Anche se moltissimi non lo ammetteranno mai, i Buzzcoks di Howard Devoto e Pete Shelley erano il terzo incomodo del punk inglese, lo snodo fondamentale tra il riot- move sanguinario dei Sex Pistols e la faccia pulita dei slogan giustizieri dei Clash; certo dai primi hanno colto l’irruenza e la strafottenza, e lo si può ascoltare in questo loro esordio fulminante “Another music in a different kitchen”, il disco che comunque li consacra in prima battuta a simbolo, a fibbia stretta, di questa triade (gli Stranglers sono già più scostanti) che del ribollio dei malesseri umani e sociali ne fecero bandiera da sventolare.
Maestri indiscussi per band che verranno dopo – Libertines tra tante – i Buzzcocks si affermano immediatamente anche per quel vizio proforma di mischiare il sound ribelle con un pop istantaneo, che non riconosce stilemi precisi, ma che fuoriesce dalle loro melodie elettriche con tic beatlesiano, e per questo “condannati” e bollati dall’ortodossia crestata come damerini che giocano col fuoco, ma era forse solo invidia anche perché questo disco è un riferimento, una bibbia ascoltabile da cui tutto parte, da cui tutto torna; magari la definizione di pop-punk può assestarsi benevolmente come stile preciso, come differenziazione peculiare della British Invasion che faceva fuoco ovunque, l’importante era crederci e loro, gli educati incazzati di Manchester, la loro parte non la mandavano a male.
Tracce ben tese tra fulminazioni punkyes e melodie pop che una volta unite fanno fiamme elettriche e una certa “grazia corale”, scaletta che è rimasta nella storia per via di pezzi memorabili, la corsa schizzata di “Fast cars”, “Reply”, il pogo che invade le chitarre battute allo spasimo “Love battery”, “Sixsteen”, il beat beatlesiano che appunto affiora dentro “I don’t mind”, “Autonomy” e la velocissima “I need”, brano che li apparenterà – forse allargandosi un po’ troppo per immedesimazione – agli americani Ramones, ma questa è tutta un’altra storia se non addirittura fantasia popolare del tempo. Tutti brani che fecero la fortuna anche delle miriadi di radio libere che in quegli anni focosi trasmettevano l’intrasmissibile e pure di una generazione (minoritaria) che nei Buzzcocks intravedeva una via praticabile verso l’ammorbidimento del punk, ma era ed è rimasta fantasia, quello che invece conta e che la band è sopravvissuta a tutti ed alle elemosine che le label del 1978 cercavano di dare a queste formazioni pur che gli facessero vendere dischi su dischi.
Pietra miliare alla quale legarsi come amanti.