L’intricato e surreale esordio del duo irlandese è un capolavoro di sperimentazione che metterà alla prova la vostra percezione della realtà.
[ 06.02.2024 | autoprodotto | experimental, free jazz, occult ]
Ok, finalmente ti ho trovato. È successo un po’ per caso, immersa in quel perpetuo e svogliato movimento automatico di un dito che scorre su uno schermo, qualcosa di tristemente familiare a tutti noi. Ogni tanto ci porta qualcosa di buono. A me ha portato una nuova piacevole scoperta musicale. Uno di quegli album che, anziché passarti attraverso indifferenti come spettri, ti tagliano senza che tu te ne accorga e ti lasciano persino un paio di spesse cicatrici addosso, a titolo di doverosa testimonianza.
Uno di quegli album che ti invogliano a prendere confidenza soltanto leggendone il titolo. Everything is Cumbersome. Perché sì, è proprio così, tutto è così estremamente ingombrante, complicato, terribilmente gravoso. Mi torna in mente una cosa che facevo quando ero bambina, in preda a deliri influenzali, in balia di quelle febbri altissime che non accennano a darti tregua: sdraiata a letto, sepolta sotto strati di coperte, immaginavo di spostare le pareti della mia stanza con la forza del pensiero. Fino ad esaurire completamente ogni forza ed arrendermi, perché era tutto così dannatamente difficile – o, per meglio dire, impossibile.
All’altisonante moniker di Your Overlords rispondono due prolifici musicisti irlandesi: Sam Clague e Arthur Pawsey, clarinetti e svariati giocattoli elettronici, sperimentazioni illimitate, improvvisazioni mistiche, missioni intergalattiche e spedizioni nell’occulto, una capacità di distorcere gli elementi della realtà che affascina e imprigiona. Premo il tasto play e inaspettatamente continuo ad immaginare di poter muovere le pareti di casa con le mie sole energie mentali, ma le piego e le accartoccio come fogli di giornale divorati da una fiamma improvvisa.
***
Initiation è il richiamo di una locomotiva lontana, ammaliante come una sirena che risiede nelle profondità di un oceano o forse soltanto nei luoghi più reconditi della mia mente. È l’avvertimento di un treno che sta per partire ed io sono dannatamente in ritardo, perché il bagaglio che trascino a fatica è così insopportabilmente ingombrante. Sono in ritardo, sì, ma anziché correre preferisco fermarmi ad ascoltare, assorta e trasognata. E da quel treno lontano potrei quasi decidere di farmi investire, ad occhi chiusi, con l’assoluta consapevolezza che sarà uno scontro dal quale emergerò indenne e rinnovata.
È solo un attimo fuggente prima che i tentacoli di Chasing the Squid mi avvolgano nella propria morsa e no, non cercherò di divincolarmi da quella stretta letale, fatta di suggestioni oniriche e bordoni sonori che vacillano su uno strato di sinistre dissonanze. Perché mi sembra qualcosa di assurdamente intricato, quindi resto qui, attorcigliata e sedotta, mentre una domanda mi sorge spontanea: sono io l’inseguitore, oppure sono l’inseguito? Sono la vittima o il carnefice? Scorgo una luce in fondo al tunnel, ma temo sia soltanto una lucida illusione.
No, non sei innamorato, sei solo all’inferno. Anche se potremmo confermare che più o meno si tratti della stessa cosa. Ed ora si spiega perché mi trovo un dardo arrugginito conficcato dritto nel cuore, scagliato da quelle vibranti e scarne note di clarinetto, mentre un’anonima presenza oscura batte disperatamente, gratta e sbava come un cane abbandonato sui cancelli dell’Ade. La discesa è abbastanza lunga e lenta, nove minuti di distorsioni e rumori assordanti; il mio consiglio spassionato è quello di mettervi comodi e attendere diligentemente, la vostra pazienza vi premierà, verrete ricompensati. Fidatevi ciecamente e, soprattutto, fate attenzione: non cercate di estrarvi quella freccia dal petto a mani nude, non potrà funzionare.
Fra l’ossimorica violenza di un fruscio e qualche ipnotico accordo che riduce in poltiglia i neuroni, mi imbatto finalmente nel titolo più curioso dell’intero lotto: Mambo no. 4. Vi avverto: non lasciatevi travolgere dalle apparenze. Non vi troverete improvvisamente su una calda spiaggia esotica con un drink in mano, non c’è spazio per ballare. Vietato sorridere: qui la risata è solo un atto isterico, istintivo, soffocato. Non ci sono Monica, Erica, Rita, Tina, Sandra, Mary e Jessica. C’è una voce che sembra provenire dall’aldilà e recita un ossessivo countdown degno di un’interpretazione cinematografica, scandito dal ticchettio demoniaco di un orologio che perfora il cranio. Ed è tutto talmente ingombrante da risultare incredibilmente geniale.
***
Arriverete alla fine, e vi sentirete diversi. Vi guarderete allo specchio, e non riconoscerete la vostra immagine riflessa. Vi sentirete come uno dei volti dipinti da Francis Bacon: distorti, inquietanti, terrificanti. La vostra concezione del tempo sarà dilatata, lo spazio che vi circonda apparirà ai vostri occhi mutato e surreale.
Se siete arrivati a leggere fin qui, fatevi un regalo: premetelo, quel tasto play, mettete alla prova i vostri sensi e lasciatevi trasportare senza remore. È tutto così enormemente complicato, farraginoso, macchinoso; non riesco nemmeno a spiegarvelo a parole. Ma un’esperienza può certamente valere più di mille farneticanti volteggi lirici: allacciate le cinture, buon viaggio.
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Last modified: 16 Febbraio 2024