sul palco? Una band poco calorosa e anzi proprio tendenzialmente freddina, con una grande competenza tecnica e un ottimo gioco dialogico delle linee melodiche, ma pressoché immobile, silenziosa perché probabilmente frenata dalla differenza linguistica, riflessiva, intima ma in modo poco empatico. Il concerto si apre con Time and Money, brano inedito che dovrebbe essere inserito nel nuovo album (la cui uscita è prevista per il prossimo agosto) e prosegue con Stalker, Oblivion ed Emergency 72. Solo la prima fila sembra particolarmente entusiasta di ciò a cui sta assistendo, ma per il resto del pubblico arriva la cover di Wicked Game, che, per lo meno, han già sentito da qualche parte.

Il concerto prosegue, senza troppi momenti di particolare pregio con Rescue Squad, Mind Over Money e la bellissima e freschissima Painkiller. E a questo punto è bene spezzare una lancia a favore del pubblico e fare una seria critica alla band: pulitissimi da disco, perfetti, particolari pur nel loro essere comunque uguali a centomila altri gruppi, i Turin Brakes dal vivo mancano di appeal, di verve, di energia. Persino la vocalità nasale del cantante, elemento che lo distingue per esempio da una formazione come i Kings of Convenience, con cui condividono sensibilità e costruzione della forma-canzone, viene meno. E la delusione in me è tanta che mi perdo persino l’esecuzione di Fishin’ For a Dream. Mi riprendo praticamente solo per Underdog, con momenti improvvisativi in cui finalmente sul palco qualcosa si muove, e la chiusura con Slack. Probabilmente quanto ho scritto non sarà condiviso dai presenti, ma mi aspettavo davvero tutt’altro. L’augurio è che almeno un nome di respiro internazionale come quello dei Turin Brakes porti un po’ di lustro alla manifestazione crescente. Sicuramente, invece, consiglio di continuare ad ascoltare la band da disco, anche se vi suonano praticamente sotto casa e gratis.

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Underdog guarda il nuovo video di “Empty Stomach”

Written by Senza categoria

Arriva il videoclip del primo singolo estratto da Keep Calm degli Underdog: Empty Stomach.
Empty Stomach è il primo singolo e videoclip estratto dal secondo disco degli Underdog “Keep Calm” (Altipiani/MArteLabel, 2012).”Empty stomach” è camminare di notte con la scimmia sulle spalle a ricordarsi che “un uomo è i vizi che si paga”.Il video è da oggi disponibile su youtube dopo essere stato sbloccato dai fan sul portale musicreleaser.it, dove è disponibile anche il download di un contenuto speciale: la versione live di Goodbye con la partecipazione straordinaria di Antonello Salis.

Il video è stato realizzato in stop motion da Giulio La Monica su foto di Francesco Ormando.

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Underdog

Written by Interviste

Rockambula nella persona del nostro collaboratore Emilio Terracciano decide di incontrare Diego Pandiscia degli Underdog per parlare del nuovo disco, della scena musicale italiana e di una Roma sempre più violenta e affascinante. Vediamo cosa hanno da dirci gli Underdog…

Dopo tre anni eccovi di nuovo al varco. Bentornati Underdog. Allora che atmsofera si respira all’uscita dell’ultima fatica? Smaniosi di far conoscere al pianeta il vostro lavoro immagino!
Smaniosi è il termine giusto, abbiamo lavorato tre anni, il disco descrive benissimo questo periodo, porta al pubblico quello che sono attualmente gli Underdog, un gruppo con la consapevolezza che questo sarebbe stato “il disco”, oppure basta.

Qual è il bilancio di Keine Psycotherapy? Se sarà il primo leggendario album della famosa e storica band Underdog questo lo potremo dire tra una quarantina d’anni…ve lo auguro…ma intanto, parlando come ragazzi presi singolarmente, “non-underdog” per capirci, lavoratori immersi in questa, per certi versi, orrenda epoca in cui siamo capitati, segnata da precariato e generale indifferenza verso tutto (figuriamoci verso l’arte), cosa ha rappresentato per voi riuscire a creare la band che volevate e un disco che ha ricevuto il favore di quasi chiunque lo abbia ascoltato?
Ho sempre fatto, e questo non è un bene, delle scelte che comunque erano condizionate dal fatto che gli Underdog esistevano, ed erano in un certo senso quello che volevo fare, quello che volevo/voglio essere.  Il “non Underdog” ha un lavoro che gli piace, ma scelto e dettato dal fatto che il “non Underdog” non esiste e quindi c’è “il cantante degli Underdog che in qualche modo ha un lavoro che farebbe il cantante degli Underdog”: in questo caso l’educatore nei campi rom.
Però poi, vedere che l’ossessione che ti caratterizza, in questo caso la musica, viene apprezzata e compresa da altri “alieni” non può che mantenere in vita quello che sei, e soprattutto, quello che cerchi di fare.

