Due scimmie impazzite si nascondono dietro questo progetto elettronico spiazzante, irrazionale, folle che risponde al nome Twomonkeys. I fratelli Bornati di Brescia “cresciuti tra Berlino e Amsterdam” scelgono la strada dell’Elettronica “nuova” ma con la memoria ben salda agli anni d’oro del Post Punk e della No-Wave, il tutto sotto la guida attenta e la produzione di Asso Stefana (Guano Padano, Vinicio Capossela, Mike Patton). Preferiscono l’elettronica per raccontare un mondo allucinato attraverso le sue pulsioni, ma si discostano da quella più classica e danzereccia, scegliendone gli aspetti deliranti e caotici. Sperimentazione che in realtà non osa troppo, andando invece a compiere un lavoro certosino di ricerca dentro gli stili del genere, scegliendo le ritmiche e i suoni più adatti a rendere esattamente quello che il duo voleva e cioè un sound potente, ritmato, ossessivo e cupo senza le melodie e la strumentazione di Indie e Folktronica e neanche le ammiccanti e intelligenti note dell’IDM. La struttura portante è invece il Post Punk e il suo carattere decadente e quindi il Punk stesso mentre tutt’intorno ruota una serie di suoni che avvicina il duo ora alle strade della psichedelia, ora alle ritmiche geometrie del Math Rock, pur senza ricalcarne la smaniosa perfezione e l’uso smodato di tempi dispari.
La cosa che più sorprende di quest’album d’esordio è la varietà di stili che viene presentata senza tuttavia suonare mai confusionario e privo di una visione precisa. Tanta mercanzia che insieme restituisce precisamente l’idea di un’entità unica. Tutti i brani sono infarciti di un misto di giocosità infantile, surreale, onirica e macabra (“Melodrama”) che, talvolta, suona fortemente Jazz Club (“Moon”, “Psycho”). Sempre presente inoltre una maniacalità matematica in stile Battles, parallelismi rafforzati dall’uso della voce carica di effetti (“Psycho”), cosi come suonano evidenti alcuni rimandi al mondo Industrial teutonico e britannico anni 70, essenziale, cadenzato e ripetitivo (“Marshmellow”) o al Punk Rock frenetico di natura “Blitzgrieg Bop”, sapientemente miscelato alle ritmiche Drum’n Bass (“Fuckfolk”); oppure ancora alla No Wave e il Post Punk più oscuro (“Crazy Drive”). Pochissime sono le tracce che richiamino in qualche modo alle moderne ovvietà dell’Indie Rock classico o del Folk Rock e Garage Revival (“More Space”) mentre più evidenti sono le attinenze con l’Electro Post Rock e la Glitch Music dei Matmos (“Crazy Drive”, “Cry”), maestri indiscussi della manipolazione sonora, e certamente non può essere tralasciato il paragone con la band sperimentale di Baltimora che risponde al nome di Animal Collective (“Refrain”, “She Knows”, “Sacrifice”) formazione in continua evoluzione tra le cui fila milita un certo Panda Bear e che ha fatto della varietà della sua proposta, sempre diversa ma sempre riconoscibilissima da un album all’altro, la sua caratteristica primaria.
Proprio gli Animal Collective possono essere visti come il miglior metro di paragone per i Twomonkeys che sono riusciti a rubare (con successo) quella capacità di suonare sperimentali senza doversi troppo allontanare dalle origini, di esprimere messaggi unici senza essere originali, di lasciar scorrere infiniti sfondi e scenari lasciando intatta l’immagine della propria musica. L’album si chiude con una sorta di omaggio al French Touch e ai Daft Punk (come se non bastasse) e la cosa sia vibra come l’esternazione di un certo modo di fare Elettronica (pur essendo due stili molto diversi) che guarda al passato, non inventa nulla eppure riesce a crearsi una sua identità ed è capace di stare tra la gente, sia nelle piste da ballo sia tra l’intimità delle cuffie. Un certo sistema di fare Elettronica che contraddistingue i francesi e farà la fortuna anche di questi Twomonkeys che rappresentano l’altro lato della medaglia, il suo volto animale.
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Last modified: 30 Ottobre 2013
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