Teenage dirtbags: le playlist delle nostre adolescenze

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Un viaggio nei brani che ci hanno accompagnato da giovanissimi e che, in un modo o nell’altro, ci hanno plasmati.

Curiosi si nasce? In fatto di musica forse è così, o almeno è quello che ci è sembrato raccontandoci a vicenda da quale punto abbiamo iniziato ad esplorare questo mondo. Uno spazio così vasto che talvolta le traiettorie che si percorrono dall’adolescenza all’età adulta, alla scoperta di ciò che ci appaga davvero, possono rivelarsi tortuose e con esiti imprevedibili.

Nel capire dov’è che tutto ha avuto inizio, ognuno di noi ha provato a condensare la sua risposta in playlist di 10 brani. Le trovate qui insieme a qualche aneddoto sui ragazzini assetati di musica che siamo stati.
E voi che strada avete fatto per diventare gli ascoltatori che siete oggi?

DANIEL MOLINARI

Di cosa siamo fatti se non – anche – di dolci ricordi? Mi ricordo dei viaggi in auto con mamma e papà per andare al mare e della loro passione per i R.E.M. e la musicassetta di Green. Ma mi ricordo anche i loro sguardi terrorizzati perché a 9 anni decisi che era ora del mio primo CD, peccato che quel CD fosse Issues dei Korn, e di questo dovettero ringraziare MTV con il video di Falling Away From Me mandato on rotation a quantità industriali.

E, riscorrendo la mia playlist c’è anche tanta California, una terra che poi mi ha dato tanto, avendo avuto pure la fortuna di viverci, e non posso negare che la mia passione californiana derivi dai primi tonfi sugli skate ai tempi delle medie con i chorus iconici di Ixnay on the Hombre ohohohoho. E poi diciamocelo: per un ragazzino ribelle vedere quella croce cattolica sbarrata dei Bad Religion era troppo invitante, come lo erano il cappellino a visiera alzata di Cyco Mike o la mascotte nerdy di Milo.

Ma invitanti lo erano anche le urla di Chester Bennington che ammiravo nel DVD di Live in Texas e senza cui non avrei mai avuto il sesto senso di dover approfondire quell’urlato che poi ancora oggi mi guida nei miei ascolti principali. E se dal punk rock sono passato a ogni sottogenere esistente del punk quel “can I scream” di New Noise lo ricordo come una folgorazione sulla via per Damasco, con io che saltavo sui divani di casa: che pazienza che hanno avuto i miei genitori con il me teenager. Pure quando mi vedevano con magliette raffiguranti sedie elettriche (Ride the Lightning), Eddie dei Maiden e zombie post atomici (Municipal Waste) usciti dai film della Troma.

Ricordi, dicevamo, che però non sono sbiaditi come una vecchia fotografia, ma più vividi che mai.

GIANLUCA MARIAN

Ho passato l’infanzia tra il prog e l’hard rock di papà, dai Genesis ai Pink Floyd, dagli Uriah Heep ai Deep Purple, passando per lidi insoliti dagli Strawbs ai Kiss. Poi fu MTV alla fine degli anni ’90 e “Top of the Pops” il sabato pomeriggio, dopo catechismo, con mio fratello maggiore; abbiamo visto il Corgan-vampiro cantare Ava Adore e il primo autotune in Believe di Cher, il nu metal caciarone e il pop punk americano più solare.

Poi l’amore insano per i Queen e quello dolceamaro per i Nirvana, i capelli lunghi per sembrare misterioso e coprire l’acne, gli 883 per gli amici e gli Offlaga Disco Pax per riflettere, gli Arctic Monkeys e Andy Milonakis su FLUX (poi QOOB) e, prima dell’età della ragione, la cover band sgangherata dei Metallica.

Un flusso di cose più o meno casuali, quasi tutte passate, che mi hanno plasmato senza volerlo.

FRANCESCA PREVETTONI

Della Francesca teenager mi piace ricordare una folta chioma ribelle che all’occorrenza si trasformava in tendina per nascondersi dagli sguardi indiscreti nei corridoi della scuola; una carrellata di vestiti neri nell’armadio; e, ovviamente, una già smisurata passione per la musica. Con Green Day e Offspring rivendicavo fieramente la mia anima punk, mentre sul versante metal potrei mai dimenticare la mia fissa per gli Iron Maiden?

