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La Band della Settimana: Luca Di Maio
Dopo diverse esperienze musicali, dal 2001 al 2012 è impegnato nel progetto Insula Dulcamara, ovvero porta in giro, incide e diffonde la propria musica con l’aiuto di diversi musicisti. Con questo nome autoproduce quattro EP, un LP e partecipa a diverse compilation. Apre concerti per Micah P. Hinson, Tom Brosseau, Emily Jane White, Virginiana Miller, Marco Parente, 24 Grana e molti altri. Si esibisce in Italia, Svezia, Spagna e Germania. Dal 2012, abbandonato lo pseudonimo Insula Dulcamara, scrive e incide nuovi brani, tra cui uno originale per la colonna sonora del lungometraggio animato L’arte della felicità di Alessandro Rak, insignito di numerosi premi, tra cui il prestigioso European Film Award come miglior film d’animazione. Collabora anche a diversi dischi di altri artisti (Cosmosoul, Nasov, Sunneva), come musicista, autore e arrangiatore. Il 2016 vedrà l’uscita di Letiana, il primo disco a suo nome, che vede la produzione artistica di Marco Parente, e la presenza di Alessandro “Asso” Stefana alle registrazioni e ai mix, oltre che alle chitarre. Parallelamente, insegna e traduce le lingue svedese, inglese e tedesco. Letiana è il disco di debutto in uscita il 18 marzo con la produzione di Marco Parente.
La Sindrome di Kessler – La Sindrome di Kessler
Pezzi al limite dell’imitazione di Afterhours (“Fanfarlo”), Marlene Kuntz (“Parabola di un Desiderio”) e Virginiana Miller (“Le direzioni”) potrebbero, ad un primo ascolto, non essere un buon biglietto da visita per La Sindrome di Kessler. Il primo album della band campana prende spunto dall’omonima teoria americana secondo cui l’enorme mole di detriti spaziali e l’effetto domino scaturito dalle loro collisioni potrebbe causare l’impossibilità di utilizzare satelliti orbitanti intorno alla Terra per le prossime generazioni. Il caos. Tuttavia il disco sembra molto più ordinato di quanto il nome non suggerisca e, superata l’empasse dovuta ai forse troppi reminder, avviene la vera deflagrazione. “La Detonazione delle Nuvole” è il punto di rottura in salsa Post Rock che spinge la bellissima “Sinuose Alterazioni” a spiccare il volo, raccontandoci cosa è l’inafferrabile e quali siano le sue conseguenze. “Una Carezza in un Pugno” è il fulcro su cui si basa l’intero disco: la spigolosa e mai celata vena Grunge rimarcata dalle doti canore di Antonio Buomprisco racchiude passione sensuale, quasi un culto. La sindrome di Kessler è una prece, un grido d’aiuto ma nello stesso tempo una liberazione e l’inizio di qualcosa di nuovo. Per la band è anche l’inizio di qualcosa di bello, la strada giusta è stata già imboccata.
Virginiana Miller
Lo scorso 17 settembre è uscito per Ala Bianca/Warner il sesto album in studio dei livornesi Virginiana Miller, Venga il Regno. La band ha un curriculum di tutto rispetto: dal 1990 ad oggi hanno ricevuto premi e riconoscimenti, lavorato con personaggi illustri del panorama musicale nostrano come Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso, Giorgio Canali, Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi dei Baustelle, sperimentato nuove collaborazioni come nel caso della sonorizzazione dei reading letterari dello scrittore Giampaolo Simi e, in ultimo, hanno curato la realizzazione del brano “Tutti i Santi Giorni” per l’omonimo film di Paolo Virzì, che è valso alla band il David di Donatello per la Migliore Canzone Originale. I Virginiana Miller sono al momento impegnati, per la presentazione del disco, nel tour che questa sera farà tappa a Milano, al Biko, con i bresciani Claudia is on the Sofa. Ho avuto piacere di parlare con Daniele Catalucci, bassista dei Virginiana Miller, per scoprire un po’ meglio cosa sia Venga il Regno e in quale direzione stiano andando.
Partiamo subito con una domanda un po’ stronza. In più di vent’anni di carriera avrete avuto modo di conoscere e incontrare parecchi gruppi nostrani. Qual è la band che avrebbe meritato più attenzione da parte del pubblico e della critica, ma non è riuscita ad emergere e quale quella che ha invece avuto un successo secondo voi immeritato?
Abbiamo sicuramente parlato un milione di volte tra noi di band che avrebbero potuto raggiungere risultati più alti ma per un motivo o per l’altro non ci sono riuscite.. Fammi pensare.. Credo che fra tutti i Northpole siano quelli che avrebbero meritato un po’ di più e credo che gli altri della band sarebbero d’accordo con me. Per quanto riguarda una formazione sopravvalutata, do un parere personale: mi sono sempre domandato come mai gli Afterhours sono diventati un caso così eclatante. C’è sicuramente qualcosa di interessante in loro, ma, lo dico con tutta la bontà possibile, mi chiedo se avrebbero avuto lo stesso successo se fossero arrivati da un’altra realtà, anche geografica, o se invece non sarebbe stato molto diverso.
