L’ennesimo capolavoro della band di Hoboken fa venire voglia di morire nella bellezza. E no, non è una cosa brutta. Anzi.
[ 10.02.2023 | Matador | indie rock, experimental rock, noise pop ]
È un fatto assodato che l’etichetta “indie” abbia ormai perso gran parte del suo significato originario (in Italia poi negli anni ha assunto accezioni a tratti inquietanti, ma questa è un’altra storia). Tanto premesso, se un giorno mi si chiedesse di citare una band indie rock, una e una soltanto, probabilmente risponderei di getto con tre parole: Yo La Tengo.
Un nome improbabile, un’estetica di certo non attraente, una certa refrattarietà alla notorietà, una malcelata timidezza che traspare anche sul palco: il trio di Hoboken rappresenta probabilmente l’epitome di tutto quello che negli anni ‘90 era ritenuto alternativo e affascinante e oggi invece decisamente anacronistico. Eppure…
Eppure, se nel 2023 siamo ancora qui ad aspettare con trepidazione un nuovo album da Ira Kaplan, Georgia Hubley e James McNew, evidentemente c’è molto altro, oltre all’estetica e all’attitudine.
Perché sì, diciamolo subito: This Stupid World, diciassettesimo album di inediti pubblicato dalla band, è un grande disco. Grande sul serio, in ogni senso, anche al cospetto di una discografia tanto ricca e di qualità come è quella del gruppo del New Jersey. E non credo di esagerare troppo affermando che si tratta del lavoro migliore prodotto da venti anni a questa parte.
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Per cogliere appieno tutta la magia incredibile del suono e delle atmosfere degli Yo La Tengo, si potrebbe tranquillamente partire dalla fine del disco. Miles Away è una coda ambient/dream che svanisce man mano che ci si avvicina alla fine, come un lontano riverbero sospeso tra il mondo onirico e quello reale. Così come sognante è la voce di Georgia Hubley, qui più delicata e intima che mai. E, cosa di non poco conto, è anche un brano che poco ha a che vedere con l’indie rock.
Perché gli Yo La Tengo sono sempre stati questo: una band indie rock che non suona (solo) indie rock.
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Se c’è una cosa che mi affascina incredibilmente della musica degli Yo La Tengo è questo costante rumore di sottofondo: un noise incessante ma mai troppo invadente, una sorta di brusio timido ma persistente che si insinua nelle tue orecchie come un fiume carsico. Il suono del mondo che vive.
È il caso ad esempio del brano di apertura Sinatra Drive Breakdown, una mini suite di poco più di sette minuti in cui la band sembra divertirsi a giocare con la melodia, che va e viene in modo ineffabile senza mai farsi acciuffare.
E si potrebbe citare anche l’ipnotica titletrack, imbevuta di sonorità kraut, sperimentali e a momenti addirittura drone.
Se in tutta questa sperimentazione vi starete chiedendo che fine abbiano fatto le melodie pop e intime che tanto scaldano il cuore di chi segue la band da sempre, non disperate. La sola Fallout basterebbe già a fugare ogni dubbio in merito: quando è uscita come primo singolo estratto, ricordo che ho avuto la vivida sensazione di sentirmi avvolto da un suono caldo e familiare, un brano da cui sai benissimo che sarà quasi impossibile allontanarsi; la coperta di Linus per tutte le brutture della vita. La voce di Ira Kaplan ha poi la misteriosa capacità di farti dimenticare tutto e portarti via con sé, creando un’atmosfera di salvifica quiete che è davvero difficile descrivere a parole.
Per farla breve, un instant classic che non ha nulla da invidiare ai brani più famosi e ascoltati del repertorio della band.
E, insistendo sulle melodie, come non citare la stupenda e delicata Aselestine, che, impreziosita dalla solita magistrale interpretazione vocale di Georgia, riprende il percorso tracciato da perle senza tempo come Pablo and Andrea, Let’s Save Tony Orlando’s House, Shadows.
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Tra la calma sussurrata di Apology Letter e le incursioni noise pop di Brain Capers, l’ascolto è un continuo saliscendi emozionale, un luna park per gente dimessa e introspettiva ma che ha comunque voglia di sentirsi viva e felice, dopotutto.
Citando una vecchia canzone proprio degli Yo La Tengo, nei miei occhi ci sono lacrime. Perché arrivare alla fine dell’ascolto di This Stupid World e rendersi conto di quanto ancora grandi e importanti siano nella musica di oggi è un qualcosa che è commovente e abbacinante al tempo stesso.
Non credo che nella ex Jugoslavia pensassero alla loro musica quando parlavano di umirati u lepoti (letteralmente “morire nella bellezza”), ma non penso esista frase migliore per descrivere le sensazioni che la band di Ira, Georgia e James riesce puntualmente a trasmettere, anche quando la logica del tempo vorrebbe che magia e ispirazione siano svanite già da un po’.
Tears are in our eyes.
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Last modified: 3 Marzo 2023