Warm Exit – Ultra Violence

Written by Recensioni

La proposta dell’efferato quartetto belga è una sana e liberatoria carica di violenza, in cui perderci ma soprattutto in cui ritrovarci.
[ 12.01.2024 | EXAG’ / Rockerill | post-punk, industrial, noise rock ]

Ogni tanto ho bisogno di chiedermi chi sono. Talvolta sono il cinquantunesimo utente in linea mentre attendo pazientemente di parlare al telefono con un operatore di un ufficio pubblico, mentre la mattina potrei semplicemente essere la decima persona in fila alla cassa del bar per un caffè da asporto. Quando mi capita di essere davvero fortunata, sono un posto casuale assegnato su un volo di una compagnia aerea low cost.

Se mi perdo e devo ritrovarmi, generalmente mi bastano poche cose: qualche nevrotica linea di basso, delle chitarre spigolose, una batteria dritta e ben assestata, due parole che contengono tutto il disagio interiore ed esteriore immaginabile. Questo, per me, è il post-punk: una base sicura alla quale posso sempre tornare, per ricongiungermi a me stessa quando sento che il resto del mondo mi sta rubando l’anima.

A dispetto delle sonorità sopra descritte, che contraddistinguono un filone tipicamente britannico e potrebbero in prima battuta ingannare sulla provenienza, i Warm Exit sono stanziati a Bruxelles. La band, già in attività dal 2020 con un eponimo EP, inaugura il 2024 con un esordio incendiario e promettente sin dal titolo: Ultra Violence.

Tentando di collocarsi nello stretto spazio che rimane fra un nome e l’altro, nella scena attuale ormai già traboccante, il quartetto belga gioca in maniera ottimale le proprie carte, senza ricalcare tracce altrui su strade già percorse bensì traendo ispirazione da passati più o meno remoti con carattere, inventiva, individualità.
Del resto – prendendo in prestito le parole di un saggio – il post-punk non è retromania: è il suono del presente, delle illimitate possibilità (sì, avete indovinato, quel saggio è proprio Simon Reynolds).

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Così, in un universo di infinite possibili combinazioni, i Warm Exit decidono di suonare come se Wire e Bauhaus fossero la stessa band; un sound che deve molto anche ai primi Iceage e ai più recenti Crows, che raccoglie frutti in pari misura da Protomartyr e BAMBARA, carico di una lodevole componente di personalità e – soprattutto – con un ben preciso leitmotiv, già preannunciato, appunto, dal titolo dell’LP: una liberatoria, abbondante dose di sana violenza.

Ciò che subito spicca ad un primo ascolto è l’estrema ricercatezza di forma e struttura di ogni pezzo.
Una caratteristica non scontata per un disco il cui intento palesemente dichiarato è quello di suonare efferato, fulmineo, potente; un disco in cui tutto è brutale, disperato, sintomatico di un’urgenza comunicativa che sa spingersi ben oltre un presunto potenziale e diviene incontrastata protagonista.

Ne è immediata rappresentazione la traccia d’apertura, Damages Become A Necessity, intrisa fino al midollo di tenebra e decadenza, che sembra prendere una sfrenata rincorsa verso un inatteso cambio di rotta in un claustrofobico crescendo, fino a sortire il devastante effetto di uno scontro frontale con un treno in corsa proprio sul finale.

Nonostante il filo conduttore che garantisce compattezza e coesione alle otto tracce dell’album sia sempre il medesimo, l’effetto ripetitività è definitivamente scongiurato da sapienti divagazioni fra sfumature diverse, sempre maneggiate con minuziosa cura nei dettagli: distorsioni, dissonanze, abrasioni, un opprimente spoken word che si tramuta all’occorrenza in urla dilanianti.

Concrete Fascination attinge all’ossessivo immaginario della new wave più oscura, Become The Butcher e TV sono due irresistibili sfuriate garage punk vestite di nero e ornate di chitarre ribollenti, Positive Anxiety è invece l’episodio più industrial (e forse più interessante) dell’intero lotto.

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Passi falsi non pervenuti: che strizzino l’occhio ad atmosfere più orecchiabili o si perdano nei meandri del noise più impenetrabile e meno accessibile, i Warm Exit riescono a non sbagliare nemmeno un colpo.
È una sensazione estremamente incoraggiante quella che si prova nel momento in cui, al termine di questi fulminei 33 minuti, si avverte l’implacabile bisogno di concedere un secondo ascolto.

E quindi riparto da dove ho iniziato, perché ogni tanto ho bisogno di chiedermi chi sono. Per spezzare i fili di quel maledetto algoritmo, rovesciare la scrivania a fine giornata e urlare a squarciagola, riconnettermi alla bolla delle cose che mi fanno stare bene, fuggire a gambe levate da un sistema che mi somministra quotidianamente le sue pillole di indifferenza e richiudermi con forza la porta alle spalle.
Queste sono tutte le mie buone motivazioni per ascoltare Ultra Violence.
Ora tocca a voi.

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Last modified: 21 Gennaio 2024