Vivete a Roma se non sbaglio. Ho vissuto in quella città parecchi anni e l’ho vista cambiare molto, diventare una città sempre peggiore per violenza, inadeguatezza, malcostume italiano dilagante e, ahimè, menefreghismo giovanile davvero preoccupante. Credo sia lo specchio migliore di tutta l’Italia. E voi che ne pensate? Come la vivete o meglio come vi sembra il tessuto sociale, ed in particolare quello giovanile, della vostra città?
A me sembra un interessante melting pot, Roma sta diventato piano piano europea ma a suo modo, e con tutte le contraddizioni che da sempre si porta dietro. Roma  al momento ha un alto livello di degrado sociale ma ha anche un’ottima risposta artistica e “umana” che la contraddistingue da molte altre città Italiane. E’ una città viva, e malata allo stesso tempo, e questo in un certo senso ne crea anche il fascino.

Veniamo alle sette note. In Italia abbiamo una particolare predilezione per accorgerci in ritardo (o non accorgerci affatto) di talenti musicali nostrani e, al contrario, valorizziamo svariati fenomeni da baraccone. Sinceramente vi vedo lontani e indipendenti un po’ da tutto. Ed è un bel complimento sia chiaro. Che ne pensate del panorama musicale nostrano? Ci sono artisti con cui magari vorreste collaborare?
Abbiamo collaborato in un live con Salis, Luigi Cinque e Badara Seck  da cui abbiamo tratto un brano nell’EP “Empty Stomach” ed è stata un’esperienza unica che davvero non avrei sperato di poter fare. Quindi già quel momento è stato una grande soddisfazione.
Il panorama italiano è pieno di artisti validissimi, ma come già accennavi te sono per lo più mantenuti nell’ombra, pur trovando alcuni un grande riscontro a livello internazionale. Personalmente ho avuto la fortuna di collaborare con molti musicisti anche stranieri, in contesti musicali moto differenti. Mi piace pensare di continuare a incontrare musicisti interessanti con cui continuare a suonare insieme, collaborare, come è successo ultimamente con Cole Laka dei Two Pigeons o con Uwe Bastiansen e Geoff Leigh.

Emergere e “diventare qualcuno” con la propria arte oggi è davvero un’impresa ardua. Ma gli Underdog sono davvero interessati a “sfondare” nel senso classico del verbo o hanno altri obiettivi? Voglio dire, cosa significa per gli Underdog “diventare qualcuno” e qual è la ricetta per restare indipendenti ed al tempo stesso esportare ovunque la propria musica?
L’obiettivo è suonare quello che voglio e poterlo portare in giro, il che non significa sfondare ma significa semplicemente suonare quello che si vuole e vedere se qualcuno è disposto a fermarsi ad ascoltare.

Ascoltando i vostri due lavori, e ancora di più vedendovi dal vivo, la sensazione principale che suggerite a chi vi ascolta è, a mio parere, l’imprevedibilità, la percezione che da un momento all’altro nel brano possa arrivare qualcosa di sorprendente e inaspettato sia a livello di arrangiamenti che di soluzioni melodiche. Le varie trovate per rendere i brani così multiformi sono frutto di improvvisazione collettiva o c’è dietro una ricerca in studio e una decisione premeditata di organizzare precisi arrangiamenti?
L’improvvisazione collettiva in lunghe session è quello che ha caratterizzato il nuovo lavoro,  c’è anche una ricerca di suono e di struttura ma fondamentalmente siamo sette teste che suonano insieme senza molti preconcetti od obiettivi premeditati se non quello di voler esplorare “qualcosa di nuovo”.

Avete suonato al Festival dell’Avanguardia di Shiphort organizzato dai leggendari Faust (o da quello che ne rimane). Un ambiente e dei musicisti che da 40 anni contagiano irrimediabilmente con idee e sperimentazioni chiunque ne venga a contatto. Cosa vi portate dietro da quell’esperienza a livello musicale? Se non sbaglio avete collaborato con Uwe Bastiansen?
Ho il flash durante il festival di questa jam registrata dentro il furgoncino di Jean Herve Peron dei  Faust  in cui avevano accorpato me e Basia a improvvisare con questo batterista metal norvegese, già questo ti fa capire l’attitudine del festival, Uwe Bastiansen suonava e registrava la session, ma non abbiamo ancora sentito cosa ne è uscito fuori!
Se poi ti devo parlare a livello personale, è stato bellissimo essere ospite nella Stadtfisch Orchestra con Uwe, Zappy e Jean Herve Peron, Geoff Leigh, mi hanno insegnato a lavorare realmente da musicista durante il periodo dei due dischi incisi per l’amburghese Clouds Hills. Ero con questi musicisti molto più grandi di me che avevano dei ritmi assurdi di lavoro in cui si sentono, e ti fanno, sentire completamente a tuo agio. Ci si chiudeva per tre giorni a improvvisare per portare poi il disco direttamente in studio, il che non sembra, ma è un lavoro che richiede una forte concentrazione. I ricordi più grandi poi sono stati proprio a livello umano, solo con gli underdog mi ero sentito così “in famiglia”.