Veniamo al disco. Venga il Regno è una profetica annunciazione o una rassegnazione a uno stato di cose? E questo regno com’è?
Questo è un terreno in cui Simone (Lenzi, frontman e autore dei testi della band, ndr) saprebbe rispondere meglio. Posso dirti a cosa corrisponde secondo me questo regno sul piano musicale, perché abbiamo avuto molto tempo dall’album precedente per occuparci di questo, anche perché Simone era impegnato in altro. Quando ci siamo rincontrati siamo andati dritti al punto, facendo emergere tutta la conoscenza che abbiamo tra noi da anni ed evitando tutte le fasi centrali che di solito ci caratterizzavano. Sai: quelle in cui tendono ad emergere le personalità individuali e che portano anche a scontri e scambi di opinioni. Per Venga il Regno, invece, in venti giorni i brani erano pronti, passati da embrione a canzoni fatte e finite, con una struttura musicale, gli arrangiamenti e il testo. Simone parla di regno intendendo una Apocalisse che è già in atto, un cambiamento, una rinascita. Contestualizzato in ciò che stiamo vivendo tra noi, mi è sembrato calzante: da una fase di stallo a questa nuova creazione.
Com’è stato lavorare con Ale Bavo e Ivan Rossi per la realizzazione di Venga il Regno?
Il loro apporto è il 60% del disco. Ci tengo davvero a sottolineare l’importanza dei loro ruoli, perché sono stati eccezionali. Sono due che hanno capito esattamente dove volevamo andare noi e ci hanno aiutato a tirarlo fuori e, pur essendo oltretutto anche molto diversi tra loro, perché per certe cose sono uno l’opposto dell’altro, hanno messo nel disco cose che continuano a piacermi nonostante lo ascolti praticamente sempre da sei mesi.
Repubblica ha definito Venga il Regno il disco più militante della vostra carriera. La definizione vi piace? E se sì, quali sono i principi della vostra militanza?
È vero. Perché senza rendercene conto e senza aver stabilito delle guide, tra i testi e la musica l’ambientazione politica è più netta rispetto ad altri album e altri brani. Anche l’arrangiamento è più efficace, più giovanile forse, e questo aspetto gli ha dato una certa ruvidità, che ha aiutato ad affrontare tematiche anni 70 in una chiave musicale che anni 70 non è.
La collaborazione con Paolo Virzì ha portato grandi risultati. Qual è il vostro rapporto con il cinema? Cioè: quanta narrazione cinematografica c’è nella costruzione dei pezzi?
La figura di Paolo è stata uno stimolo perché è una celebrità con cui alla fine siamo stati sempre in contatto ed esserci ritrovati a collaborare e soprattutto a soddisfare una sua richiesta è stata una bella soddisfazione. Ha avuto una grande importanza non tanto sul piano musicale puro, quanto perché è stata l’occasione per concentrarci su un aspetto compositivo che abbiamo innato ma che non sempre sfruttiamo consapevolmente. Noi lavoriamo tanto sui timbri e sulle sonorità e ci capita spesso, senza ancora avere un testo, di sentire un nostro brano e dire “Questo è molto cinematografico”. Ci è sembrato quindi di essere calzanti per il compito. E credo anche che l’esperienza abbia cambiato qualcosa anche nel modo di scrivere di Simone, che è sempre stato una bella penna, tanto che lo chiamiamo “Il pavone”, ma che si è semplificato senza rendersi banale: questo l’ha resto più arrivabile anche da parte di un pubblico più ampio. Va subito dritto al punto, non come in brani dei dischi vecchi che a volte mi ricapita di ascoltare e penso “Ammazza quanto è ostico”, tanto nel testo quanto nella musica. Ormai, senza falsa modestia, credo abbiamo raggiunto una certa maturazione.
Spotify, Musicraiser, i Social Network.. Qual è il vostro rapporto con i nuovi media per la promozione?
Non sono un esperto, ma ho capito come funziona Musicraiser e ho visto esempi pratici di persone che lo sfruttano per avere una visibilità che non hanno e di persone che lo impiegano per avere una visibilità che avevano un tempo ma che non hanno più. Questi ultimi mi fanno abbastanza tenerezza, perché se, per esempio, sei stato famoso ma devi organizzare una raccolta fondi per partire con un tour, forse avresti prima dovuto chiederti se quel tour interessa davvero. Altrimenti è come scrivere una letterina a Babbo Natale con la lista dei regali. Per gli artisti emergenti, invece, credo sia una buona cosa, una possibilità in più. I Social Network sono un passatempo e un bel mezzo di pubblicità. Se penso a com’era la situazione quindici anni fa, quando la band aveva a disposizione il suo solo sito internet e raggiungeva solo un pubblico limitato, oggi c’è molto più contatto diretto con le persone. Chi è in grado di utilizzare questi mezzi ne ha senza dubbio un bel rientro in termini di visibilità. Alla fine è un’abilità anche questa.
