Con questo debutto, il quintetto di Leeds dimostra di voler puntare in alto, perfezionando e migliorando i propri obiettivi.
[ 07.07.2023 | post-punk, art punk | Clue Records ]
“What’s your natural habitat?”.
È questa la domanda che i Treeboy & Arc hanno voluto porre ai propri follower in una serie di post sulla loro pagina Instagram, qualche settimana prima dell’uscita del loro LP di esordio, intitolato, appunto, Natural Habitat.
Quando rifletto su quale possa essere il mio caratteristico habitat naturale, c’è un’immagine ben precisa che inizia a farsi nitida nella mia mente.
Un locale di periferia piccolino e sgangherato, magari un po’ disorganizzato ma accogliente. Qualche amico (pochi ma buoni, per dirla in maniera classica). Un paio di birrette. E ovviamente un concerto a cui assistere!
Non è difficile invece pensare a quale possa essere la dimensione sonora naturale del quintetto proveniente da Leeds.
Spoiler: siamo dalle parti del post-punk, respirato a pieni polmoni e vissuto in prima persona in quell’angolo di Inghilterra che ne è proprio la culla e che continua ancora oggi a rappresentare una fucina di talenti non indifferente.
Il debutto della band britannica arriva dopo una lunga serie di vicissitudini: qualche pezzo autoprodotto, un singolo (Concept, datato 2019), pubblicato sotto l’ala protettrice di Dan Carey e della sua etichetta di culto Speedy Wunderground, e un EP, Life Preserver, uscito nel 2021.
Un percorso tutt’altro che lineare: la prima versione di Natural Habitat era stata in origine scartata, nell’ottica di una rielaborazione con una maggior attenzione alla sperimentazione in studio, affinando gli arrangiamenti, raccogliendo idee per nuovi pezzi e rivisitando quelli già rodati.
La produzione, affidata a Matt Peel (che nel proprio curriculum vanta collaborazioni di tutto rispetto, vedi TRAAMS, Eagulls e Pulled Apart By Horses), ha contribuito a mettere in luce l’individualità di questa prima opera estremamente ambiziosa.
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Già ad una rapida impressione iniziale risalta il meticoloso lavoro messo in pratica su sound e scrittura: suoni scuri, caustici, curati nei minimi particolari, accompagnati da testi originali e irresistibilmente enigmatici che volteggiano in un’ampia sfera di emozioni.
Midnight Mass, meravigliosa traccia d’apertura, è un biglietto da visita magistralmente confezionato: il frenetico spoken word di Ben Morgan si districa fra i synth iniziali e termina la sua corsa sfogandosi su un tappeto sonoro cupo, teso e travolgente.
I nove brani del disco giocano piacevolmente con influenze di diversa matrice, senza alterarne negativamente la compattezza e la struttura.
Chitarre e ritmiche si incastrano come i blocchi di un Tetris, alternandosi fra le geometrie art rock dei Talking Heads e la corrosività creativa degli Wire: ne sono esempi lampanti i singoli Retirement e False Objects.
Le linee di basso pulsanti di James Kay guidano la nervosa Virtual Reality Check, che strizza l’occhio all’urgenza dei Gang of Four, mentre la successiva doppietta Box Of Frogs/Human Catastrophe gioca a creare e deflagrare melodie riprendendo l’attitudine detonante dei più recenti shame.
Le atmosfere più dark sono concentrate nell’ultima parte dell’opera.
Behind The Curtain è senza dubbio l’episodio più tetro, con un testo che viaggia di pari passo con l’intensità scura e frenetica del brano: una canzone che narra di morte, malattia e fragilità e che si addice perfettamente all’umore nero e pessimista del suo crescendo ansiogeno, che disorienta e toglie il fiato.
Winter Of Existence, incastrata in un riff ipnotico e ronzante, trova via d’uscita ed esplode sul finale in un ultimo, convulso minuto, riassumendo l’essenza dell’intero album: veloce come un lampo ma al tempo stesso incisivo, ermetico, ricco di personalità.
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Nulla di nuovo, si potrà obiettare dopo qualche ascolto, e con tutte le ragioni del caso.
D’altra parte, è pur sempre rassicurante imbattersi in un disco nuovo di zecca che abbia il potere di farci sentire a casa, di confortarci con atmosfere familiari alle quali siamo indissolubilmente legati e affezionati, di evocare ricordi più o meno lontani.
A tutto ciò sommiamo il valore aggiunto apportato da una formazione che non sembra temere la numerosa concorrenza e che dimostra di voler puntare in alto, perfezionando e migliorando i propri obiettivi, con un ottimo potenziale di crescita.
Se tutto quel che transita sotto l’abusata e scomoda etichetta di “post-punk” rientra nella vostra dimensione più affine, quindi, possiamo dirlo a gran voce: benvenuti nel vostro habitat naturale.
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Last modified: 2 Settembre 2023