Musicalmente avete diverse provenienze stilistiche lo so. Anche molto diverse. E siete parecchi peraltro. Riuscireste a trovarmi almeno un album o due che mettono d’accordo tutti, un disco che tutti davvero amate e che magari avete condiviso nell’ascolto durante le registrazioni di Keep Calm?
Non credo, forse azzardo e provo a dire Pithecantropus Erectus di Mingus la traccia omonima è impossibile non amarla. Ma oltre questo è impossibile, spesso quando parliamo tra di noi ognuno cita dischi o artisti che magari l’altro non conosce assolutamente.

Dal vivo come sarà l’impatto di Keep Calm secondo voi? Avete in mente qualcosa di particolare o cercherete di riprodurre fedelmente il più possibile i brani così come suonano in studio?
Ma in realtà a noi sembra scontato, ma noi suoniamo dal vivo come in studio ne più ne meno, non amiamo usare più di tanto sovraincisioni, il disco riproduce fedelmente quello che possono effettivamente suonare contemporaneamente sette musicisti. Il live poi è caratterizzato da tutto ciò: sette teste senza freni che si muovono su un palco, quello che succede poi succede.

I vostri brani. Mi piacerebbe analizzarli uno ad uno ma non c’è tempo! Anzi spazio! Ne prendo uno che mi piace particolarmente. Mi spiegate il significato del testo e com’è nato musicalmente Macaronar?
Si provava, anche parlandone con la produzione, Altipiani e Martelabel, a testare l’italiano, e quando mi sono trovato in questa situazione mi è tornato alla mente una vecchia frase che strillava il chitarrista della mia prima band, ti parlo di anni e anni fa. E nulla, questa frase “le mani che sudano ed anche stasera un parto isterico di me stesso” è riapparsa nel cervello mentre cercavo qualcosa da cantare  e per assurdo descriveva benissimo come stavo alcune volte in quel periodo, da li, è uscito il testo in una sera: descrive l’attimo in cui si sorpassa il limite e ci si ritrova ad esplodere, completamente vulnerabile, davanti a qualcuno.

Finale scontato. Avete progetti particolari per far conoscere gli Underdog alle prossime tredici generazioni? Tournèe in vista?
Gli Underdog verranno a suonare nelle vostre città, nel bene o nel male, “Keep Calm”.

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Underdog – Keep Calm

Written by Recensioni

Miglior band emergente in circolazione in Italia: atto secondo. Fine della recensione. Qualsiasi chiacchiera fatta riguardo a musica meglio definibile come “seria” è solo superficiale retorica o insignificante parere personale…ballare di architettura come direbbe quel tale. La prassi impone altro però. Andrebbero sviscerate e raccontate le note e le sensazioni percorse lungo queste nuove dodici tracce che gli Underdog hanno partorito tre anni dopo l’album di debutto “Keine Psichotherapie“. E’ da lì che il gruppo riparte. Le idee sono le stesse, molteplici e originali. Perchè quando la creatività è a mille e quando le doti tecniche sono 4 o forse 5 o magari 6 piani al di sopra della media, non esistono schemi preconcetti o peggio ancora generi a cui attenersi. Esiste solo la musica e la voglia di suonare. Ed è rinchiusi in sala prova per parecchi mesi che gli Underdog hanno sfogato la loro voglia di riassumere e fagocitare tutto ciò che ha pervaso i loro ascolti e le loro ambizioni. Ne esce un caos organizzato di strumenti che si inseguono in continuazione, mille stili amalgamati per creare un suono lontano anni luce da tutto quanto mainstream sia circolato in Italia e distante, parecchio distante, anche dalle varie forme di cantautorato o pseudo-alternative in voga nel nostro territorio. Come Les Claypool totalmente ispirato dai Residents creò qualcosa totalmente distante da loro, così Diego Pandiscia ed il suo ensemble, ispirato dal genio bassista di Richmond, crea una mescola che mantiene la forma e la struttura dei Primus e se ne allontana nei contenuti arricchendoli a piacimento in un non sense logico che attinge ora al jazz, ora alla folkloristica, ora ai maestri Waits e Zorn. Il tutto spazia a destra e sinistra ed è reso significante e coeso dalla voce a tratti stucchevole di Barbara “Basia” Wisniewska, talento di dimensioni clamorose, in grado di indirizzare e “piegare” gli strumenti verso atmosfere straniate e accenti inusitati.

Commentare le dodici tracce, ripeto, insisto, è pura idiozia al cospetto di un album e di un gruppo che semplicemente fa quello che vuole e come lo vuole svincolandosi da qualsiasi idea standard di forma canzone. Unica menzione forse la merita il balzo dalla sedia e relativo sguardo sconvolto verso le casse fatti all’ascolto delle due cover presenti: Berlin e…Un Cuore Matto. Il rischio di sfociare nel kitsch piuttosto che in un’opera poliedrica sarebbe alto, altissimo per chiunque, ma ascoltate la versione del classicone del Piccolo Toni rifatta dagli Underdog e magari vi convincerete che i modi di essere di un contenuto musicale possono davvero essere infiniti quando chi vi strimpella uno strumento davanti conosce alla perfezione e ama sinceramente la propria arte.

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