La voglia di sfondare “altrove” spinge la band di Kyoto verso un sound “buono per tutti”.
[ 29.01.2020 | Cutting Edge | math, j-pop, power pop ]
All’inizio dello scorso anno la giovanissima formazione “girl power” di Kyoto è arrivata al quarto album (ne avrebbero pubblicato un quinto a ottobre) forte di lavori precedenti che già avevano trovato l’apprezzamento dei cultori del genere: quale genere è tutto da capire, perché pur essendo spesso infilati nel filone math rock, gli elementi di questo stile sono ridotti al minimo indispensabile, e i tricot sembrano, soprattutto in questo Makkuro, scegliere una strada più semplice e lineare.
Dunque, tanta melodia nelle corde vocali di Ikkyu Nakajima almeno tanta quanta la potenza sprigionata dalle chitarre elettriche e dalla sezione ritmica. Robustezza che mai mette in secondo piano la voce come nella migliore tradizione power pop. A tutto questo si aggiunge una buona dose di elementi propri del j-pop e quindi non solo una delicatissima voce femminile ma anche un’attenzione ricercata alla tecnica (del resto il progressive è profondamente legato alla cultura j-pop) e un insieme che suona agrodolce, a tratti anche funky come in 低速道路 , traccia numero sei.
Non pensate però a un disco troppo soft, immaginate dei Mew – ricordate la band dream pop danese? – meno esaltati: perché quando i tricot si mettono a spingere e inseguire freneticamente tempi insoliti sembra di stare di fronte a qualche cazzutissima band math-core di quest’altro lato del mondo con l’unica pecca, peculiarità o fortuna, a seconda di quanto sopportate certo “frastuono”, che non dura mai più del tempo necessario per rendersene conto.
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Con Makkuro, i tricot si propongono di fare quello che non riesce troppo spesso alle infinite band che solcano gli stessi stili in terra natia: andare oltre i confini nipponici e affermarsi, nonostante la lingua madre, su mercati e pubblici diversi, europeo e americano. Probabilmente i tricot non sarebbero neanche i più interessanti, per chi ha vastità di ascolto e voglia di osare, tra le band math del Giappone semplicemente perché questa apparente e non troppo nascosta voglia di sfondare “altrove” li spinge a mantenere sempre un sound che possiamo definire “buono per tutti”.
Insomma, potrebbero ma non osano, quasi consapevoli che azzardare sarebbe capace di dar loro un posto importante nel panorama rock underground nazionale ma chiudergli le porte della strada che bramano. I tricot sono ambiziosi, com’è giusto che siano, e la speranza è che l’ambizione possa bruciare così tanto da fargli spuntare le ali sul petto.
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Last modified: 16 Marzo 2021