Non sono proprio tra i più accaniti ammiratori dell’arte canora pura. Certo, non resto impassibile all’ascolto di esecutori capaci e incantevoli e ammetto che taluni timbri mi hanno fanno innamorare in un passato remoto ma anche, con meno enfasi, negli ultimi mesi. Il mio approccio alla musica non eleva la voce rispetto agli altri interpreti o meglio valuta in base al peso che la stessa ha all’interno delle canzoni e mi rende capace di apprezzare non solo e necessariamente tecnica e timbrica ma anche intensità emotiva, assonanza con il brano, rispetto degli obiettivi sostanziali ed emozionali. È questo modo di ascoltare che mi permette di seguire voci tanto distanti con la stessa gioia, con lo stesso entusiasmo, consapevole delle differenze di peso che le qualità canore dei diversi artisti possono avere nelle opere.
È per questo che riesco a sognare ascoltando Tim Buckley e piangere sotto le note sbilenche di Daniel Johnston; ed è per questo che non resto affascinato dai tre pezzi che compongono l’Ep Fluorescent Lights dei Midas Fall, che segue il secondo album Wilderness. Un lavoro che si presenta come Alt Post Progressive ma, nella realtà, si riduce a un esercizio di stile per i Midas Fall tutti e per la vocalist Elizabeth Heaton soprattutto. La musica non mostra alcuna variante rispetto alla proposta passata della band britannica, con qualche chitarra velatamente sferzante che si staglia su una sezione ritmica martellante e cenni di piano enfatici e il tutto si mette al servizio della voce della Heaton la quale certo non mancherà di trovare l’apprezzamento degli appassionati ma non entusiasma me per l’eccessiva banalità timbrica e una linearità e un’omologazione che non nobilitano le sue strofe rispetto a una qualsiasi interprete Pop, anche di casa nostra. Un Ep Rock come potrebbe esserlo quello di una cantante Pop italiana come Elisa, che si gioca il suo all in puntando quasi esclusivamente sulla voce ma torna a casa con le tasche vuote e qualche gadget di consolazione.