Attorno ai 14 anni, poi, grazie alle puntate di “MTV Brand:New” rigorosamente registrate su VHS e l’avanguardistico QOOB (se anche voi lo ricordate, siamo già amici), il mio immaginario inizia a trasformarsi. Paul Smith dei Maxïmo Park che spunta dalle cassettiere nel video di Apply Some Pressure e la meravigliosa Laura-Mary Carter dei Blood Red Shoes diventano improvvisamente i miei idoli, e anche il mio armadio inizia a tingersi di fluo in puro stile indie sleaze. Durante una calda estate passata a leggere riviste sotto l’ombrellone, la scoperta di Cure e Joy Division regala invece un senso al mio lato più tormentato e romantico, offrendomi una perfetta colonna sonora per abbandonare l’adolescenza e a malincuore tuffarmi nelle ancora sconosciute dinamiche dei giovani adulti.

Di tutto ciò, al di là del dolceamaro ricordo, sarà forse rimasto ben poco; spirito di ricerca ed entusiasmo, invece, sono ancora più vivi che mai anche nella mia attuale versione over 30.

SEBASTIANO ORGNACCO

Se sei cresciutə anche tu come adolescente nella provincia italiana all’inizio degli anni ‘00 avrai avuto probabilmente un problema chiamato internet: nel senso che potevi essere una di quelle persone fortunate con l’ADSL, oppure far parte della tribù dei Neanderthal che scrivevano le lettere a mano ed ascoltavano conversazioni su cose che non potevano comprendere. Anche l’accesso alla musica era legato a ciò, e se gli amichetti più scafati avevano uno “zio” che scaricava da Napster, eMule, Limewire, Torrent, noialtri provincialotti masterizzavamo i cd dei fratelli maggiori dei compagni di classe, o passavamo i pomeriggi davanti al televisore tra MTV e All Music.

Impossibile allora non avere un primo impatto con la musica forgiato da quei ruggenti anni 2004-2006, con Green Day, My Chemical Romance e Rock & Roll Queen dei Subways a creare un posticcio animo punk rock, che si sarebbe inspessito quando il buon Stefano mi avrebbe fatto ascoltare per la prima volta BYOB dei System Of A Down, aprendo la porta alla musica urlata (quella che pensavo ingenuamente sarebbero stati i satanissimi Iron Maiden). Poi via alle superiori, ma anche alla scoperta di musica nuova da riviste e libri: si va nel passato con la fase riccardona (Rush) e si indossano le prime camicie di flanella (Pearl Jam), mentre giocare a Fifa 06 mi fa scoprire i Bloc Party, aprendomi un mondo.

Un anno dopo su MTV passa il videoclip di Muori Delay dei Verdena, primo impatto (e che impatto) con la musica italiana dopo Vasco e Jovanotti ascoltati dai miei genitori, mentre i borghesi e cittadini nuovi compagni di classe, già temprati dalle conquiste della rete, mi fanno entrare in fissa con Rise Against e Ska-P. Saranno i tempi dei capelli colorati, delle spille sulle borse a tracolla, dei gruppi punk sconclusionati, ma saranno soprattutto le basi per la persona che sono oggi.

FEDERICO LONGONI

Sono da sempre convinto che gli ascolti che facciamo da ragazzini forgino poi i gusti musicali e anche il carattere di ognuno di noi. I pomeriggi passati dopo scuola a guardare MTV, a scambiarsi con gli amici i primi file audio (scaricati illegalmente con una connessione lentissima), o i cd masterizzati che ascoltavo durante il viaggio in corriera per andare a scuola la mattina presto. Sembra il medioevo, ma sono passati solo una ventina d’anni.

E dopo vent’anni, è grazie ai brani scelti in questa mia playlist che oggi ho una veduta musicale ampia, che ho ancora voglia di scoprire band e musica sempre nuova. Ed è grazie a quei brani che oggi apprezzo generi più violenti, ma anche l’indie e l’elettronica. La curiosità nel trovare nuovi stimoli musicali che avevo allora è rimasta immutata, anche ora che ho il doppio degli anni di allora. E questo non cambierà mai.

PAOLA SIMEONE

Il metal e la provincia italiana dei primi anni 2000 hanno vissuto questo legame indissolubile di cui sono stata testimone. Due entità che riuscivano ad incontrarsi tra cinismo, disilussione e ribellione. A 14 anni ero una di quelle ragazze perennemente vestite di nero, con gli occhi bistrati ed un’insofferenza verso quella piccola realtà che mi aveva trascinata a scoprire la scena black norvegese.

Perché va detto c’è metal e metal, un po’ come Aleister Crowley (di cui mi professavo fan) avrebbe detto nel suo Liber AL vel Legis: “c’è amore e amore”. L’unica scena metal che seguivo era quella del black norvegese. In particolare la mia ammirazione era rivolta verso la musica di un certo Burzum – al secolo Varg Vikernes. Ricordo di aver consumato Hvis Lyset Tar Oss durante interi pomeriggi di letture di Bram Stoker, H. P. Lovecraft e Isabella Santacroce. Un suono freddo, brutale e senza appello, come la noia della provincia.

