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Dimartino 02/11/2013

Written by Live Report

Voi non ci crederete ma dopo il concerto dell’altra sera al Circolo degli Artisti, la prima cosa che mi viene in mente se penso a Dimartino è Niccolò Fabi. Non perchè sia possibile accostarli stilisticamente, questo nessun recensore in Italia avrebbe l’ardire e l’ardore di dire (notate il gioco di parole che denota la padronanza linguistica del sottoscritto, altro che “scusate il gioco di parole”), ma perchè a pochi passi da me al concerto di Dimartino c’era Niccolò Fabi. L’ho incontrato in fila, era dietro di me, lui ha pagato ed io avevo l’accredito stampa; mi ha guardato mentre dicevo “ho un accredito” (magari solo perchè gli ero davanti) e io l’ho riguardato sprezzante negli occhi con uno sguardo western che nel mio cervello di idiota significava chiaramente “Stai attento a quello che fai con la tua chitarrina, sono un recensore spietato, se mi fai un disco di merda ti stronco”. Nel suo sicuramente significava: “mo’ a sto’ pigmeo si nun’ ze leva ooo meno”. Avrebbe fatto bene. Comunque sono qui per parlare del concerto di Dimartino e cascasse il mondo lo farò.

Apertura di Valentina Gravili, brindisina di nascita, romana d’adozione cantautrice dalle influenze mediorientali sia in viso che nelle melodie. Mi ricorderò della sua performance per il pedale che il batterista aveva collegato al microfono il quale moltiplicava le voci in maniera che la Gravili sembrasse accompagnata da un coro di Bonzi. Bell’effetto. Ma arriviamo al concerto del cantautore siciliano: Dimartino si presenta in total black: giacca, pantalone, barba rifilata e t-shirt scollatissima senza peli sul petto: non aggiungo altro. Bel trio, quello di Dimartino, dal suono particolare e dovuto al fatto che lui suona alternativamente il basso o la chitarra e quindi pur in ambito rock complessivamente risulta molto pulito e ben equilibrato. Talmente equilibrato che quando in qualche pezzo vengono utilizzate delle sequenze la voce finisce per soffocare in mezzo al volume sonoro accresciuto. Una per una sfilano molte delle canzoni che compongono i suoi primi due dischi e l’ultimo ep Non Vengo più Mamma e in più una bella e intensa versione di “Sobborghi” di Piero Ciampi. Giusto Correnti alla batteria sembra suonare in un gruppo Indie Rock inglese più che in una band di un cantautore, Angelo Trabace con la partecipazione teatrale e la gestualità facciale di un cantante neomelodico dà bella mostra delle sue indiscutibili doti di pianista. Complessivamente il live è piacevole ed anche più energico di quello che mi aspettassi dalla produzione in studio, una bella sorpresa. A volte ho avuto la senzazione che l’ interplay fosse ancora un pò acerbo, come se fosse la risultante monolitica di tre diversi modi di sentire il repertorio, poco comunicanti tra di loro e ancora un pò postadolescenziali.

Nulla che non si acquisti con qualche altro anno di live. Spettacolo nello spettacolo la presenza di Fabi vicino al bancone e gli sguardi furtivi di molti degli spettatori per cercarne di capire le impressioni dalle reazioni, quasi a volere da lui una legittimazione per farsi piacere il concerto. Una sorta di imperatore musicale che con lo scuotere della testa invece che con il pollice in alto poteva legittimare o meno un pezzo piuttosto che un altro. Spettacolo nello spettacolo, nello spettacolo all’uscita: alcuni vanno verso il banco del merchandising di Dimartino ma molti di più rimangono a chiedere autografo e foto ricordo a Fabi. Non cambieremo mai.

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Valentina Gravili – Arriviamo Tardi Ovunque

Written by Recensioni

La Balena del Tamigi, l’album secondo di questa artista brindisina, Valentina Gravili, già due anni fa l’aveva messa ben in luce come un’ottima scheggia impazzita dentro e fuori l’underground. Ora torna “diversamente magnetica”, perfetta in una specie di controcanto personalizzato alle forme di specie della Polly HarveyPare che fuori pioverà”, “La mappa dei punti deboli del mondo” così come  una versione isoscele che crea flash tra una Cristina Donà e una Meg sparuta e pensierosa “La saggezza è roba per giovani”, una personalità sonora vincente che l’artista rimette in piazza nel terzo disco della sua carriera, “Arriviamo tardi ovunque”, il disco che con pochi e assestati ascolti,  la conferma nuova stella alternativa di questo capovolto inferno delle emergenze soniche.

Dentro c’è una voce – la sua – che è eterea, fatata, gorgheggiante, adattabile alle fumiganti nevrosi come nelle melodiche manciate che si consolidano man mano che la tracklist sgancia brani di assoluto piacere, mai derivativi e un pochetto lontani dal pop stratificato del precedente lavoro, trame e concetti che languono avvicinandosi a brume acustiche e senza la patina del lusso, che svolazzano, piroettano, pensano e affondano  – immortalando – una interpretazione stupenda nelle sue molteplici facce. Un follow-up mediterraneo “Il finimondo”, stop & go southern acustici alla Ani DiFranco che percuotono la titletrack,  nove tracciati co-prodotti da Max Baldassarre e fissati in buona parte con l’autoharp, brani che suggestionano potentemente, tracce che nascono per stupire e struggere, a volte fragili come la poetica ovattata della Donà “Mosca cieca”, a volte che riesuma i disegni d’alito invernale di una tenera Marta Redeghieri degli UstmamòDomenica mattina”.

Valentina Gravili distilla canzoni che hanno una marcia in più della consuetudine, una forte presenza femmina che fa coerenza e suono incantevole, niente è a caso, nulla è gettato, una bella (ri)scoperta che si è modificata nel tragitto come una ventata improvvisa rimanendo saldamente ancorata alle proprie e alte qualità. Piacciono i fiori slegati e  vermigli? Allora è consigliatissimo al 1000%.

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