Lo-Fi folk al servizio della più profonda tristezza.
[ 04.10.2020 | D’Anjou Records | lo-fi, cantautorato, folk ]
Se l’esordio di una band rappresenta tutto ciò che delle anime hanno accumulato da dire nella loro vita e il secondo album è la cosa più difficile da mettere in piedi, cosa rappresenta il terzo?
Nel caso di Alexander Mikel – nato a Columbia, United States ovviamente, ora stabilmente a Dayton – è molto semplicemente il punto più alto, almeno nella forma, di una carriera iniziata pochissimi anni fa e che lo ha visto esordire sulla lunga distanza a nome The Lanterns con The Moon & the Yew Tree. Un artista che ha fatto della sua musica la sua vita, del folk e del country un ideale, il sogno di allontanarsi dal mondo caotico della città per abbracciare la ruralità e la natura.
Tutto questo fa di The Lanterns un cantautore onesto, che canta e racconta esattamente ciò che è la sua vita. Per farlo, sceglie un linguaggio molto caro ai musicisti statunitensi, country, folk, americana, con cenni di psichedelia e registrazioni lo-fi ad acuire proprio l’aspetto spontaneo della sua opera. Un linguaggio che Alexander Mikel mastica, assimila e sputa nelle sue sembianze più pessimistiche e malinconiche, pur se con maggiore equilibrio rispetto al passato.
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Un album sincero, dicevamo, e la sincerità in questo caso è fatta di tanti sentimenti negativi, di tristezza, nostalgia, di brutti momenti che ognuno di noi si trova a rivivere nei suoi ricordi. Canzoni dolorose, se vogliamo, e che nelle sue forme più rumorose, somigliano a un tormento che fa male ma possiamo sconfiggere. Ciò che non deve suggerire tutto questo, è un disco languido, patetico e noioso, perché tra le undici canzoni di Pointless & the Moon Is Cracking ci sono alcune delle cose più incantevoli e trascinanti ascoltate lo scorso anno anno ma, soprattutto, a differenza del precedente omonimo, non siamo più davanti a punti altissimi (vedi Pulled Out by the Ocean) intervallati da brani anonimi, ma ognuno dei circa cinquantadue minuti è pervaso di pura bellezza, senza alcun calo di tensione.
Si parte dall’opening Kissing Apples in cui lo stile già raccontato di The Lanterns incontra i più intimi Neutral Milk Hotel e Daniel Johnston e si continua con perle sognanti come I Love You, Moon, e la tristezza profonda di Bear Creek fino al finale in cui sembra prevalere una voglia di reagire a tutto il male che la vita ci ha riservato quasi come dei meno cazzoni Wave Pictures.
Finito l’ennesimo ascolto, non è semplice confermare quanto detto all’inizio, se sia davvero questo l’apice della carriera di The Lanterns. Di certo è il disco in cui il sound somiglia più a quello di una band vera e propria: probabilmente mancano le canzoni gigantesche ascoltate negli anni scorsi e si ha anche l’idea che l’apice possa ancora essere nascosto nel futuro. Il maggior bilanciamento cui abbiamo accennato in precedenza aiuta la scorrevolezza dei brani ma nello stesso tempo toglie tanta energia.
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Ora che ricomincia l’ascolto da capo, ancora una volta, tutto è più chiaro. È lui stesso a definirsi in alcune delle sue cose precedenti come un Mount Erie di merda ma ora Alex è davvero se stesso e il suo disco è un inno all’amore perduto e alla fede ritrovata. “Un album su Cristo, i sogni, gli amici, i falò al chiaro di luna, le visioni allucinatorie e la desolazione di una piccola città”, come dice lui stesso.
Se le migliori singole canzoni dobbiamo andarle a pescare nei due lavori precedenti, qui Alexander Mikel, insieme ai membri del collettivo D’Anjou, dimostra di sapere finalmente come mettere in musica ciò che passa per la sua testa e il suo cuore. Quindi, non ci resta che aspettare: il meglio deve ancora venire.
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Last modified: 30 Marzo 2021