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W-H-I-T-E – III

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Cory Thomas Hanson è l’artista e musicista di Los Angeles che si nasconde dietro il nome W-H-I-T-E. Già nel 2008, quando prendeva vita il suo percorso artistico, era chiaro che Hanson non avrebbe certo intrapreso la strada calma e pulita della melodia tradizionale e del cantautorato. Sceglie il nome d’arte W-H-I-T-E per esprimere fin da subito alcuni concetti fissi nella sua mente, per dare l’idea di quell’attrazione trascendentale che la luce bianca ha verso ogni creatura e la sua necessità di allietare e nello stesso tempo “bruciare” i sensi saranno una prerogativa di tutte le sue opere. I primi full lenght sono Sunna del 2009 e Twin Tigers di due anni più giovane. Dopo queste esperienze studio inizia una lunga traversata per il mondo, che lo porterà anche in Europa dove si esibirà con Mikal Cronin. Proprio durante queste scorrazzate soniche inizia a prendere vita III; W-H-I-T-E scrive e registra parzialmente i pezzi “on the road” (non vanno sottovalutate le soste parigine e il ritorno alla città natale) per quasi tre anni. III è una sorta di sunto, di raccolta di questo lungo tempo passato a registrare. Il risultato è qualcosa di prodigiosamente celestiale.

Se ”Intro” somiglia in modo imbarazzante al pezzo d’apertura di Palace degli Chapel Club non ci s’illuda e non si pensi che vi sia alcun tipo d’influenza Neo-Gaze. Ciò che accomuna III alla scena di cui fa parte la formazione britannica di Lewis Bowman e Michael Hibbert è solo una certa vena dreamy, celestiale, spirituale, incorporea. Un po’ la stessa che si respira in alcuni brani dei Radiohead (“I Wasn’t Afraid”), considerando anche che la voce di Cory Thomas Hanson, ricalca per timbrica la stessa proprio di Thom Yorke. Non mancano reminescenze di psichedelia sixties e folk barrettiano fatto di voci melodiose e note ossessive come incubi colorati e passaggi in cui il Dream-Pop acquista una vena bucolica (“Can’t Fight The Feeling”, “Friends”) e naturista. Nella seconda parte, prevale invece l’aspetto più duro, freddo e sintetico della proposta di W-H-I-T-E, che miscela le ritmiche tipiche dei Club anni ’90, il cantautorato statunitense di vecchia data e la storica scuola dei precursori dell’elettronica applicata alla New Age e all’Ambient (“Pretty Creatures”, “Lost”) con la musica cosmica in stile Tangerine Dream (“Deep Water”).

Assolutamente gradevoli anche i momenti più essenziali, legati indissolubilmente alla linea melodica e dalla forte ispirazione Radiohead dei momenti più intimi (“Demons”), cosi come riuscitissimo suona l’incontro tra psichedelia e Dream Pop in “Swim”. Nella parte conclusiva troviamo sperimentazioni che sembrano miscelare le basi irriverenti e Lo-Fi tanto care a Beck, altro genio di Los Angeles, con il Pop-Rock britannico (“Wet Jets”) mentre III si chiude con il pezzo più oscuro, freddo, ambiguo dell’opera di W-H-I-T-E, ricco com’è di ossessioni e speranza (“Building On”).

È lo stesso Cory Thomas Hanson a spiegare bene la sua opera. “Ho iniziato a scrivere con l’idea di John Lennon che fa una registrazione sulla luna con Cluster e Eno a fare da produttori. Il tutto remixato da Moby”. Io aggiungerei questo. Pensate a brani scritti da John Lennon, cantati da Thom Yorke e suonati dai Pink Floyd con i Tangerine Dream a gestire la parte sintetica, il tutto sotto la supervisione di Cluster ed Eno e mixato da Moby. Rende ancor meglio l’idea.

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Father Murphy – Anyway, Your Children Will Deny It (Remix Series)

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Siete riusciti ad ascoltare qualcosa di veramente figo in questo duemilatredici? È dura, lo so, l’anno non è iniziato nel migliore dei modi e neanche i ritorni di Yo La Tengo e My Bloody Valentine sono sembrati degni della nostra esaltazione. Ancor meno in terra italiana, dove piccoli accenni di entusiasmo (me escluso) si sono avuti con i nuovi lavori dei Bachi Da Pietra e dei Baustelle. Veramente poca roba. Tuttavia, solo qualche giorno fa, il quattro Febbraio, i pezzi di una delle più belle realtà italiane (sì, sono italiani), i Father Murphy, contenute nel loro ultimo lavoro Anyway Your Children Will Deny It, messi nelle mani di alcuni dei più grandi nomi della musica Psych-Noise (e non solo) internazionale, hanno visto la luce sotto forma di 7”+ 12” LP. È vero che l’idea di fare dei remix di album editi solo l’anno prima non è certo originale ed è anche vero che il risultato è spesso deludente (vedi i Battles, Gloss Dropp e i remix del 2012 di Dross Glopp). È anche vero che l’album originario dei Father Murphy del 2012 non era stato proprio il capolavoro di una carriera (a proposito vi consiglio piuttosto Six Musicians Getting Unknown e Brigadisco’s Cave #6) anche se per molti questa mia affermazione è una bestemmia. Vero tutto ma vero anche che il risultato che mi pulsa nelle orecchie è ancora meglio dell’originale. Non la penserà cosi chi avrà adorato Anyway Your Children Will Deny It ma come vi ho detto, non è il mio caso. Non v’incazzate, punti di vista.

