Quarta edizione per il festival Rockin’Cura, evento musicale “figlio” dell’impegno e della passione dell’associazione culturale ImaginAction. L’associazione nasce con l’obiettivo di promuovere eventi e festival, soprattutto a livello musicale, che diano impulso a un movimento culturale che si ponga come una valida alternativa per i giovani della provincia. Di qui l’idea della manifestazione che ha visto sul proprio palco nelle precedenti edizioni artisti emergenti a livello locale e nomi noti nel panorama della musica indipendente italiana, quali i Fast Animals and Slow Kids e Il Pan del Diavolo, Luminal, Management del dolore post operatorio, Venus in furs, Gazebo Penguins. Rockin’ Cura vuole inoltre dare spazio a varie espressioni artistiche e per farlo affianca alla musica spazi espositivi di pittura e fotografia, mercatini vintage, artisti di strada, proiezioni e iniziative di solidarietà. L’appuntamento di quest’anno è per venerdì 5 e sabato 6 settembre presso i Giardini Pubblici di Cura di Vetralla, Via Sant’Angelo e vede protagonisti Il Movimento, Majakovich, The Cyborgs, per la serata del 5 settembre e Progetto Panico, Bamboo e The Zen Circus per la serata conclusiva. Rockin’Cura è affiancato quest’anno da importanti Media Partnership tra cui Rockambula Webzine.
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Venus in Furs – BRA! (Braccia Rubate All’Agricoltura)
Come si può diventare grandi in pochi giri di stereo si potrebbe dire o senza passare per le forche caudine di qualche concordino pseudoindie, fatto sta che come la rigiriamo i discorsi sono a zero, loro, i livornesi Venus in Furs non la mandano a dire, e col nuovo disco BRA (Braccia Rubate All’Agricoltura) si lanciano sugli ascolti con una frenesia rockettara bombastica, quasi monumentale che scava e si fa intendere senza tanti convenevoli.
Dunque la Toscana come nuova fucina underground, e i Venus in Furs non fanno nulla per tenere il loud sotto i limiti, un incedere di elettricità e ritmo, liriche e pedaliere che da il fiatone e non da nulla per scontato se non per certi riffoni carsici – ma giusto un pelino – alla Zeppelin che arrivano a ondate per tornarsene poi nel loro Olimpo ispirativo: sei tracce col ghigno della suadenza amplificata, un piccolo manifesto urbano che si scuote e scuote tra schegge heavy e spavalde freschezze estemporanee, e durante lo scroller della tracklist la consapevolezza netta di avere tra le mani e orecchie un ottimo lavoro underground si fa nitida, reale.
Disco d’assalto, con i denti aguzzi e qualche dolcezza nascosta, tanti gli obiettivi della società pragmatica e musical-cretina colpiti senza pietà e suonato senza nessuna remora falso perbenista, tracce che folgorano nel profondo e con altissima qualità: gli hook diabolici “Leggins”, gli Zoso di “Black Dog” che passeggiano distratti nella tracklist e in “Sotto stress”, lo Shuffle Crooner “Nel Nome Del Padre” e due stupende innocenze inaspettate che arrivano per mettere un asterisco in più sulla tara generale, ovvero il bisbiglio alla Edda del periodo Ritmo Tribale “Via Del Cappello” e quello strabiliante tuffo Soul-Gospel in un Mississippi de’ noantri che infrange il muro della goduria straniante “Nel Blues Dipinto di Blues”.
Decisamente credibile e incredibilmente deciso.