Stasera suonerete a Milano. Dopo tanti anni di carriera com’è il rapporto coi vostri fan? Cosa si aspettano da voi e voi da loro? Qualcosa è cambiato?
Nel live siamo cambiati sicuramente più noi che il pubblico. Nel 2000, quando sono entrato nella band, avevamo un atteggiamento che definirei più spirituale, silenzioso e concentrato e, forse, sul piano sonoro sentivo un po’ meno energia. Ma con il tour promozionale di Fuochi Fatui d’Artificio le cose sono cambiate. Nel disco usavamo una drum machine, quindi ci siamo sforzati nel live di creare quell’energia che nel disco c’era ed era contenuta nell’artificio. Negli ultimi dieci anni direi che siamo diventati più energici. Forse il pubblico si aspettava questa cosa da sempre al di là del fatto che venga a vedere un nostro concerto perché è già un fan e già ci conosce.
Per la presentazione del disco sono previsti anche set acustici. Si tratta di una necessità dettata dalla mancanza di location adatte all’elettrico o anche di una scelta stilistica?
Un po’ entrambe le cose. Vai in posti dove non è possibile suonare tutti insieme o in elettrico. Non sarebbe neanche bello. La dimensione della band tutta insieme è il palco. Nelle presentazioni in libreria, per esempio, ti adatti, e diventa un modo per sperimentare anche altro, presentare i brani nudi e lasciare anche la curiosità di venire a sentire un nostro concerto per scoprire come sono realmente.
Rockambula sta preparando la tradizionale classifica di fine anno. Ci saluteresti con la tua personale classifica?
Sarò sincero, durante quest’anno ho passato sei mesi in studio e mi sono davvero concentrato poco sulle nuove uscite, anche internazionali. Randon Access Memory dei Daft Punk, però mi ha colpito e sicuramente e ampiamente “Get Lucky” è miglior singolo dell’anno. Mi ha anche molto colpito Black City di Matthew Dear, un disco tutto fatto di sola voce elettronica e basso. L’ho scoperto quest’anno ma è più vecchio. Molto particolare, comunque, una bella novità per me.
Virginiana Miller – Venga il Regno
Ritornano i Virginiana Miller, ritorna il loro Rock, leggero nella forma ma denso nei contenuti, sbilenco, d’autore. Il nuovo lavoro si chiama Venga il Regno, e ci consegna una band con un’identità precisissima: una voce inconfondibile (quella di Simone Lenzi), sia nel senso più prosaico di espressione canora che in quello di visione poetica, e un sound accessibile, ma con soventi cambi di registro che aiutano a non bloccare l’ascolto ma a mantenerlo vivo.
Venga il Regno è fatto soprattutto da canzoni, belle canzoni: “Una Bella Giornata”, il singolo d’apertura, è il classico apripista, orecchiabile ma per niente stupido, con un preciso senso Pop e un bel tiro consistente (e un testo splendido: “È inutile / lo sai / restare lì nascosta / non è mai troppo presto / per rimettersi in piedi / e rialzare la testa / e se non è domenica / se non sarà più festa / andrà bene lo stesso / perché la vita ti vuole / perché ti vuole adesso / in questa bella giornata / l’aria è pulita / la strada asciutta / la pioggia goccia a goccia / è già caduta tutta”). Ci si scurisce un po’ in “Anni Di Piombo” (secondo singolo) anche se, forse, un po’ meno di quello che ci si aspetterebbe. I Virginiana Miller sono così, chiaroscuri: non sono fatti per vivere di estremi; vivono di spostamenti, di atmosfere, di metamorfosi. Hanno un sapore retrò, da film d’autore (e non sarà un caso il David di Donatello vinto con “Tutti i Santi Giorni”, canzone che dà il titolo all’omonimo film di Paolo Virzì, ispirato ad un romanzo dello stesso Lenzi). Sono crudi e dolci, sono schietti ed eleganti (vedi la commistione di sonorità morbide e testo tagliente di “Nel Recinto dei Cani”: “Venga il regno / e sia dei cani”). Sono spiazzanti: ti preparano alla lentezza e poi procedono per scatti (“La felicità è un dono / passa di mano / e poi si dimentica / raggio di sole / che illumina / si posa sui volti / la felicità è una cosa degli altri”, da “Due”).
Venga il Regno è un disco solido, in cui musiche e testi si attorcigliano e si inseguono, a volte si allontano, a volte combattono, ma sono sempre nel punto giusto, nella direzione che serve. Non troverete nei Virginiana Miller gli alfieri di chissà quale nuovo modo di intendere la musica, ma certamente si confermano dei capaci e affidabili “costruttori di canzoni”. Avercene.