Aspettavamo il ritorno della band torinese da ormai tre anni e la lunga attesa è ripagata abbondantemente da dieci canzoni a conferma di un talento cristallino che ha solo bisogno di mostrarsi a una più ampia platea. La lunga gavetta dei We Are Waves iniziata con l’ep d’esordio nel 2012 e una serie di live incredibile che li ha portati a confrontarsi con le più disparate ed anche difficili realtà di provincia, ne hanno sempre rimarcato un’umiltà cui tanti dovrebbero attingere agli esordi prima di sentirsi “stelle” ma già con il primo full length, Labile del 2014, era chiaro che quella sorta di revival Post Punk, misto a Darkwave e Synth Pop sarebbe potuta arrivare molto lontano. A quel punto arriva Promises, primo disco con l’etichetta valdostana MeatBeat Records e album che spingerà la musica dei Waw oltre ogni possibile confine, sia di genere visto l’apprezzamento trasversale del pubblico, sia fisico, con svariati concerti in giro per lo stivale al fianco di CCCP, The Wombats, The Chameleons, Thegiornalisti, Soviet Soviet, fino a raggiungere Germania, Francia e Svizzera. Promixes sarà solo una sorta di divertissement in cui i brani dell’album saranno riproposti in chiave più electro anche per dovere, visto il set alternativo e più danzereccio che affianca il live classico ma è con Hold che i quattro decidono di provare a fare il grande passo. Utilizzare l’aggettivo “bello” dentro una recensione musicale è quanto di più banale si possa fare, ma l’album ruota inevitabilmente tutto intorno al tema della bellezza, cercata nei suoni, nelle melodie, nella voce fantastica di Fabio Viassone, nelle ritmiche, nei brani più spinti e più interessanti come le due opening “I Can’t Change Myself” e “Healing Dance”, ma anche in quelle volute pause introspettive quasi nordiche e Dream Pop (“Lynn”, “Melkveg”).
In un’epoca in cui le brutture, che siano morali, estetiche e sociali, sono sdoganate a tal punto da non essere più motivo di sdegno, Hold (traducibile col verbo tenere) vuole essere un inno al tentativo di tenere vicini a sé e al sicuro da questa degenerazione gli aspetti belli della vita che siano l’amore, gli affetti, le speranze. Nonostante lo stile sia innegabilmente accostabile ad atmosfere cupe e dense, Hold è un disco tutt’altro che oscuro ma anzi si gonfia continuamente di un’insperata positività.
Hold non rappresenta certo una virata drastica dallo stile dei We Are Waves e se siete dunque tra quelli che hanno apprezzato a dismisura i primi album, sarete contenti di ritrovarvi ancora quelle reminiscenze di Simple Minds, The Cure, Joy Division o The Smiths e quel misto di New Romantic, Wave, Post e Pop; se quello che temevate era invece di ritrovarvi un eccessivo uso dell’Elettronica a proseguimento di Promixes, anche stavolta potete stare tranquilli perché, come sempre, la sua presenza è puntuale, necessaria, mai ridondante e perfettamente funzionale specie per dare quel tiro (“Mirrors”) che, in chiave live, ha poi fatto la differenza tra i Waw e i tanti altri gruppi che hanno provato con meno fortuna e talento a rileggere un passato ancora capace di dire qualcosa al presente. Sarete invece più che piacevolmente sorpresi dai dettagli, lirici e strumentali, esattamente quelli che fanno di Hold un altro grande album ma soprattutto il primo in cui il suono We Are Waves viene fuori in tutta la sua peculiarità e non solo come rimandi al “vecchio” anche più recente di Editors, Interpol o Franz Ferdinand. Finezze e rifiniture che scoprirete con i vari ascolti e che non voglio rovinarvi con le mie parole (ma posso anticiparvi qualcosa consigliandovi di arrivare fino in fondo in “Maracaibo”). Citando uno dei più grandi uomini passati da questo pianeta e scomparso a pochi giorni dall’uscita di Hold, “per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi”. Dall’oscurità della notte, dal buio di queste note verso il nero del cielo, è proprio alle stelle che è rivolto lo sguardo di questi astri nascenti del panorama italiano.
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Last modified: 20 Febbraio 2019