Qualche anno dopo però i Carpathian Forest, i Dimmu Borgir e tutta questa compagnia truculenta inizia a starmi stretta ed è lì che come una folgorazione arriva la new wave. Una luce si apre su un live dell’82 al Royal Albert Hall di Londra e su tutta la scena new wave inglese dai Siouxsie and The Banshees (a cui rubo anche il nome in quegli anni!) ai Joy Division e ai Bauhaus, ma anche sulla scena goth californiana dei Christian Death. Inizia così una ricerca serrata di fonti musicali oscure che oscilla tra la dark wave dei Sopor Aeternus & The Ensemble of Shadows e il goth/industrial dei London After Midnight. Le t-shirt metal vengono rimpiazzate da lunghi abiti vittoriani, pizzi e ricami e i miei idoli diventano Rozz Williams e Anna-Varney Cantodea.

Poi all’improvviso una luce più forte, quella dell’amore, mi fa scoprire i Libertines e con loro tutta la scena indie del Regno Unito che impazzava in quegli anni. Non ero pronta, né all’indie né all’amore, ma mi lanciai in quell’avventura di Albione fatta di poesie di Wordsworth e di Siegfried Sassoon che demolirono quell’aria da ragazza inavvicinabile e mi regalarono tantissimi ascolti (la scena no-wave e i Sonic Youth erano lì ad attendermi!) che ad oggi fanno parte del mio personalissimo mosaico musicale.

FEDERICA FINOCCHI

Il pupazzo dagli occhi di ghiaccio, ferito ad uno zigomo, che fa il labiale alla voce di Paul Banks degli Interpol nel singolo Evil, è uno dei simboli chiave della mia infanzia/prima adolescenza. La band l’avrei approfondita sul serio soltanto dopo, ma ricordo perfettamente le serate passate davanti a YouTube quando mettevo play a tutta una serie di videoclip, tra cui questo e quello di Banquet dei Bloc Party, perché il brano di questi ultimi mi rapiva, mi consolava, mi agitava, e io mi sentivo al settimo cielo per aver scoperto qualcosa che al primo anno di liceo (molto dopo l’uscita dei due brani citati) nella mia scuola ascoltavo praticamente solo io.

Uno dei miei primi colpi di fulmine, però, sono state le sensuali movenze e i colori autunnali di Josh Homme in No One Knows – io ho scelto Go With The Flow, perché sì – che passava in rotazione su MTV. Ecco, la mia infanzia e prima adolescenza l’ho passata su quel canale e ad oggi posso affermare a gran voce di essere stata molto privilegiata quando, tornando a casa da scuola, riuscivo a sintonizzarmi su quello che all’epoca era il canale 8 – se sbaglio numero mi perdonerete – e innamorarmi per la prima volta di una Londra attraversata allegramente a piedi da Pete Doherty con i suoi Libertines sulle note di Can’t Stand Me Now.

Sognavo di andare una domenica a pranzo dai No Doubt, che nel videoclip di Sunday Morning suonano, mangiano e si divertono parecchio. Con un loro invito avrei rivalutato le millemila domeniche passate a casa a far finta di studiare (opss) quando tutto ciò che volevo era imparare coreografie di pezzi pop, e quale miglior insegnante se non Britney Spears? La mia prima musicassetta, il mio primo CD, il mio primo poster, la prima popstar che di lì a poco mi avrebbe portato a seguire attraverso la TV e internet ogni sua mossa, ogni gossip, ogni nuova uscita, ogni performance, e il fatto che io a 8 anni ricordassi a memoria i passi di I’m a Slave 4 u (ignorando il significato del testo ma cantando lo stesso le parole) mi faceva sperare di diventare un giorno membro di una girl band, magari aggiungendomi al trio delle favolose Sugababes.

Oppure no, io volevo essere Shirley Manson. Volevo avere il suo corpo, i suoi capelli, il suo viso tanto particolare quanto indimenticabile. Volevo cantare sotto la pioggia e urlare a squarciagola, proprio come Shirley faceva con i suoi Garbage. Potevano mai coesistere le Sugababes e i Garbage? Ma certo che sì. Allo stesso modo potevano coesistere, nel mio magico mondo, un Alex Turner solista che canta di amore, disillusioni, speranze e romanticherie varie, con il grido esagitato e puro di Chester Bennington. I Linkin Park sono stati la prima fiamma ad accendere il mio reale interesse verso tutto ciò che non era pop. A 7 anni mi trovavo di fronte a qualcosa di intenso, qualcosa che sapevo mi avrebbe accompagnato per un po’.