Il gruppo trevigiano nasce nel 2001 e si sviluppa attorno al cuore composto dal trio Freddie Murphy (guitar, vocals), Chiara Lee (keyboards, vocals, percussion, bells) e Vittorio Demarin (drums, viola, vocals). Il disco da cui i remix prendono spunto, è il quinto lavoro sulla lunga distanza in dodici anni di produzione. Si tratta di un’opera che mescola avanguardie blues, sonorità oscure e agghiaccianti, Neo-Psychedelia, inserti vocali ed elettronici da far tremare l’anima, Folk, Post-Punk e Noise. Un sound assolutamente unico nel panorama tricolore e che ha reso i Father Murphy una di quelle band che fai fatica a renderti conto vivere nel tuo stesso paese. Sono molti i gruppi che scimmiottando le star britanniche giocano a fare gli stranieri ma in questo caso la realtà è ben diversa. I Father Murphy sono una band internazionale perché la loro musica non ha radici terrene.
Il 7” (Two Views) è composto da “His Face Showed No Distorsions” nelle mani degli Indian Jewelry, band che ammetto di apprezzare notevolmente (andate a ripescare i loro lavori e non ve ne pentirete). Un gruppo enorme proveniente da Houston, composto di un numero indefinito di elementi (ci saranno quattro batteristi, tre sassofonisti, diversi chitarristi e poi synth, rumori vari, percussioni, per un totale di membri che supera gli anni della band, nata nel 2001). Il secondo pezzo è “Diggin The Bottom Of The Follow” rielaborato dal francese Philippe Petit.
Il 12” (Heretical View) invece inizia con “How We Ended Up With Feelings Of Guilt” degli Happy New Year e quindi un’altra versione di “His Face Showed No Distorsions”, stavolta degli W.H.I.T.E. (che vi consiglio di cercare senza arrendervi). Segue “It Is Funny, It Is Restful, Both Came Quickly” dei Zulus e ancora “Diggin The Bottom Of The Follow” rivisitato dai danesi Thulebasen. Che cosa è cambiato fino a questo momento, rispetto all’opera madre? Certamente in ogni rielaborazione, i gruppi/artisti hanno messo un pezzo del proprio essere, senza limitarsi a un freddo remix. I brani non si sono certamente trasformati in pezzi da dancefloor, ma hanno acquistato ora pulsante ritmica ossessiva, ora rigonfiamenti lisergici. Diciamo che se l’opera dei Father Murphy è servita a dare conferma della loro grandezza senza aggiungere troppo alla loro proposta, questa diversa visione ci mostra l’inferno sonico dal punto di visto del Demonio e non del dannato. Nella seconda parte troviamo “In Praise Of Our Doubts” di Yvette e “Their Consciousness” di Noel V.Harmonson/Sic Alps. Avrete notato che molti dei partecipanti all’opera fanno parte della scena neo-psichedelica elettronica mondiale ed è proprio questo uno dei diversi punti di riferimento che possiamo trovare all’interno. Inoltre spesso si tratta di artisti non troppo noti al nostro pubblico ma la vera chicca viene con “In The Flood With The Flood” dei grandissimi Black Dice (chiarisco che anche con loro come altri nell’album i Father Murphy hanno condiviso il palco). Attivi dalla fine del millennio scorso, la band statunitense ha sempre proposto una musica dalle mille sfaccettature (cercate l’opera prima Beaches and Canyons), dall’elettronica sperimentale, al Noise, dalla psichedelia al Plunderphonics (genere che si basa sul collage di diverse fonti sonore, col quale si sono cimentati anche i The Residents). Anche in questo caso i Black Dice non si tirano certo indietro per rielaborare alla loro maniera il brano dei Father Murphy. Il disco si chiude con “Don’t Let Yourself Be Hurt This Time” rivisto in chiave EMA.

La musica dei Father Murphy è violenta ma non aggressiva, inquietante ed esoterica, precisa e deforme. Un continuo divenire tra industrial, psichedelia, neo-folk e tutto quanto ci sia di più lontano possibile dagli ascolti di uno spettatore italiano medio (non è un caso che abbiano firmato per l’etichetta statunitense Aagoo). Forse non vi ho detto tanto ma come la loro musica è avvolta in un oscuro mistero, voglio lasciarvi anch’io con la voglia di scoprire i pezzi, uno per volta, scovarne i demiurghi e i loro sofisticatori. Spogliarne i segreti e centellinare con stupore le differenti scie emozionali che vi lasceranno gli ascolti. Se si poteva aggiungere qualcosa, dare nuova linfa ai brani di Anyway, Your Children Will Deny It, aumentarne la potenza, questa è la reazione pragmatica.

 

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