Venus In Furs – Siamo pur sempre animali
Ho sempre avuto un’amorevole avversione per le storie dei 20enni disadattati. Insomma la mia frazione razionale non ha mai gradito troppo tragicomici racconti su insormontabili scogli di giovani incerti su un futuro che sembra per loro già scritto. Tutti paladini della libertà con una laurea in Lettere e Filosofia in mano. Tutto trasuda retorica e stereotipi, me ne rendo conto, ma non sono mai riuscito a frenare il violento impulso di curiosità verso questo filone di romanzi o film (vedi Culicchia e Virzì, tanto per citarne due)
Non voglio assolutamente sminuire il problema, anzi. Sono convinto che i ragazzi del 2000 (me compreso dai, non sono così antico) debbano battersi con mostri che da anni sembravano ben sotterrati da una scorza sociale ben dura. Oggi invece questa scorza fa breccia da tutte le parti e allora gli artigli feroci di queste bestie grame si catapultano in superficie in cerca di carne fresca da deturpare. E così ci sono affitti da pagare, la paura di una scelta universitaria sbagliata, una fede che vacilla verso qualsiasi tipo di santo, un alcolismo divampante, una fede in nulla, mass media che plastificano pure la realtà della cronaca nera e dulcis in fundo un’onda economica che precipita come il peggior burrone di Willy il Coyote.
Ma la cosa che mi fa un po’ incarognire è che almeno nelle storielle, che possono comunque darci qualcosa in più di ciò che ci sbatte in faccia la vita quotidiana, si dovrebbe avere qualche stimolo in più di un banale stereotipo incartato e venduto all’ingrosso al supermercato. E così forse si affronterebbe tutto questo scatafascio con un sorrisino che si tramuta facilmente in stretti denti digrignati. Alla fine i mostri spaventano, ma noi siamo bestie come loro e sappiamo bene come affrontarli.Tutto questo pare ce lo insegnino i pisani Venus In Furs che presentano il loro album con un nome che presuppone bava alla bocca (per rabbia, non per fame): “Siamo Pur Sempre Animali”. Preparatevi insomma a mettere un attimo da parte le emozioni e i sentimenti per essere veramente cattivi (e di questi tempi serve esserlo).
La scuola dei compaesani Zen Circus (Andrea Appino insieme a Gianluca Bartolo del Pan del Diavolo partecipa addirittura al bluseggiante crescendo finale de “In questa città”) è più che evidente e come la migliore tradizione delle correnti rock si porta dietro questi 3 giovani ragazzetti (l’anagrafe è sconcertante, tutti poco più che ventenni) che trasudano rock’n’roll da tutti i pori. Ci sono la rabbia agonizzante dei Linea 77, la botta in faccia dei Ministri, l’arroganza svarionante degli Afterhours più noise e addirittura (mi sbilancio) la roboante potenza di Led Zeppelin II. Il risultato pare un pastone, ma tutt’altro che stantio, è freschissimo come pesce appena prelevato dal fondale marino. Ancora vivo e scalpitante in superficie ti immerge subito in un vortice di volume con il riff di “Nefasta in testa”, brano apre il disco e sembra sgraffignato proprio ai Ministri, se la vacilla febbricitante tra hardcore e pop da classifica. Il prepotente e inaspettato boogie boogie di tastiera dell’opener ci conduce alla drittissima “Io odio il mercoledì”, una prepotente danza infernale in riva al burrone che a sua volta ci scaraventa nelle dinamiche ancora più oscure e tetre di “Cecilia e la famiglia”: “ciò che luccica e non brilla, si Cecilia, è la famiglia”.
Il disco scorre veloce insomma e si fa ascoltare tutto di un fiato nonostante le sue 13 tracce (ambizioso mettere 13 tracce in un disco d’esordio, no?). Le sonorità si dimenano forsennatamente tra atmosfere seventies, urla sporche (complimenti alla voce di Claudio Terreni, che nonostante la giovane ugola mostra grande maturità canora), tastiere sintetiche, chitarre acidognole e grande botta generale (figlia di una produzione impeccabile) che non vuole rinunciare alla bellezza della melodia italiana, un po’ violentata, ma ben viva in brani come la stupenda “Naif” dove Manuel Agnelli sembra direttore di questa piccola orchestra elettrificata.Un bel biglietto da visita insomma, un disco che i giovani d’oggi dovrebbero ascoltare e assimilare, perché arriva proprio da loro coetanei incazzatissimi. Così, come cita la loro “Las Vegas (non mi rilasso)”, buttiamolo nel cesso sto “manuale bignami per ventenni 2000”, perché a noi animali le “loro” regole non ci piacciono affatto. Occhi aperti e denti stretti.