E così è stato, finché la mia giovane curiosità non mi ha spinta a scoprire nuovi universi sonori. Senza questi 10 brani – comunque troppo pochi – non sarei ciò che sono ora, ossia un’inguaribile nostalgica immersa nel disagio.

DARIO DAMICO

Ci sono suggestioni di misteriose terre lontane che scorrevano nella mente coi ritmi di Manu Chao. Ci sono isole di Smeraldo disegnate con la matita degli U2 e colorate con la magnetica voce di Dolores O’Riordan, quando ancora il concetto di viaggiare era piuttosto inesplorato e più una questione di fantasia. C’è la tanto chiacchierata America, i racconti di parenti emigrati che assumevano allo stesso tempo la forma dei versi di Springsteen e le contraddizioni di Tex.

C’è la prima traumatica visione di “Trainspotting” e quel “drive boy, dive boy, dirty numb angel boy, in the doorway boy” che risuonava oscuro quando la testa si appoggiava sul cuscino. Ci sono pomeriggi interi a giocare a Fifa ’98, sempre quello, anche quando uscirono le edizioni successive del gioco; e Song 2 accompagnava ogni attenta scelta di formazione. C’è ancora il calcio, nelle immagini di “Febbre a 90°” e la scena di Paul bambino che usciva da casa con la sciarpa e Baba O’Riley in sottofondo. Ci sono i primi amori tristi e primi amori felici; nell’intimità assomigliavano al sentimento che mi suscitava ascoltare Alanis Morrissette.

C’è poi quel ponte verso un altro tipo di musica e verso ascolti meno legati al caso: l’avvento degli Arcade Fire, i forum musicali di cui ti fidavi ciecamente che li benedicevano album dopo album, Funeral, Neon Bible, The Suburbs e tutte quelle cose di fine anni Duemila che offrirono uno spazio per uno sguardo nuovo, per una curiosità meno adolescente e più adulta.

A rifletterci bene ci si accorge come, fino a un certo punto della vita che non coincide mai con un’età anagrafica ben definita, gli ascolti sono spesso solo figli delle situazioni in cui ci si ritrova, della necessità di starci bene, del desiderio di fuggire da esse o anche entrambe le cose. È necessario sviluppare poi una determinata umana sensibilità per parlare di gusti e scelte musicali con cognizione di causa; una sensibilità che comunque rimane sempre in evoluzione. E questo, in fondo, è davvero molto bello.

MARIA PIA DIODATI

“Love, love is a verb, love is a doing word”: nonostante la meticolosa opera di traduzione fatta con il vocabolario di scuola, mi restava più di un dubbio sul senso esatto delle parole di Teardrop, e quel feto che le cantava galleggiando nel liquido amniotico contribuiva a rendere il tutto estremamente straniante. Non ci capivo nulla, ma era tutto bellissimo, e il fatto che non ci capissi nulla era una fetta consistente del fascino che i Massive Attack esercitarono all’istante sulla me quattordicenne.

Non è un caso se molti dei dieci brani che ho scelto per dipingere l’adolescente che sono stata sono contenuti in album usciti tra il 1997 e l’anno successivo. Anche molti dei miei colleghi attribuiscono un ruolo a MTV nell’aver plasmato i propri ascolti, ma per me che ho qualche anno più di loro il suo arrivo sui palinsesti italiani è stato il vero punto di svolta. Prima di allora, senza aver avuto alcun mentore a somministrarmi novità e pietre miliari, andavo avanti a pane e “Cioè”, e la musica internazionale era una carrellata di boy band di cui avevo i poster appesi in cameretta. Unica eccezione: Dangerous di Micheal Jackson, di cui avevo trovato la musicassetta in Autogrill – perché l’altro grosso ostacolo che si frapponeva tra me e la scoperta di nuova musica era il fatto che in paese non esistessero negozi di dischi – dopo averlo scoperto grazie al mio eccentrico insegnante di danza moderna, che metteva sempre Remember The Time per farci fare i plié di riscaldamento – perché anche se non lo sapevo io un mentore lo cercavo ovunque e disperatamente.

Per fortuna MTV mi ha aiutata a fare tutto da sola, partendo dai brani pubblicati in quegli anni e dandomi lo stimolo per andare a ritroso nelle discografie e nei generi. Al netto della consapevolezza che è arrivata col tempo, gli album da portare con sé sulla famosa isola deserta per me restano quelli che ho amato d’istinto, quando ero ancora una tabula rasa, eletti nel giro di una manciata di minuti di videoclip.

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Last modified: 23 Ottobre 2024