Trentemøller torna nella Capitale con il suo “Fixion Tour”. Ad accoglierlo il pubblico delle grandi occasioni della musica elettronica: Sasu Ripatti detto anche Vladislav Delay ma anche Luomo e anche Uusitalo ancora Conoco così come Sistol finanche Bright People, per brevità un dj finlandese.
(foto di Beatrice Ciuca)
A seguire: ragazzini scappati di casa, raverini, rispettabilissimi signori adulti che hanno appena staccato da lavoro e si ostinano a chiedere l’orario della fine dell’evento, discotecari col bomber, resti umani rimasti allo Spazio Novecento dall’ultimo evento, coppie che escono insieme e vanno ai concerti tenendosi strette, lui le ha fatto conoscere il gruppo ed essendo più alto l’abbraccia da dietro sicuri del fatto che Trent sia brutto come la pizza fredda e la birra calda e pertanto la tipa non potrebbe mai innamorarsene e, in ultimo, gli ultimi: i tipi appena mollati dalla tipa.
Il danese, per disturbare come le mutande che ti si infilano nelle chiappe quando porti la tuta da sci e i guanti, sceglie non solo una sera feriale, ma anche il giorno di San Valentino. Fortunatamente poi ci siamo noi, quelli che di pomice vedono solo la pietra per limarsi i duroni dei piedi, che ci accalchiamo in prima fila già dalle 21. Ad aprire le danze, un letterale Tom and His Computer, che per un tre quarti d’ora delizia i presenti con sudore, birra, synth e attacchi ignoranti. Intorno alle 22.30, dopo un rapido cambio palco si palesa in tutto il suo nordico splendore Trentemøller, indossando una stilosissima maglietta dei Bauhaus.
Giusto perché i presenti non sono già abbastanza in adorazione, si parte a bomba con “November”. Dopo aver ascoltato dal vivo i Massive Attack pensavo non potesse esserci niente di meglio in ambito elettronico. Poi è arrivato Woodkid. Poi Slow Magic. Poi Bonobo. Poi Apparat e il suo progetto parallelo Moderat. Ma penso che sia Trentemøller il punto d’arrivo e di partenza di tutto. Durante il suo live avverto tracce dei primi Cure, Slowdive, New Order e My Bloody Valentine. Il più esaltato della festa sembra essere proprio lui, che incita continuamente i suoi fan a battere le mani e a fare caciara. Si arrampica sulle casse, scende tra i presenti con le sue percussioni a mano e sorride tra l’ammiccamento e l’alcolismo incipiente. Ad accompagnare tutto il concerto la voce di Marie Fisker, per la quale il musicista nutre una sorta di stima al limite del reverenziale. Fixion, ultima fatica in studio, viene eseguito per intero ma “One Eye Open”, “River in Me” e “My Convinction” sembrano essere solo il preambolo dei tanto attesi pezzi di chiusura: “Shades of Marble”, già colonna sonora dell’almodovariano ‘La Piel Que Habito’, “Miss You” (nota ai più per il mix di “Teardrop” con i già citati Massive Attack) e di nuovo una canzone pescata dal primo album, “Moan”, relegata al ruolo di chiusura della serata. Esperienza breve ma intensa, a mezzanotte si accendono le luci in sala per un triste ritorno alla realtà. Il live di Trentemøller non è semplice musica ma un’esperienza da gustare fino in fondo, le casse altezza uomo che ti spingono a ballare, le luci sempre basse o quasi del tutto assenti ti costringono a concentrarti più sui suoni che su quello che avviene sul palco, poche chiacchiere e tecnica da vendere. Se solo non fossi ancora audiolesa, è uno di quei live che mi andrei a ricercare su youtube nella speranza di ritrovare qualche ripresa abusiva. Il pezzo che apre il suo primo album, “Take me into your skin”, all’epoca suonava quasi come una supplica. A distanza di oltre dieci anni il responso è “sì, ce l’hai fatta”.
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Last modified: 15 Marzo 2019