Transition, le acide mutazioni no-jazz dei TV Dust

Written by Recensioni

La band milanese apre ufficialmente le danze della propria carriera con un esordio pulsante, mutaforme, ipnotico e irrequieto.
[ 24.01.2025 | Maple Death | post-punk, no-jazz, no wave, experimental ]

Penso di parlare a nome di una cospicua maggioranza quando affermo che, una volta valicata la soglia di casa Maple Death Records, difficilmente si resta delusi.

L’etichetta fondata da James Jonathan Clancy, di base a Bologna, scova instancabilmente ormai da più un decennio numerosi talenti nei meandri più disparati dell’underground: da Mai Mai Mai ai Qlowski, passando per SabaSaba e Trans Upper Egypt, solo per citare alcuni fra i recenti preferiti di chi scrive.

Il 2025 di Maple Death inizia ufficialmente col botto con l’album d’esordio dei TV Dust, Transition: un titolo che, in una sola parola, ci racconta qualcosa sul debutto di questa band milanese.

Facendo seguito ad una serie di quattro EP – ben orientati su coordinate post-punk, kraut e no wave -pubblicati fra il 2018 e il 2021, un cambio di formazione segna il passaggio ad un livello successivo, per una vera e propria transizione: l’uso della voce viene sostituito da una new entry addetta a sax e sintetizzatori, Gaetano Pappalardo, che fa il suo ingresso nel collettivo unendosi ai già presenti Sergio Tringali (batteria) e Filippo Aloisi (basso).
Un album pertanto testimone di una svolta tutto sommato coerente, ma decisa e con le idee ben chiare.

Evocativi e cinematografici.

Nel suono dei TV Dust restano in sottofondo le influenze oblique del compianto James Chance e dei suoi Contortions, ma entrano in gioco nuovi elementi. Giusto per farvi un’idea, immaginate una creatura ibrida fra i primi Melt Yourself Down e i nostrani Calibro 35, con l’arguzia del funk, uno sfacciato approccio no-jazz e l’urgenza di un punk nudo e crudo, suonato a rotta di collo.

Le dovute presentazioni sono affidate ad una title track frenetica e inquieta che ricorda a tratti le divagazioni più psych degli eclettici Osees, sostenuta da un basso grezzo e incalzante. Una traccia di sei minuti che imprevedibilmente si trasforma e cambia umore, mostrandoci anche il lato più ipnotico e improvvisato del trio.
Le undici tracce che compongono l’album sembrano seguire un unico filo conduttore, evocativo e cinematografico: una composizione così scorrevole e compatta da suonare come se fosse stata appositamente ideata per un’unica colonna sonora.

La successiva Last Call, che ammalia con melodie orientaleggianti e inserti prog, potrebbe essere una perfetta soundtrack per un poliziesco retrò – da qui l’aggancio ai già citati Calibro 35, la cui presenza è forte più che mai anche nel groove senza tregua di Smelly Floor.

Una sorta di fotosintesi sonora.

È con le sfuriate controllate di Why Spuzz Out e il complesso, ridondante sax di Ivory che si inizia ad approfondire la confidenza con il sound del trio, entrando nel cuore vivo e pulsante dell’album: un cuore distorto e non convenzionale come un volto tratteggiato da Picasso, in cui canoni e proporzioni sono ribaltati e riformulati all’insegna di una totale libertà di forma.

Un’unica anima che racchiude al suo interno acide mutazioni, passaggi lisergici e ritmiche più dritte e semplici, in cui ogni diversa idea, anche quella apparentemente meno coerente, trova il suo giusto spazio e momento – si prendano ad esempio le frenetiche percussioni math rock di Lila, o le rumoristiche sperimentazioni della caotica e irresistibile Volcanic Collapse, frammentata come una radio mal sintonizzata.

Catturando ispirazioni da presente e passato e trasformandole in pezzi unici e creativi, puntando ad un’identità ben definita che permetta loro di uscire dai nostri ristretti confini, i TV Dust compiono una perfetta fotosintesi clorofilliana: l’astratta immagine in copertina è più verde che mai, le nostre speranze per il loro futuro non sono da meno.

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Last modified: 21 Gennaio 2025