Ho sentito parlare di una creatura mitologica in grado di risorgere dalle proprie ceneri. Ecco la mia primissima impressione: i Disumana Res sono come la fenice, solo un po’ più industriale. La band nasce fra Roma e Bologna circa un ventennio fa, proponendo due demo tape per un totale di nove titoli a contenuto puramente metallico: Worms e September 1996 datate ben 1996. Il disco oggetto di analisi è dunque un mero pezzo di antiquariato, scritto e lavorato nel lontano 1998. Mai pubblicato. Trascorrono sedici lunghi anni ed il trio si affida all’abile mano di Nicola Manzan (Bologna Violenta), che, attraverso un mastering ben pensato, spolvera il disco, evitando di stravolgerlo completamente. Ne risulta così un album piuttosto pulito, che ben mantiene la linea impostata sedici anni fa. Ed è grazie a questo enorme supporto che il 24 marzo 2014 viene ufficialmente pubblicato l’album di esordio dei Disumana Res. Titolo? Semplicemente Disumana Res. Di voce e programmazione se ne occupa AB, mentre alla chitarra e al basso troviamo rispettivamente MC e RS. Ma veniamo al contenuto vero e proprio del lavoro.
Il disco apre con “War On Bodies”, breve, potente e…banale. Il classico giro “cattivo”, che stacca in modo rigido per riproporsi un numero di volte sufficiente a far entrare in scena la dura voce di AB, sulla quale (a parer mio) vanno spese almeno un paio di parole. Non che io sia un esperto al riguardo, ma negli anni ho accumulato un po’ di esperienza, degustando le più svariate vene Metal. Sin dal primo ascolto, non ho potuto fare a meno di notare una voce incredibilmente forzata, sporca, che a tratti sembra funzionare, ma che nel complesso non calza come dovrebbe. Grave punto di debolezza, considerando lo strumentale ben pensato ed abbastanza riuscito. Con l’amaro in bocca, si passa così all’ascolto della traccia numero due “Still”, che, fatta eccezione per l’intro che scorre perfetta, propone nuovamente un sound già conosciuto e assaporato. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque. Riff potenti, stacchi rigidi e voce sporca. Ed il gioco continua sino a naufragare e trovare appiglio in “Worms” (Track #5), che funge da muro separatore. Alle sue spalle troviamo la musica banale e statica, quanto pesante, di cui prima accennato, mentre al di là della quinta traccia si intravede uno spiraglio di speranza, che salva la band in calcio d’angolo. Finalmente, dunque, la mia testa inizia ad oscillare su e giù a seguire il ritmo pressante di una traccia che sembra sapere il fatto suo. La musica si elabora attraverso un utilizzo maggiormente sapiente della batteria elettronica, che sembrava appena considerata nella parte uno dell’album. Seguono così a ruota due pezzi di notevole spessore, quali “Return to Nothingness”, nel quale AB inizia finalmente a sfruttare la propria voce attraverso sapienti giochi e passaggi di stile e “Beyond the Fall”, in cui la musica prende il sopravvento e finalmente ci propone un sound degno di nota. Attraverso una “cassa” che rimbalza costantemente, lunghi e lenti giri di chitarra e bassi molto ben distorti, i Disumana Res riescono ad allestire un’atmosfera cupa al punto giusto, donando al disco un finale che sa quasi di rigore.
L’ascolto del disco, indubbiamente, rispolvera vecchi ricordi, portando alla mia mente sound di fine anni ‘80 quali Fear Factory ed addirittura Sepultura, ma rimaniamo ancora ben lontani dal poterci permettere paragoni in senso stretto. In sostanza, resto molto deluso. Un’attesa così lunga per ritrovarsi con un pugno di mosche fra le mani. Se avessi dovuto esprimere la mia riguardo la sola prima metà dell’album, avrei buttato giù un testo che avrebbe trovato la sua estrema sintesi in un 3/10. Tuttavia non posso non tener conto del disco nel suo complesso ed ammetto che i Disumana Res hanno ben sfruttato il rigore, spiazzando il portiere e guadagnando un paio di punti extra. Fallisce però (ahimè) l’obiettivo di raggiungere la sufficienza.